L'Iran e il nucleare. Le ragioni che innervosiscono Israele

(di Giampiero Venturi)
03/04/15

Gli accordi di Losanna sul nucleare iraniano fanno notizia come il viatico di un nuovo mondo di pace. La diplomazia però conta più della demagogia e non tutti accolgono la novella spellandosi le mani. Paese che vai, reazione che trovi. A prescindere dagli affreschi ideologici dell’amministrazione Netanyahu, le ragioni di fondo per cui l’occhiolino all’Iran fa innervosire Israele, sono essenzialmente due. Una è la natura dell’Iran. L’altra è quella di Israele.

Andiamo per ordine.

Nel ’79 la Persia di Reza Pahlavi scompare in virtù della rivoluzione islamica di Khomeini, la prima dei tempi moderni. A Teheran, Washington lascia caviale e petrolio e trova un vulcano pieno di odio e rancore. Com’è in uso dire presso le cancellerie di mezzo mondo, “l’Iran non è l'ultima ruota del carro…” ma una bomba demografica, con enormi riserve petrolifere. La sua grande tradizione diplomatica, la sua posizione geografica e non ultima, una spolverata di autostima, lo configurano come potenza regionale di alto livello.

Viene da sé che gli equilibri cambiano e con essi le alleanze: gli Arabi nasseriani coccolati dai Sovietici in chiave antioccidentale, diventano utili in funzione di argine. A Camp David si ricicla l’Egitto, che si trasforma da fistola ad alleato fidato. L’outsider Saddam viene foraggiato nella guerra contro l’Iran e da baathista scomodo, diventa l’amicone di tutti i giorni.

Sono gli anni ’80, gli anni di Rambo e Rocky: in Medio Oriente il nemico di Tel Aviv diventa sciita. Fatti salvi Gheddafi e alcune incancellabili sacche di antipatia per lo Stato ebraico, nel mondo arabo solo Assad-padre e i suoi aventi causa di Hezbollah sembrano una minaccia tangibile. Il legame tra Iran e Siria, unici islamici dell’area non sunniti, sono noti a tutti.

Ma il vero problema non è nemmeno Damasco. Le guerre arabo-israeliane hanno parlato chiaro: Israele teme gli Arabi ma fino a un certo punto. Nel Libano del Sud, nei Territori e nel Golan ha messo paletti seri e sa come contenerli, soprattutto quando hanno il rango di Stati e di forza armata. Israele è più forte di tutti gli Arabi messi insieme. Il rischio vero è la Persia.

“La via per Gerusalemme passa per Baghdad” recitava Khomeini ai tempi della guerra con l’Iraq. Ça va sans dire: due spinte incontenibili sembrano surclassare ogni contingenza politica: da una parte l’eliminazione dello Stato ebraico, obiettivo insito nel genoma della rivoluzione khomeinista; dall’altra lo spirito ereditato da Ciro il Grande che spinge i Persiani da millenni a guardare verso Ovest. Saranno i cedri del Libano, sarà il Mediterraneo più accogliente dello stretto di Hormuz… fatto è che l’Iran punta sempre da questo lato. Che oltre l’Eufrate ci fosse gente tosta, lo impararono anche i Romani al tempo dei Parti d’altronde…

L’esistenza di un Iran islamico e sciita, cresciuto con la mission della purificazione di Gerusalemme, è quindi di per sé un grattacapo per Israele che a sua volta non può recedere dalla sua vocazione naturale: esistere.

Nessun altro Paese al mondo sembra così legato a questa funzione, apparentemente banale. Cosa significhi esattamente lo lasciamo raccontare coi fatti alle diverse interpretazioni che i governi di Tel Aviv ci hanno dato nei decenni. La recente affermazione del Likud però non cancella l’istinto ultimo che perfino i partiti più progressisti della Knesset esprimono: campare e campare con una certa autorità.

Che le due posizioni creino un vago attrito lo capisce anche un cretino. Difficile mettere insieme chi vuole vivere alla grande e chi fa di tutto per impedirglielo. Non parliamo di colpe, di Storia, di ragioni, di religione e di imperialismi; ci limitiamo alla tautologia.

Ora il dubbio più grande. Cosa succederà adesso che l’America civetta con l’Iran per tamponare gli errori commessi in Siria? Gli accordi di Losanna non sono casuali.

Ci sono voluti quattro anni per capire l'errore fatto armando i ribelli anti Assad-figlio. Quattro anni in cui gli errori commessi in Iraq, in Libia e con i mujaheddin nell’Afghanistan sovietico (diventati poi Talebani) non hanno insegnato nulla.

Ora che la bolla sciita iraniana, tanto odiata dalle monarchie del Golfo, sembra necessaria per arginare le derive sunnite dell’Isis e l’anarchia dilagante in Medio Oriente, come ci si muoverà?

Se l’Iran cederà nello Yemen, aumentando le sua carte negoziali, che altre concessioni farà l’America oltre agli accordi di Losanna?

Tutto da ridere ad esempio il triangolo dei rapporti tra Siria, Iran ed Hezbollah in Libano, con Tel Aviv che osserva nervosa.

Se tra Israele e Washington c’è freddo, oggi non c’è da stupirsi. C’è da capire cosa succederà finita l’era Obama, agli sgoccioli ormai in tutti i sensi.

Chi vivrà vedrà. Chi non vivrà, amen. Il Medio Oriente in fondo, tutto fa tranne che annoiare.

Giampiero Venturi