Erdogan lancia un monito: “Senza una forte industria militare la Turchia non può essere indipendente”

(di Filippo Del Monte)
05/07/21

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel discorso tenuto a conclusione della sua visita in una fabbrica di cingoli per carri armati sita nel Distretto di Sakarya, nella Regione di Marmara, si è soffermato sulla politica estera di Ankara e sui rapporti d’alleanza e cooperazione con il Qatar.

Erdogan ha sottolineato che la Turchia è presente in Libia, Siria, Azerbaigian e Mediterraneo orientale e che porterà avanti i propri “diritti legittimi” svolgendo attività d’esplorazione in tutti i “suoi mari” e, nello specifico, nelle vicinanze di Cipro.

Dunque il “sultano” Erdogan ha nuovamente utilizzato toni forti per tracciare la linea della politica estera e di difesa della Turchia anche in questo frangente. L’elenco degli Stati nei quali i Turchi sono presenti sia militarmente che come “influencers” delle politiche pubbliche è volto a mettere in risalto l’importanza del Paese quale potenza internazionale capace di proiettare “imperialmente” all’esterno dei confini nazionali la propria forza.

La concezione strategica della Mavi Vatan (Patria Blu) è stata sintetizzata qualche anno fa dall’ex contrammiraglio turco Cem Gürdeniz come “diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle” e questa è la chiave di volta della continuità tra “Profondità strategica” e “Patria blu” con la seconda che è il correttivo marittimo di una dottrina prettamente tellurica. L’obiettivo strategico della Turchia resta quello di svincolarsi dalla limitazione territoriale anatolica nella quale, con il Trattato di Sevres del 1920, le potenze vincitrici della Grande guerra l’hanno imbrigliata. Ma la “profondità strategica” della Turchia è tale solo se accompagnata da una capillare presenza in mare di navi da guerra (appoggiate da basi sparse nell’hinterland mediterraneo) e di navi adibite alle trivellazioni.

La politica navalistico-ottomana impostata da Erdogan ha nell’elemento prettamente militare uno dei suoi punti di forza e nelle capacità economiche del Paese quello di debolezza endemica e che potrebbe causarne, in ultima analisi e con una iperestensione dello spazio di proiezione turco già teso al limite delle sue capacità, il crollo verticale e repentino. Questo Erdogan lo sa bene e necessita di ottenere il massimo dei risultati – compresa l’autosufficienza energetica – nel più breve tempo possibile onde abbandonare il suo revisionismo incrementale a tendenza rivoluzionaria.

Altro elemento interessante della visita di Erdogan alla fabbrica di Sakarya è stato il riferimento ai rapporti turco-qatarioti che vivono una fase di stretto legame fin dal 2017, quando Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno del Bahrein ed Egitto avevano imposto un blocco aereo al Qatar, determinando ingenti perdite per le casse di Doha. Nel corso di questi anni il carattere strategico del legame bilaterale Turchia-Qatar è emerso specialmente per quel che riguarda la cooperazione in materia militare, basti pensare che i Turchi hanno consegnato l’8 ottobre 2020, la QTS 91 “Al-Doha”, la prima delle due navi da addestramento per cadetti, diretta alle forze navali qatariote.

In vigore dal 2014, l’Alto Comitato Militare Congiunto turco-qatariota ha visto rafforzare le sue prerogative nel 2017 con la ratifica da parte del Parlamento di Ankara degli accordi di cooperazione in materia di industria degli armamenti e di esercitazioni militari congiunte. La Turchia inoltre dispone fin dal 2014 (anno del primo accordo di partenariato strategico bilaterale) di due basi in Qatar, rispettivamente “Al-Rayyan” e “Tariq bin Ziyad”.

Turchia e Qatar sono schierate dalla stessa parte in tutte le crisi politico-militari regionali, dalla Libia alla Siria passando per il Golfo. Si tratta di un rapporto bilaterale fondamentale per entrambi i Paesi con Ankara che necessita del sostegno finanziario di Doha per portare avanti i suoi progetti ed investimenti in campo militare, vista la cronica mancanza di liquidità e solidità all’estero dei Turchi, ed i Qatarioti che necessitano dell’appoggio di un partner militare di livello.

Erdogan si è soffermato a Sakarya proprio sui rapporti con il Qatar in quanto le forze di opposizione avevano accusato il presidente di svendere l’industria nazionale agli stranieri. Infatti la produzione dell’impianto di Sakarya è cofinanziata per il 49% proprio dal Qatar ed Erdogan ha dovuto specificare che questi soldi sono parte degli accordi di cooperazione strategica e che la fabbrica rimane interamente di proprietà dello Stato turco e, nello specifico, del Ministero della Difesa Nazionale (che ne gestisce la produzione) assegnatario dei Ministeri del Tesoro e delle Finanze (che sono proprietari delle mura): “Senza una forte industria della difesa – ha spiegato Erdogan – la Turchia non potrà mai essere indipendente”.

Attualmente oltre alla progettazione, produzione e manutenzione dei cingoli per i carri armati, nello stabilimento di Sakarya si producono anche obici semoventi Firtina da 155 mm (T-155) e la sua variante Firtina II, oltre ai veicoli portamunizioni Poyraz che è l’ARV complementare al T-155. Inoltre Erdogan ha annunciato che l’idea è quella di destinare proprio a Sakarya la produzione del carro armato di quarta generazione Altay (foto), che dovrebbe costituire l’impalcatura tattico-strategica delle forze corazzate turche, i cui programmi d’ammodernamento prevedono l’entrata in servizio di 1000 MTB Altay da consegnare in lotti da 250. Nell’accordo firmato dalla SSB (presidenza Turca delle Industrie della Difesa) con la BMC si prevedeva di consegnare i primi lotti a partire dal 2020 ma a causa dei ritardi (v.articolo) il tutto è stato rinviato “al più presto nel 2023” stando alle parole pronunciate da Erdogan a Sakarya.

Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri / Presidency of the Republic of Turkey