Da spazio collaborativo ad area contesa: la battaglia per l’Artico (seconda parte)

(di Renato Scarfi)
09/02/25

Sotto il profilo militare l’Artico, la cui estensione è cinque volte quella del mar Mediterraneo, è un mare semichiuso circondato da Stati, collegato all'Oceano Atlantico e all'Oceano Pacifico attraverso stretti e chockepoints. Il collegamento con il Pacifico è lo stretto di Bering, mentre i collegamenti con l'Atlantico avvengono attraverso l'arcipelago artico canadese e i passaggi tra la Groenlandia e il continente europeo (Artic Bridge). Prevalenti sono, dunque, gli aspetti operativi marittimi, in cui si innestano le esigenze di sicurezza connesse allo sfruttamento delle risorse marine naturali e al controllo delle vie di comunicazione. Dal punto di vista strategico, rivestono particolare importanza lo Stretto di Bering (Mare di Chukchi), tra Russia e Stati Uniti, e la fascia di mare tra Groenlandia-Islanda-Regno Unito (il cosiddetto GIUK gap) nell'Atlantico settentrionale.

In merito, Mosca rivendica in maniera assertiva la sua sovranità sugli accessi e rotte a nord-est, mentre ne prepara lo sfruttamento, sotto ogni aspetto: commerciale, energetico-estrattivo e, inevitabilmente, anche militare. Ed è proprio sotto il profilo militare che la Russia “artica” va osservata con attenzione. Sotto la guida di Vladimir Putin, infatti, nell’Artico la Russia sta perseguendo tre obiettivi primari:

1) assicurarsi una base di partenza da cui proiettare la sua potenza militare;

2) stabilire una linea avanzata di difesa contro eventuali incursioni sulla rotta del nord;

3) garantire l'economia russa nell’area artica.

In tale ottica, secondo alcune fonti il distretto militare del Nord, in cui si colloca la flotta del Nord, sarebbe la sede del 20% della capacità russa di lanci missilistici di precisione e di tutti i missili balistici ipersonici Kinzhal. Inoltre, alla flotta del Nord apparterrebbero otto sottomarini armati di missili balistici per il mantenimento della possibilità di rappresaglia nucleare (SSBNs) e circa 16 altri sottomarini da combattimento attivii. A ciò vanno aggiunte 37 unità di superficie, tra cui l’unica portaerei russa, il Kuznetsov, e l’ammiraglia, l’incrociatore a propulsione nucleare Pyotr Velikiy.

Per quanto concerne le unità di terra, nel 2015 è stata creata la Brigata Artica, che prevede la presenza di due brigate motorizzate di fucilieri, con l’aggiunta di unità delle forze speciali, e di due divisioni aviotrasportate, addestrate all’ambiente artico, con il compito di presidiare e difendere le infrastrutture militari della Federazione nell’area. Le basi militari maggiori sono tre, a cui vanno aggiunte un certo numero di stazioni radar, avamposti di confine e per il soccorso (una trentina di installazioni in tutto) e 13 campi di aviazioneii.

Flotta del Nord e Brigata Artica servirebbero al mantenimento del concetto strategico russo di “bastione”, vale a dire soprattutto la difesa della capacità di second strike, il cui fulcro sono i sottomarini dislocati nei dintorni della fondamentale penisola di Kola, ma idealmente anche per la difesa (Sea Denial) e il controllo (Sea Control) delle acque articheiii (leggi articolo “La nuova strategia marittima russa”).

In un momento in cui la tensione con l’Alleanza Atlantica, in seguito all’aggressione ai danni dell’Ucraina, è particolarmente elevata e vi è da parte russa una dialettica confrontazionale (il Cremlino non lesina i riferimenti all’arma nucleare), nell’ottica di Mosca diviene fondamentale mantenere credibili le proprie capacità di second strike, quando non di first strike. Questo tanto più nel momento in cui il conflitto ha messo in luce come le forze convenzionali russe non siano particolarmente preparate a una guerra moderna protratta nel tempo. Nel caso della Russia, larga parte della sua credibilità come potenza efficace deriva, quindi, dalle forze schierate nell’Artico.

Ciò nonostante, la Flotta del Nord sarebbe composta da unità per la maggior parte in crescente necessità di lavori di ammodernamento o direttamente di sostituzione con unità nuove. Questo rende la forza navale russa artica ancora temibile nelle operazioni di sea denial in prossimità delle acque territoriali, ma ridurrebbe molto l’effettiva capacità di proiezione di potenza al di fuori di esse (il Kuznetsov, per esempio, ha rilevanti problemi operativi) e, in caso di conflitto aperto con la NATO, sarebbe improbabile una capacità di sea control, anche limitata al “solo” Mare di Barents.

Intatta resta, invece, la capacità di impiego di tattiche di c.d. guerra ibrida, a partire dalla propaganda fino al danneggiamento delle infrastrutture o delle linee telematiche occidentali, passando per la semplice “ricognizione ostentata” a scopo intimidatorio. Le cronache degli ultimi mesi ne danno conferma, anche con l’impiego di unità navali non battenti bandiera russa (es.: cinese). È probabile che proprio a fronte della ridotta capacità di rappresentare una minaccia credibile nei contesti convenzionali, questo resti uno strumento di primaria importanza nel confronto con gli altri Stati artici.

La situazione generale russa si riflette nella strategia nazionale statunitense per la regione artica, pubblicata a ottobre 2022. Pur riconoscendo l’importanza di questa regione anche per gli interessi USA e NATO, a causa della aumentata possibilità di navigazione, gli statunitensi non manifestano interesse a competere militarmente in quest’area e, quindi, non prevedono un aumento della loro presenza, limitandosi ad affermare un rinnovato sforzo di investire nelle proprie capacità di ricognizione e nella costruzione di navi rompighiaccio, al momento limitate a una dozzina, di diversa classe. Tuttavia, vista la recente assertività di Trump sulle questioni artiche, c’è da attendersi un cambio di atteggiamento anche su questo tema, rispetto alle precedenti amministrazioni. Sarà, però, importante avere una postura che sappia contemperare visione strategica, bene collettivo e rispetto per gli alleati. Anche nel contesto del ”pivot to Asia” statunitense sarebbe, infatti, un grave e grossolano errore strategico avvilire il legame transatlantico e sottovalutare il matrimonio di convenienza sino-russo, in particolare sul teatro artico.

Già nel 2022, l’allora Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha infatti sottolineato l'esistenza della minaccia alla sicurezza rappresentata dalla potenziale perdita di controllo delle Linee di comunicazione marittime (Sea Lines of Communication – SLOC) per la difesa continentale nordamericana e la difesa del fianco settentrionale della NATO. Le sue considerazioni erano frutto della constatazione che Europa e Nord America erano, fino a ieri, relativamente protetti su quel lato, dato che le condizioni climatiche limitavano l’interazione fra Flotta del Nord e Flotta del Pacifico e solo i sottomarini nucleari si muovevano liberamente, potendo passare sotto la calotta artica. Oggi, e prevedibilmente ancor più domani, anche la superficie del mare potrebbe invece essere più stabilmente utilizzata.

All’epoca egli ha anche sottolineato come la Russia e la Cina si fossero impegnati a rafforzare la loro cooperazione nell'Artico, avviando un "approfondimento strategico” che sfida i valori e gli interessi dell’Alleanzaiv. Ciò rende la regione artica cruciale per la difesa del fianco nord dell’Alleanza, con un ruolo strategico nella sorveglianza missilistica e nella protezione degli interessi alleati sul mare.

Tutto ciò, unito alla crescente assertività russa nel suo revanscismo da rinata potenza con velleità globali, rappresentata dalle progressioni militari che nel 2008 hanno portato alla presa manu militari delle regioni Georgiane di Abkazia e Ossezia del Sud, nel 2014 all’annessione della Crimea e il 24 febbraio 2022 all’avvio dell’aggressione ai danni dell’Ucraina, ha indotto la NATO a rinforzare la propria presenza e prontezza d’intervento in tutta Europa.

In tale ambito Islanda, Norvegia, Danimarca e le nuove entrate Svezia e Finlandia, presentano ciascuno capacità proprie limitate, ma qualitativamente significative sotto il profilo militare, contribuendo in modo rilevante alla postura di deterrenza e difesa integrata sul fianco Nord della NATO.

Nel settore, l’Italia sta rendendo disponibili all’Alleanza le sue capacità militari marittime pregiate, tra le quali quella di proiezione anfibia. Per poter concorrere al meglio le componenti navale, anfibia e dell’Aviazione di Marina continuano a effettuare campagne addestrative in climi rigidi, che rappresentano esperienze uniche nel loro genere per i livelli di sfida legati all’ambiente e alla distanza dalla madrepatria. L'estremo nord, infatti, rimane un luogo remoto caratterizzato da condizioni meteorologiche rigide e spietate, che presentano rilevanti sfide per le operazioni militari.

In tal senso la proiezione della Marina verso il Nord Atlantico non è più solo orientata alla ricerca, per quanto importante, ma riguarda quindi anche il responsabile concorso alle iniziative NATO di deterrenza attiva e impegno per la coltivazione e crescita del necessario livello di interoperabilità e capacità d’azione in un contesto climatico e ambientale sfidante come quello che caratterizza la penisola scandinava e i mari circostanti.

Conclusioni

L’Artico è una delle regioni del mondo in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più evidenti. Abbiamo, infatti, visto che la regione artica si scalda al triplo della velocità media mondiale e il progressivo scioglimento dei ghiacci potrebbe portare rilevanti rischi ambientali, con rimarchevoli conseguenze in termini di biodiversità e innalzamento del livello dei mari. La ricerca scientifica assume, quindi, un ruolo fondamentale per monitorare e studiare forme di adattamento e di contenimento del cambiamento climatico in tutta l’area artica, e delle sue ripercussioni globali.

In tale ambito, gli idrografi della Marina Militare si trovano a giocare un ruolo di primo piano, riconosciuto e valorizzato a livello internazionale. Un ruolo internazionale e un valore aggiunto che hanno permesso all’Italia di occupare una delle due poltrone di Direttore presso l’International Hydrographic Organization (IHO), la cui sede si trova nel Principato di Monaco.

Ma abbiamo anche visto che questo fatto comporta importanti opportunità e sfide sul piano commerciale ed energetico. Si tratta di enormi risorse naturali che le nuove rotte, navigabili per un esteso periodo dell’anno, offriranno a chi saprà cogliere queste occasioni. Innanzitutto, assumeranno maggiore rilevanza le nuove rotte di transito per i trasporti marittimi quali il Passaggio a nord-ovest e la rotta del Mare del Nord. Ma queste rotte avranno bisogno di porti di accoglienza e di adeguate infrastrutture di supporto. Impegni che già vedono alcuni attori, come la Cina, proporsi per la loro realizzazione, in un’ottica di penetrazione commerciale nell’area. Ma per raggiungere degli standard almeno accettabili per un “intenso” traffico commerciale ci vorrà ancora molto tempo.

In quest’ottica, va considerato che l’Artico non è poi cosi lontano dal Mediterraneo come potrebbe sembrare. E ciò apre a pericoli e opportunità, su cui si confrontano due scuole di pensiero. A fronte del pericolo di un’emarginazione delle rotte che transitano attraverso Suez, perché più lunghe e costose, il Mediterraneo potrebbe invece non vedere assolutamente sminuito il suo storico ruolo di collegamento marittimo di importanza fondamentale, ma che con l’apertura di rotte artiche non completamente libere dai ghiacci potrebbe, anzi, crescere di importanza, portando a un diverso e forse maggior ruolo dei porti e della logistica mediterranea e di un hub mediterraneo. Se sarà italiano, turco o di altro competitor dipenderà da come ci saremo preparati nel frattempo.

In tale quadro, l’Italia non può e non deve stare a guardare. Ha le competenze tecnologiche e professionali per recitare la sua parte e capacità diplomatiche per intessere utili relazioni internazionali che tutelino adeguatamente gli interessi nazionali.

Tuttavia, dopo che per tre decenni l’area artica ha registrato un costante e intenso livello di cooperazione internazionale, oggi è tornata a essere un teatro di rilevante importanza strategica, come ai tempi della guerra fredda, durante la quale aveva giocato la sua parte nell’ambito del confronto tra i due blocchi. L’Artico è, quindi, tornato a essere al centro di una crescente competizione sul piano strategico-militare.

Mosca, in previsione di un Artico sempre più libero dai ghiacci, sta pericolosamente consolidando la sua presenza militare nella regione, nonostante tutte le difficoltà militari, politiche ed economiche derivanti dall’aggressione all’Ucraina. Alla luce dell’atteggiamento russo in materia di politica estera, la presenza qualitativa e quantitativa militare nella regione deve essere letta in un’ottica di maggiore possibilità di esercitare una politica assertiva sulle nuove rotte che presumibilmente verranno aperte.

In tale ambito va doverosamente sottolineato che la Russia, nonostante le ripercussioni sulla prontezza operativa della componente terrestre in Artico, grazie alle basi aeree avanzate e alle capacità navali per operare in quelle acque, anche in condizioni estreme, ha ancora le potenzialità navali, subacquee e missilistiche per costituire una minaccia sia alla libera fruibilità delle rotte artiche che alla fruibilità complessiva delle linee di comunicazione marittime globali. Una minaccia, come detto, accentuata dalla postura dottrinale del Cremlino.

Gli aspetti securitari globali dell’apertura delle nuove rotte artiche sono, quindi, estremamente rilevanti e anche in questo settore l’Italia ha il dovere di essere presente, con le proprie significative professionalità e, seppure quella dell’Italia in Artico sia una presenza composita, tutti gli attori hanno una forte volontà di stare assieme. In tale ambito, la Marina Militare è certamente un fondamentale protagonista istituzionale, che porta onorevolmente la nostra bandiera nell’area con tutto il “sistema Italia”. L’Artico rappresenta, quindi, uno scenario di potenziale impiego a cui prepararsi:

  1. contribuendo in ottica sistemica a monitorarne, nell’ambito della comunità scientifica internazionale, le evoluzioni climatico-ambientali al punto da poterne prevedere, e quindi prevenire o quanto meno gestire, con congruo anticipo le potenziali ripercussioni;

  2. ricercando possibili forme di convergenza con le nazioni parimenti penalizzate dal rischio di corto-circuitazione delle rotte mediterranee, come per esempio quelle della Regione del Golfo, le cui attuali ricchezze derivanti dai proventi energetici vengono da tempo prudentemente investite nel ritagliarsi un futuro in qualità di hub commerciali lungo i traffici marittimi tra l’est e l’ovest;

  3. acquisendo sin d’ora capacità per operarvi, anche militarmente, sia in maniera tradizionale, rispetto alle sfidanti condizioni climatiche, capacità di adattamento della risorsa umana e resistenza di mezzi ed equipaggiamenti, sia attraverso l’impiego estensivo di sistemi unmanned.

Per effetto delle vicende degli ultimi tre anni sembrerebbe che il futuro dell'Artico come regione pacifica e aperta alla navigazione non sia assicurata e ben difficilmente potrà ancora rappresentare un’area di collaborazione, sia sul piano scientifico sia economico. Mentre alcune nazioni cercano la cooperazione e i vantaggi reciproci, infatti, altre desiderano plasmare la regione in modo da avvantaggiare solo le proprie priorità nazionali.

Si tratta, quindi, di un teatro che è sempre più al centro di rilevanti interessi geopolitici, economici e strategici e che rappresenta una sfida sia per i paesi che vi si affacciano sia per le altre medie e grandi potenze con interessi globali, che ambiscono a ricoprire un ruolo nella gestione delle sue enormi risorse naturali.

Una situazione, in estrema sintesi, che presenta molte opportunità ma anche dei rischi correlati a un ipotizzabile aumento delle tensioni internazionali, oggi più che mai messe a dura prova da quanto sta succedendo nel mondo.

Si tratta di una competizione che si sviluppa, come abbiamo visto, su più livelli: scientifico economico, geopolitico, militare. Tutti intimamente connessi e che hanno evidenti implicazioni per il benessere delle popolazioni interessate e che, quindi, investono anche la sfera del sociale e del quotidiano.

La storia ha dimostrato che quando si è lenti a reagire alle sfide globali, generalmente ci si trova a dover inseguire chi ha agito più rapidamente.

L’evoluzione dello scenario artico rappresenta senza dubbio una sfida a cui è bene essere preparati e, in tale contesto, la domanda che ci si pone è se l’Italia e i suoi alleati sapranno valorizzare le rispettive competenze tecnologiche e professionalità specifiche, per giocare tempestivamente ed efficacemente un ruolo da protagonisti. Ce lo auguriamo perché, se ciò non verrà fatto, sarà inevitabile la marginalizzazione e l’isolamento. Vedremo.

Leggi "Da spazio collaborativo ad area contesa: la battaglia per l’Artico (prima parte)"

i Kausha et al. The Balance of Power Between Russia and NATO in the Arctic and High North, Rutsi, 2022 p. 12. (dati di aprile 2022)

iv Rob Gillies, NATO head warns about Russian, Chinese interest in Arctic, Associated Press, 26 August 2022, https://apnews.com/.

Foto: CIA World Factbook