Da spazio collaborativo ad area contesa: la battaglia per l’Artico (prima parte)

(di Renato Scarfi)
08/02/25

Le (troppo) forti parole del Presidente statunitense Donald Trump in merito all’interesse verso la Groenlandia e il Canada, oltre che sollevare forti critiche generali, hanno portato all’attenzione del mondo la questione dell’Oceano Artico e delle implicazioni economiche e strategiche correlate a questa area, che è diventata di rilevante interesse strategico. Un’attenzione che, in effetti, non era mai venuta meno nella comunità internazionale che si occupa di geopolitica ma che, invece, non era finora stata oggetto di attenta riflessione da parte dell’opinione pubblica, più comprensibilmente concentrata su questioni immediate come la politica espansionistica russa e le tensioni in Medio Oriente, oggi diventate drammatiche realtà con la guerra in Ucraina e la situazione di Gaza e del Libano.

Fino a qualche anno addietro principalmente focalizzata sugli studi scientifici e di tutela ambientale, l’attenzione verso l’Artico sta quindi crescendo perché quest’area del mondo custodisce ancora rilevanti risorse, tant’è che viene definita “Ultimo tesoro del mondo” per le sue ingenti riserve, non solo energetiche ma anche di materie prime e terre rare. Non solo, a stuzzicare gli appetiti è anche la crescente importanza che potrebbe avere con la probabile futura apertura di nuove rotte marittime commerciali.

Tutto ciò ha inevitabilmente provocato uno slittamento dell’interesse verso aspetti più attinenti all’economia e alla sicurezza e ha scatenato una accesa competizione internazionale. Nell’ambito di questa competizione globale per l’accesso e la gestione delle risorse l’Artico rappresenta, quindi, l’attuale frontiera e su questa area del mondo si stanno focalizzando le attenzioni e gli interessi delle nazioni, non solo di quelle rivierasche.

Negli ultimi 5 anni, pertanto, la regione artica si è imposta come nuovo rilevante scenario geopolitico, i cui equilibri sarebbero in grado di influenzare i futuri assetti globali. Lungi dal non riguardare il nostro Paese, la questione artica ha invece vari aspetti di interesse anche per il nostro normale quotidiano. Vediamo quali.

Scienza e ambiente

In Artico la temperatura aumenta con una velocità 3-4 volte maggiore rispetto alla media mondiale (la cosiddetta amplificazione artica). Questo riscaldamento, tuttavia, non è uniforme tra le regioni artiche ma vi sono aree, come nella Russia settentrionale, dove si registrano aumenti di temperatura particolarmente rapidi, mentre in altre, come il Canada settentrionale e la Groenlandia, il riscaldamento avviene in maniera più graduale. Questo aumento di temperatura ha portato una serie di conseguenze come la fusione dei ghiacci marini, la riduzione dell’effetto albedo e lo scioglimento del permafrost, che accentuano ulteriormente il riscaldamento globale.

Tutto ciò provoca, per esempio, ripercussioni sul livello degli oceani, ma anche mutamenti delle correnti marine, pure alle medie latitudini, elementi che sono fondamentali per la nostra sopravvivenza su questo pianeta. In tal senso possiamo dire che l'Artico, nel contesto della ricerca sul cambiamento climatico, svolge un po’ il ruolo che una volta il canarino svolgeva nelle miniere. Cioè segnala il pericolo che si avvicina.

Con la dichiarazione di Rovaniemi del 1991 è stata varata l'Artic Environmental Protection Strategy (AEPS), dedicata alla protezione dell'ecosistema artico, alla conservazione dell’ambiente, alla comprensione delle necessità delle popolazioni indigene e alla riduzione dell'inquinamento nell’area artica. In sostanza, è il tentativo di rallentare la riduzione dei ghiacci e lo scioglimento del permafrost, che stanno rapidamente alterando la fauna e la flora della regione, con conseguenze devastanti per dozzine di specie, tra cui orsi polari, trichechi, renne e caribù.

Ma lo scioglimento del permafrost nasconde anche altre potenziali insidie. All’interno di questo terreno ghiacciato, infatti, presumibilmente risiedono carcasse di animali, virus e batteri che non hanno perso il loro carico patogeno e che sono rimasti “in sonno”, congelati per almeno 10.000 anni. Tornando “in vita” potrebbero fare dei danni. Nel permafrost, inoltre, ci sono enormi quantità di metano, un gas serra molto più climalterante dell’anidride carbonica.

In merito alla fauna marina, il riscaldamento delle acque negli oceani del mondo ha già innescato la migrazione degli stock ittici verso l'Oceano Artico, con importanti implicazioni per la sicurezza alimentare globale. Non solo, un Artico privo di ghiaccio avrebbe anche importanti conseguenze per le regioni più meridionali, che si manifesterebbero attraverso eventi meteorologici estremi, tra cui caldo e siccità, e innalzamento del livello del mare.

La storia dell’Italia in Artico risale alle attività scientifiche condotte dalla Marina fin dalla fine dell'Ottocento, proseguite poi con Umberto Nobile e, successivamente, con altri esploratori e ricercatori italiani. L’attuale fase potremmo farla partire negli anni ‘90, quando i nostri Enti di ricerca hanno cominciato a operare a Thule, in Groenlandia, in un osservatorio internazionale. C’è poi il CNR, che ha aperto nel 1997 la base “Dirigibile Italia” a Ny Ålesund (Svalbard, Norvegia).

Oltre alle attività condotte da scienziati e ricercatori civili, uno degli attori fondamentali per la ricerca scientifica è la Marina Militare, attraverso il programma pluriennale denominato “High North”. Dal 2017, infatti, con Nave Alliance la Marina è presente nell’area artica per circa sei mesi all’anno. L’attività è coordinata e condotta dall’Istituto Idrografico della Marina con il Centro di eccellenza NATO per la ricerca e la sperimentazione marittima (Centre for Maritime Research and Experimentation – CMRE), con sede a La Spezia. A tale attività in mare partecipano, inoltre, diversi enti di ricerca nazionali e internazionali come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico (ENEA), l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), il Centro di Ricerca dell’Unione Europea (Joint Research Centre - JRC), l’Istituto di Ricerca Europeo (European Research Institute - ERI). In questo modo, l’Istituto Idrografico della Marina Militare si pone al centro dell’azione scientifica nazionale in Artico, con particolare riferimento allo studio dei cambiamenti climatici in aree di particolare interesse e alla comprensione delle implicazioni ambientali di tali trasformazioni.

Economia

Il cambiamento climatico nell’Artico genera il paradosso che attività economiche prima più complesse, oggi lo sono meno determinando, per esempio, l’incremento nella navigazione e una maggiore facilità per l’estrazione di idrocarburi e per l’attività mineraria. Proprio in merito alle risorse naturali, nel 2008 l'U.S. Geological Survey ha effettuato uno studio probabilistico (il Circum Artic Resource Apprisal), stimando che l'Artico possa contenere il 30% del gas naturale e il 13% del petrolio non ancora scoperti. Le risorse minerarie parimenti presentano rilevanti prospettive, in quanto in Artico si stanno scoprendo enormi giacimenti di terre rare e di altri minerali importanti, fondamentali per le nuove tecnologie e per la transizione energetica.

Fonte: Parlamento Europeo, EU Arctic Policy in Regional Contest 2016, dati di Rispling and Roto Nordregio 2015

Altro tema, che viene ricordato meno ma è di enorme interesse, è quello della pesca, con banchi di pesce che si spostano verso il nord e che fanno diventare l'Artico sempre più importante anche dal punto di vista alimentare, attraendo tanti paesi, specialmente dell’est asiatico. Per cercare di regolamentare il prelievo ittico sono stati conclusi degli accordi settoriali. Uno molto significativo è l'accordo per combattere la pesca non regolamentata in acque artiche d’altura, siglato da Canada, Cina, Corea del Sud, Danimarca (per conto delle Isole Fær Øer e della Groenlandia), Giappone, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Unione Europea, e che si basa sui principi stabiliti dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982). Entrato in vigore nel marzo 2019 ha validità iniziale di 16 anni.

La Cina appare particolarmente attiva in questa regione, anche attraverso le commesse per la posa di cavi sottomarini per il collegamento telematico. Dopo aver disteso circa 5.000 km di cavi per connettere Canada, Islanda e Groenlandia con la HMN Tech (progetti Greenland Connect e Greenland Connect North) ora sembra, infatti, che Pechino stia pensando alla stesura di una “autostrada” telematica” sottomarina che, dall’Estremo Oriente e attraverso l’Artico, permetta di raggiungere l’Europa, aggirando l’attuale più lungo percorso che porta il collegamento attraverso Malacca, Bab-el-Mandeb e Suez, acque considerate piuttosto pericolose e dove diverse landing stations insistono su territori dove le situazioni politiche sono instabili, rendendo difficile la gestione di tali infrastrutturei. Problematiche che sono, al momento, inesistenti nella regione artica dove, peraltro, l’alleata Russia sarebbe ben presente. A sottolineare l’interesse cinese per l’area, alcune stime valutano che tra il 2012 e il 2017 i cinesi abbiano investito in Artico oltre 1.400 miliardi di dollari, principalmente nei settori energetico e minerario. In Groenlandia, per esempio, gli investimenti cinesi hanno inciso per l'11,6% del PIL, e in Islanda per il 5,7%.

Un discorso particolare merita la Russia, per la quale la regione artica è una delle aree di interesse chiave. Tra i paesi che si affacciano sull’Artico è, infatti, quella con la maggior estensione territoriale e con la popolazione più numerosa oltre il circolo polare. Prima dell'invasione dell’Ucraina, inoltre, più del 20% del PIL russo derivava da attività in questa regione ed è stato stimato che nel nord della Russia siano concentrati il 75% del petrolio e il 95% del gas russi, oltreché riserve di quelle conosciute come “terre rare”, di cui le economie occidentali sono sempre più affamate.

Il progressivo scioglimento dei ghiacci, inoltre, già oggi consente una navigazione delle rotte artiche per un periodo sempre più esteso, offrendo suggestive prospettive per il futuro del flusso di merci e una evidente chiave di sviluppo per Mosca, che vuole rimanere a tutti i costi nel novero delle grandi potenze. Oggi la Federazione Russa dispone di circa 40 rompighiaccio in servizio attivo e avrebbe programmato la costruzione di una ulteriore flotta da 13 rompighiaccio pesanti, 9 con propulsione nucleare, da completare entro il 2035, funzionale a incrementare il traffico commerciale attraverso il Passaggio a nordest. Mosca ha, inoltre, (ottimisticamente?) previsto la costruzione o l’ampliamento di numerosi hub logistici a Murmansk, Arkhangelsk, Vladivostok e nel mar di Korsakov a Sakhalin, ma anche di porti di rifornimento e manutenzione a Tiksi e Dikson, oltre che megaprogetti per lo sfruttamento delle risorse naturali simili al già operativo Yamal LNG a Utrenny per il gas liquefatto, Bukhta Sever per il petrolio e Yenisei per il carbone.

Per favorire tutto ciò è stata anche programmata la costruzione di una flottiglia di centrali nucleari galleggianti per ancorarle nei porti russi lungo la futura via marittima settentrionale, a partire dal circondario autonomo della Chukotka, ampia regione di circa 720 mila kmq situata nell’Estremo Oriente russo, in prossimità dell’Alaska, dove insistono i più grandi giacimenti di rame e oro del pianeta. Tuttavia, va segnalato che le associazioni ambientalistiche ritengono che tali centrali rappresentino un rischio altissimo per l'ecosistema, già messo in crisi dai cambiamenti climatici, e considerano questa tipologia di impianto molto vulnerabile in caso di disastro naturale.

Per quanto riguarda l’Italia, la ricerca scientifica rimane tuttora il cuore delle attività nazionali in Artico, anche se non va sottaciuta l’aggiunta di una rilevante dimensione economica. C’é l'ENI, per esempio, che ha la piattaforma offshore più a nord del mondo, in Norvegia. Poi c'è E-geos, società costituita dall’Agenzia Spaziale Italiana (20%) e da Telespazio (80%), che commercializza i dati di Cosmo-SkyMed. Infine c’é Fincantieri, che costruisce anche navi per la navigazione artica.

Geopolitica

Gli Stati artici sono otto, di cui cinque costieri e tre non costieri, ma comunque considerati artici perché hanno una parte del proprio territorio oltre il Circolo Polare Artico.

La caratteristica fondamentale dell'Artico è che, oltre a essere ovviamente un mare circondato dalla terra, ha anche una discreta presenza antropica, conta cioè una popolazione di circa 4 milioni di persone di cui 500.000 individui appartenenti a popolazioni indigene. In tale ambito il remoto, vasto e spoglio Artico canadese è in contrasto con la realtà degli altri paesi nordici. La regione settentrionale del Canada, infatti, pur rappresentando il 40% della massa continentale del paese e il 20% dell'intero Artico, è abitato da meno dello 0,5% della popolazione canadese (circa 35 milioni), con “solo” 113.000 persone che vivono in quella regione. In confronto, la Finlandia conta più abitanti “artici” del Canada, con 180.000 persone che vivono nella Finlandia settentrionale, ovvero la parte di paese al di sopra del Circolo Polare Artico. In merito, la Federazione Russa è ben al di sopra degli altri Stati artici, occupando circa il 53% dell'intera regione (con circa 24.000 km di costa) e contando circa 2 milioni di russi residenti, circa la metà di tutti quelli che vivono nell'area artica.

Fonte: Parlamento Europeo, EU Arctic Policy in Regional Contest 2016, dati di Stępień, Koivurova e Kankaanpää based on Arctic Portal and Arctic Centre

In merito alle relazioni tra Stati rivieraschi, va ricordata la dichiarazione di Ilulissat con la quale, nel 2008, gli Stati artici costieri hanno ribadito in maniera forte che non hanno nessuna intenzione di andare verso uno specifico trattato dell'Artico, di cui talvolta si parla, mentre invece ritengono che l'attuale quadro giuridico, basato soprattutto sul diritto del mare, sia assolutamente adeguato.

Per meglio comprendere le dinamiche che hanno condotto all’attuale situazione internazionale, va ricordato anche che il 1° ottobre del 1987 a Murmansk, l'allora Segretario Generale del PCUS, Michail Gorbačëv, pronunciò un discorso con il quale sottolineò la volontà di far divenire l'Artico una regione di pace e di collaborazione internazionale. Egli si riferiva soprattutto al pericolo atomico, ma il processo che ne nacque, il cosiddetto “processo di Rovaniemi” che ha portato alla citata AEPS, ha invece preso una direzione prevalentemente indirizzata agli aspetti ambientali.

Qualche anno dopo, nel 1996, in Canada, è stata approvata la dichiarazione di Ottawa, che ha creato il Consiglio Artico, non una vera e propria organizzazione internazionale, ma un foro intergovernativo che promuove la cooperazione, il coordinamento e l'interazione tra gli Stati artici, con il coinvolgimento delle popolazioni indigene dell'Artico e degli altri abitanti della regione. Come mandato ha soprattutto la ricerca scientifica, e formula raccomandazioni (quindi, non vincolanti) in materia di protezione ambientale, conservazione e sviluppo sostenibile. Ad ogni modo, il Consiglio Artico è diventato anche un contesto in cui la reciproca conoscenza serve come legame tra il mondo scientifico e i decisori politici.

Un elemento di forza del Consiglio Artico è che prevede la presenza al tavolo, allo stesso livello formale degli Stati e come partecipanti permanenti, 6 organizzazioni delle popolazioni indigene. C’è poi la presenza attiva degli osservatori, che possono essere Stati, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative. L'Italia è divenuta osservatore nel 2013 e la Farnesina ha nominato un inviato speciale per l’Artico: il Ministro Plenipotenziario Carmine Robustelli. Mentre all'inizio gli osservatori erano soprattutto paesi europei (i primi sono stati Germania, Polonia, Regno Unito, Olanda, Francia, Spagna), nel 2013 insieme a noi sono entrati altri cinque Stati (Cina, Giappone, Corea del Sud, India e Singapore).

Tra gli osservatori, il paese asiatico che ha il maggiore impatto politico è la Cina. L’interesse di quel paese verso l'Artico è molto ampio e, ovviamente, ha sia delle ragioni strategiche sia tante altre motivazioni, per esempio economiche, come la pesca.

È opportuno osservare come l’isolamento internazionale della Russia in seguito alla seconda aggressione all’Ucraina sia sfruttato dalla Cina per incunearsi in una regione che geograficamente le è estranea, ma che ha un potenziale di sviluppo notevole. Pechino sta, infatti, cercando di posizionarsi con mire da potenza globale attraverso le iniziative One-Belt One-Road già in atto (quella marittima, più sviluppata e prospetticamente più remunerativa e quella su rotaia fino alla Germania) e con un occhio comunque attento anche agli sviluppi in Artico, regione in cui si sovrappongono sfide al pari di opportunità. Per Pechino, la Northen Sea Route (NSR) rappresenta una possibile soluzione al “dilemma di Malacca” e, infatti, è cresciuta la cooperazione con Mosca, con capitali cinesi (si parla di decine di miliardi di dollari) impiegati nella costruzione di infrastrutture legate al settore energetico russo. Il già citato Yamal LNG è il frutto tangibile di questa crescente cooperazione.

Rispetto alle potenzialità delle possibili nuove rotte del nord la Cina non sta, quindi, a guardare, dipendente com’è dai commerci internazionali. Non a caso Pechino, dopo la creazione nel 1981 del Comitato Nazionale di spedizione Antartica, con compiti di coordinamento della ricerca antartica, e dell’avvio di collaborazioni scientifiche al Polo Sud, nel 1999 ha condotto la prima spedizione scientifica in Artico col proprio rompighiaccio Xue Long, nel 2013 ha ottenuto lo status di osservatore presso il Consiglio Artico e nel gennaio 2018 ha elaborato una propria strategia artica, dichiarandosi near arctic state.

Per quanto attiene alla Russia, dal punto di vista della grand strategy, la guerra in Ucraina ha cambiato ben poco della sua visione dell’Artico. La regione resta di primario interesse di Mosca, anzi, si può dire che abbia acquisito ulteriore importanza. Infatti, l’aspetto economico è immutato, visto che gran parte delle risorse energetiche e delle materie prime russe, come detto, si trovano nel nord e anche con le sanzioni occidentali e la parziale chiusura delle esportazioni verso i paesi europei, il settore resta fondamentale. Per questo il mantenimento delle infrastrutture esistenti e lo sviluppo di nuove non può essere accantonato del tutto. Tuttavia, l’aggressione all’Ucraina ha avuto delle ripercussioni significative anche nell’Artico, e mi riferisco al drenaggio di risorse che il Cremlino avrebbe potuto stanziare per il prosieguo della propria strategia nella regione e che, invece, si trova a dover indirizzare verso il sostegno dello sforzo bellico in Ucraina. Questo naturalmente ridimensiona gli ambiziosi obiettivi dichiarati da Mosca nel documento strategico del 2020, che nel breve-medio termine dovranno fare i conti con la situazione sul terreno.

Un ultimo, ma non meno importante, dato è che fatta eccezione per la Russia, per effetto della guerra in Ucraina e il conseguente ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica, tutti gli altri paesi costieri dell’Arctic Council fanno parte della NATO.

Tuttavia, a proposito di Alleanza Atlantica, va annotato il fatto che tra gli alleati vi sono alcune disparità di vedute in merito all’accesso alle rotte artiche. Mi riferisco, per esempio, alle diatribe finora latenti tra Canada e Stati Uniti, oggi acuite dalle (eccessive) ultime dichiarazioni di Trump, e a quelle sorte tra Washington e Copenhagen in merito alla Groenlandia (isola più grande del mondo con più di 2 milioni di kmq di superficie, pari a circa i due terzi dell’Argentina). Provocazioni che non hanno mancato di suscitare reazioni indignate e che rischiano di minare la reciproca fiducia, costruita in decenni di leale collaborazione che, oggi, gli USA sembra vogliano ridurre d’intensità. Forti e preoccupanti segnali di una possibile divergenza in merito al metodo per il raggiungimento degli obiettivi strategici.

Fino a oggi, infatti, le contese regionali tra gli Stati rivieraschi sono state gestite in maniera conforme al diritto internazionale ma, in un mondo sempre più frammentato e incerto, nel quale l’ONU appare ormai incapace di contenere o dirimere le controversie internazionali, il multilateralismo sembra purtroppo aver perduto la sua attrattiva. In tale quadro, le alleanze avranno un peso enorme sui futuri equilibri della regione e mondiali. Nessuno, infatti, può farcela da solo a far fronte alle gravi sfide geopolitiche che si vanno profilando. in particolar modo quando si hanno di fronte avversari come Putin e Xi Jinping, minacciosi e determinati a esasperare ogni crisi.

In tale quadro, l’Unione europea (UE) ha sviluppato una sua specifica strategia, che mira ad affrontare le complesse dinamiche della regione artica, considerando sia gli aspetti di cooperazione internazionale sia quelli di tutela dell'ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile. Nel 2021, la Commissione europea ha quindi esplicitato le modalità dell’approccio europeo nella regione e le aree considerate critiche per la politica artica, tramite la dichiarazione congiunta “A stronger EU engagement for a peaceful, sustainable and prosperous Arctic”. La linea d’azione europea nell’Artico, in un’ottica di promozione dello sviluppo sostenibile e di protezione dell’ambiente, comprende anche la conservazione e l'uso sostenibile delle risorse marine viventi dell'Artico, inclusi gli stock ittici. In tale quadro si inserisce il citato Accordo per combattere la pesca non regolamentata in acque artiche d’altura.

In merito alle linee di comunicazione marittima, la cui essenzialità per la nostra economia ho più volte sottolineato, se da un lato va detto che vi sono fondati motivi per ritenere che l’apertura delle nuove rotte artiche rappresenti un rischio di scavalcamento dei transiti via Suez e di conseguente marginalizzazione dell’intera regione mediterranea, altre correnti di pensiero ritengono che la rotta artica possa, anche in prospettiva futura, essere non particolarmente agevole da percorrere, anche in conseguenza del fatto che il 53% è monopolizzato da un solo paese che, tra le altre cose, insiste sul controllo diretto dei traffici marittimi, imponendo l’uso di proprie navi rompighiaccio di supporto a chi voglia percorrere quella rotta.

La convinzione che questa possa essere una rotta da percorrere parallelamente alla classica rotta Oceano Indiano, Suez, Mediterraneo, Gibilterra potrebbe, pertanto, essere un po’ utopistica. La rotta artica, ancorché importante come rotta alternativa, non appare infatti altrettanto importante come rotta parallela alle rotte esistenti, perché le rotte container hanno una peculiarità. Esse non sono mai point to point, cioè non esiste una rotta che va da Shanghai e arriva direttamente ad Amburgo. Sono rotte che le navi porta container, a maggior ragione le grandi navi da 22 a 24.000 TEU, percorrono facendo svariate soste nel corso della loro navigazione e fungono sia da regional carrier sia da global carrier. In estrema sintesi, esse rastrellano carico e distribuiscono carico ovunque possono, cosa che non potrebbero fare lungo le rotte artiche.

A ciò aggiungo che l’8 agosto 2013, per la prima volta, il cargo cinese Yong Sheng da 19 mila tonnellate, è stato in grado di viaggiare dalla Cina all’Europa attraverso l’Artico, senza cioè passare dal Canale di Suez, salpando da Dalian, il più grande porto petrolifero cinese, situato nel nord-est (Liaoning), e approdando a Rotterdam il pomeriggio del 10 settembre, dopo aver attraversato lo Stretto di Bering. Un’impresa prima possibile solo alle navi rompighiaccio maggiori. Un successo che ha coronato un sogno di lunga data e che ha portato a un aumento del 35% nel numero delle navi che tra il 2013 e il 2019 hanno transitato attraverso l’Articoii, ma ancora di dimensioni tali da non mettere in discussione le attuali rotte commerciali più meridionali.

In sostanza, l’area artica ha rilevante importanza dal punto di vista strategico, energetico, di sfruttamento delle risorse minerali, ma senz’altro minore (appunto alternativa e non parallela) per la navigazione commerciale. In pratica, la rotta polare avrebbe delle similitudini con la linea ferroviaria transiberiana, per citare una linea su terra che colleghi due punti molto distanti tra loro. Alcuni geopolitici affezionati alle teorie del britannico Halford John Mackinder, che nel 1902 ha formulato il concetto di uno Stato continentale perno (Heartland), la cui potenza poteva mettere in discussione la prevalenza della potenza marittima, ritengono infatti che il traffico ferroviario possa rappresentare un'alternativa al traffico marittimo. Tuttavia, se uno fa i conti di quanti container trasporta una nave da 24.000 TEU e conta quanti treni vanno impiegati per portare lo stesso carico con un percorso ferroviario come la transiberiana, per esempio, risulta che ci vogliono circa due anni e mezzo. Solo per pareggiare il carico di una nave.

In tal senso le rotte artiche avrebbero delle difficoltà a confrontarsi con l’enorme capacità (e quindi economicità) dei trasporti lungo le esistenti rotte, anche se più lunghe.

Leggi "Da spazio collaborativo ad area contesa: la battaglia per l’Artico (seconda parte)"

i Antonio Deruda, Geopolitica digitale, perché la Cina punta alla conquista dell’Artico, www.agendadigitale.eu, 15 maggio 2024

ii Cifre della Arctic Ship Traffic Data

Foto: JIPA (luglio-agosto 2024) / web