Tra un tenente che impartisce ordini e un sergente che urla nelle camerate, in piazza d’Armi c’era lui: don Franco, nel mio caso, alla Voloire peresso la caserma Santa Barbara. Cappellano militare con i gradi da capitano, ma con lo sguardo più simile a quello di un educatore navigato e comprensivo, piuttosto che a quello di un rigido ufficiale, com’erano allora. Un’anomalia gentile nel meccanismo ben oliato della disciplina militare ai tempi della leva.
Chi ha fatto il servizio militare tra gli anni ’80 e ’90 se lo ricorda bene: il cappellano non portava solo l’ostia, ma un po’ di respiro e, la piccola chiesa, era un luogo “inviolabile”, come l’infermeria. Sapeva dove chiudere un occhio, intercettando un disagio, insomma non era un “prete militare”, ma un militare un po’ prete.
Oggi che il servizio di leva è un ricordo da album fotografico, i cappellani militari sono rimasti, ma il loro volto è cambiato, come è cambiata l’Italia. Con poco più di 150 unità attualmente in servizio attivo e specializzate, operano anche all’estero, in missioni umanitarie, nei teatri operativi e negli ospedali militari.
La loro gerarchia è stata riformata di recente: il grado massimo raggiungibile è quello di secondo cappellano militare capo, equivalente a tenente colonnello. Per legge, non possono essere più di dieci in tutta Italia. Una scelta che riflette la volontà di “snellire” la catena di comando ecclesiastica nelle Forze Armate. Sono stati infatti aboliti i gradi superiori, incluso quello di colonnello (che sarebbe stato il terzo cappellano militare capo) e ogni ulteriore grado assimilabile a ufficiali generali.
Oggi l’unica eccezione è rappresentata dall’ordinario militare per l’Italia, figura assimilata al grado di tenente generale, e dal suo vicario generale militare, con grado equivalente a maggiore generale. In pratica: il “prete soldato” ha perso qualche stella, ma ha guadagnato in missione pastorale.
Il cappellano oggi è un riferimento morale, culturale e umano nei reparti e nelle missioni all’estero, dove spesso è più vicino ai soldati di quanto possano esserlo, empaticamente, altri superiori. Questo anche alla luce di un mutato e più comprensivo rapporto – formale e informale – con i vertici militari, che ho potuto constatare personalmente in diversi richiami in servizio.
In un’epoca in cui il senso del dovere e la dimensione collettiva sembrano in affanno, la figura del cappellano militare conserva una sua utilità. È un lavoro silenzioso, fatto di ascolto, conforto, celebrazioni, ma anche di presenza nei momenti di crisi. Quindi, una figura disarmata e neutrale all’interno delle Forze Armate, e non solo con una funzione religiosa, ma anche di umanità in divisa.
Sono riconoscibili per le stellettre a cinque punte sui baveri talari e sulla tonica. Papa Francesco ha ricordato che la missione del cappellano è, prima di tutto, quella della vicinanza, non del comando. E se le Forze Armate italiane mantengono l’assistenza spirituale cattolica come tradizione, si mostrano oggi più aperte alla presenza di personale di altre confessioni: musulmani, evangelici, ortodossi, buddhisti.
Non esistono ancora cappellani non cattolici ufficialmente inquadrati, ma la libertà di culto, come la parità per altri orientamenti, è garantita e, in casi specifici, può essere richiesta l’assistenza di ministri di altri culti.
Il cappellano militare è presente in molti Paesi del mondo: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Canada, Germania, Paesi Bassi, Israele e Corea del Sud, dove sono presenti strutture multiconfessionali con cappellani cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, buddhisti e altri.
In Russia e in diversi Paesi islamici l’assistenza religiosa è presente ma non sempre formalizzata. Nei regimi autoritari – come Cina, Corea del Nord e Iran – la figura del cappellano è assente o fortemente limitata.
Mentre ci prepariamo alla Festa della Repubblica e alle sue sfilate – oggi a Biella sfilano gli Alpini – varrebbe la pena, tra un passo di parata e un volo della Pattuglia Acrobatica, ricordarsi anche di loro, i cappellani. E lo scrivo da laico. Perché tra un colonnello e un fuciliere, nel cuore dell’Istituzione, c’è anche spazio per un’anomalia umana, cioè per chi, pur avendo i gradi, non vuole comandare, ma accompagnare, un concetto che il capo di SME gen Masiello, sembra aver sdoganato in molti suoi discorsi.
Foto: U.S. Army