Il basco grigioverde

(di Paolo Palumbo)
09/01/19

Il 9° reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin ha compiuto un altro passo verso il recupero di quelle tradizioni fondanti la storia di uno dei reparti più prestigiosi dell’esercito italiano. In occasione del 40° anniversario della formazione delle Unità d’Intervento Speciale dell’esercito è stato annunciato che prossimamente il Nono cambierà i colori del suo glorioso basco amaranto per sostituirli con quelli “più tradizionali” grigioverdi che appartennero alla prima formazione – il Plotone Speciale – nato negli anni Cinquanta.

Nel 1952, un giovane tenente dei paracadutisti, Franco Falcone, azzardò l’ipotesi di formare un piccolo nucleo di militari specializzati sulla falsa riga dei sommozzatori gamma della seconda guerra mondiale. La sua idea, inizialmente accolta con qualche perplessità sia dall’esercito, sia dalla marina militare, diventò realtà con la costituzione del primo reparto di forze speciali del dopoguerra, il “Plotone Speciale”. Questo piccolo gruppo di scavezzacollo fu assegnato, nell’aprile del 1953, alla Scuola di Fanteria di Cesano per poi trasformarsi in Compagnia Sabotatori Paracadutisti il cui comando fu assegnato al capitano Edoardo Acconci.

A quei tempi i sabotatori indossavano il basco color grigioverde, tipico delle truppe aviotrasportate italiane, diretta eredità dei “folgorini” che avevano combattuto nel deserto di El-Alamein, ma anche del X battaglione arditi. Il basco con tale foggia fu portato fino agli anni Sessanta, allorquando la brigata paracadutisti Folgore (unità madre nella quale fu accorpato il Nono”) adottò il copricapo amaranto, simbolo che identificava la maggior parte dei reparti paracadutisti di tutto il mondo. Una scelta che modificò visivamente l’uniforme di chi optava di servire la patria nei battaglioni più severi, duri, ma anche più preparati dell’esercito.

Da sempre il Nono è stato “diverso” dalle unità che costituivano la Folgore, una difformità scaturita dall’addestramento peculiare a cui venivano sottoposti i sabotatori prima e gli incursori dopo. Appartenere ad una grande unità era comunque di mutua convenienza: non dimentichiamo che il Nono è debitore nei confronti della Folgore e viceversa. Lo spirito di condivisione dei sabotatori/incursori, e il prodigarsi dei suoi istruttori ha sempre costituito un punto di orgoglio per il Nono reggimento. Gli uomini del Col Moschin hanno sempre lavorato a stretto contatto con tutte le branche dell’esercito e proprio grazie all’esperienza maturata nei vari contesti operativi hanno contribuito al miglioramento non solo della Folgore, ma anche tutti gli altri reparti, compresa la Scuola Sottufficiali e l’Accademia.

Anche sul piano delle tradizioni, la storia del Nono spicca difronte a qualsiasi comparto di forze speciali mondiali; la sua discendenza diretta dai reparti di arditi della prima guerra mondiale costituisce un unicum, soprattutto se paragonato ad altre unità più note, ma meno anziane, come il SAS britannico o i Berretti Verdi americani.

Dagli anni Sessanta in poi il Col Moschin ha iniziato una percorso mirato al recupero delle proprie origini: un’operazione sicuramente non facile e caratterizzata da pregiudizi esterni, riconducibili ad un passato militare che condannava all’oblio il valore degli uomini per esaltarne soltanto l’appartenenza politica. Se c’è una caratteristica che contraddistingue gli incursori è la loro “testa dura”, vale a dire saper lottare con ostinazione e impegno per conseguire i propri obiettivi. In questo caso – dopo varie tappe tortuose – i ragazzi del Nono hanno ottenuto risultati importanti. Dalla bandiera di guerra del IX, alle mostrine nere degli arditi di Messe e per ultimo il nuovo brevetto con il gladio recuperato nel 2014.

Ora, inaugurata l’era di un nuovo comandante, gli incursori aggiungono un altro pezzo della loro storia, adottando il basco in panno grigioverde che fu dei loro zii negli anni Cinquanta. Un puzzle storico che si ricompone pezzo per pezzo, il cui significato non vuol dire variazione o negazione di quanto accaduto fino ad oggi; riporre il basco amaranto non è, infatti, una scelta volta a disconoscere la militanza nella Folgore alla quale tutti gli incursori sono da sempre moralmente uniti. Ogni soldato dovrebbe avere ben impresso nella mente le proprie origini: l’insegnamento periodico della storia militare dovrebbe avere lo stesso valore dell’addestramento con armi da fuoco. Comunque, il Nono non smentisce mai la sua preparazione anche in campo storico, sapendo accogliere le sfumature di ogni cambiamento, adattandosi ad ogni circostanza, ma con la mente sempre proiettata al miglioramento non del singolo, bensì dell’intero comparto. Questi insegnamenti non necessitano di simboli, non hanno bisogno di riconoscimenti di stoffa o in metallo, questo è semplicemente il carattere insito in ogni incursore che, con umiltà e dedizione, insegna e non smette mai di imparare.

(foto: archivio 9° reggimento pubblicate nel volume "Il Reparto. Passato e presente del 9 reggimento d'assalto paracadutisti Col Moschin", Ed. Il Maglio 2016)