Pesco, quale il futuro dell’Italia nel progetto di cooperazione strutturata permanente?

(di Maria Enrica Rubino)
03/11/17

Tra pochi giorni a Bruxelles si riuniranno i Ministri degli Esteri e della Difesa dell’Ue con l’obiettivo di dotarsi quanto prima di un proprio sistema di difesa comune a cui seguirà, in dicembre, il vertice dei capi di Stato.

Dopo tanti anni in cui se ne parlava soltanto nei convegni, finalmente c’è una prospettiva concreta che si riesca a decidere delle cooperazioni rafforzate che, sicuramente, integrino le nostre capacità di difesa. Siamo riusciti a far diventare concreta un’agenda che era rimasta solo al livello di convegni”. È con queste parole che qualche giorno fa, dal palco della conferenza programmatica del Pd, “Italia 2020”, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha auspicato il varo definitivo della Cooperazione strutturata permanente (Pesco), ovvero la possibilità per alcuni Paesi Ue, come previsto dal Trattato di Lisbona, di rafforzare la propria cooperazione in ambito militare dando vita a una cooperazione strutturata permanente (articolo 42 del Trattato sull’Unione Europea o TUE).

E due giorni dopo, durante l’incontro organizzato dallo IAI (Istituto per gli Affari Internazionali) la Pinotti ritorna sull’argomento, ribadendo: “la Pesco è prevista dal Trattato di Lisbona, è stata rilanciata dalla Strategia globale presentata lo scorso giugno dall’Alto rappresentante ed è sostenuta, tra gli altri, da Italia, Francia, Germania e Spagna”.

La spinta sul pedale dell’acceleratore in direzione della Pesco è stata determinata dallo scenario politico che si è profilato e che è in divenire (con una prefigurazione della situazione al 2025) nel Regno Unito con la Brexit e, non meno, dalle politiche ‘centraliste’ di Donald Trump.

Nell’ambito del programma europeo di sviluppo del settore industriale di difesa, derivante dalla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, rientra il progetto di istituire un Fondo europeo per la difesa articolato in due sezioni: una dedicata alla ricerca e l’altra alle capacità di innovazione dell’industria europea della difesa. Sul tema si è già espressa la 4° Commissione Difesa del Senato, lo scorso 3 ottobre.

Per quel che attiene la parte ‘ricerca’, ovvero il finanziamento di ambiti di ricerca ritenuti cruciali per lo sviluppo di alcuni sistemi di difesa ‘chiave’, nel 2017 è stato già attivato un finanziamento pari a 25 milioni di euro, ai quali si sommeranno 40 milioni nel 2018 e 25 milioni nel 2019 per un totale di 90 milioni di euro in tre anni (2017-2019).

Per ciò che attiene la sezione ‘capacità’ si tratta dell’istituzione di un programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa: 245 milioni per il 2019 e 255 milioni per il 2020. La fase iniziale prevede il cofinanziamento di progetti che coinvolgano almeno tre imprese appartenenti ad almeno due Stati membri: previsione che potrebbe comportare una concentrazione sproporzionata delle risorse su iniziative bilaterali e non propriamente europee, ‘con possibili risvolti critici per diversi Paesi membri’, si spiega chiaramente nella relazione della Commissione Difesa, fondi che afferiscono ai progetti EDIDP e PADR (per essere precisi).

Perciò il quadrato della difesa (Italia, Francia, Germania e Spagna) potrebbe non essere una forma geometrica perfetta. E ad essere penalizzate potrebbero essere proprio alcune aziende italiane, magari quelle che negli anni passati hanno svolto e svolgono tutt’oggi gran parte delle proprie attività nel Regno Unito, Paese che, molto probabilmente, potrebbe essere uscito dall’Unione europea al momento dell’avvio del prossimo quadro finanziario pluriennale. E non è tutto.

Per coprire i costi del bilancio in previsione per il Programma, la proposta di regolamento prospettata nel quadro finanziario pluriennale prevede una corrispondente riduzione delle dotazioni che erano state previste per il meccanismo per collegare l’Europa: 145 milioni in meno. Tagli anche ai programmi europei di navigazione satellitare: -135 milioni di euro per Galileo; e ancora la riduzione di 15 milioni al programma europeo di osservazione della Terra e 80 milioni in meno al progetto ITER sulla fusione nucleare (foto).

Quale sarà il futuro di questi settori della ricerca? E quali le prospettive delle imprese italiane, come Leonardo, che hanno costruito un business anche in progetti in collaborazione con la Gran Bretagna?