Reportage Afghanistan: Cripwell, “Abbiamo bisogno di ogni singolo soldato ora, neanche uno di meno…”

(di Giusy Federici)
12/09/18

Il mio incarico, quello di vice comandante di HQ Resolute Support in Afghanistan, si alterna tra italiani e britannici. Come deputy commander, il mio compito consiste in tre principali step: interagire con la comunità internazionale, con i ministri politici e la società civile afghana e con tutti gli ambasciatori dei Paesi della coalizione, affinché siano chiari gli obiettivi di Resolute Support e l'intento del suo comandante”.

Parlare con il generale di corpo d’armata Richard Cripwell, vice comandante della missione Resolute Support (RS) a Kabul, è decisamente un privilegio. Geniere (fa parte del Corpo del Genio Reale della Gran Bretagna dal 1982), il gen. Cripwell ha una lunga esperienza di soldato e di missioni internazionali, dal Kosovo all’Iraq all’Afghanistan. Tra i riconoscimenti ottenuti in Patria, quelli di Commander of the Order of the British Empire e di Companion of the Order of the Bath e, negli Stati Uniti, di Officer of the Legion of Merit.

 Il ruolo di vice comandante all’interno di RS è in alternanza tra Italia e Regno Unito: il gen. Cripwell ha sostituito il parigrado Rosario Castellano e il nuovo avvicendamento sarà con l’italiano gen. Salvatore Camporeale.

Estremamente preparato, Richard Cripwell è uno di quegli uomini il cui curriculum parla per lui. Per la tipologia del suo ruolo, perché lavora a fianco del comandante di RS all’interno della stessa missione (in questo momento la più importante per la NATO) ma con mansioni differenti e per la lunga esperienza in Afghanistan, è la persona giusta che può spiegare come si sta evolvendo il processo di pace nel Paese centroasiatico, avendone una visione globale.

Quando hai la fortuna di incontrarlo – e lo si ringrazia per il tempo che ha voluto concedere nonostante gli impegni - al soldato di lungo corso e di alta professionalità si somma la gentilezza e la disponibilità.

Generale Cripwell, il Regno Unito ha annunciato un rafforzamento degli assetti già presenti in area. Qual è il ruolo del Suo Paese nei confronti dell’Afghanistan e di RS?

Il Regno Unito è una delle Nazioni che contribuiscono alla missione e la maggior parte del nostro lavoro è su Kabul. Non siamo una nazione framework (nel senso che non ha la responsabilità di un settore come accade, invece, per l’Italia, ndr), lavoriamo come training, assistance e advice a favore delle unità che sono nell’area di Kabul. Al summit di Bruxelles il Regno Unito ha annunciato l’incremento di 440 militari che cominceranno ad arrivare da settembre e principalmente saranno impiegati nel Kabul Security Forces, soprattutto nell’attività di training a favore dei ministeri e delle organizzazioni che sono nell’area.

Come vede l’unità di intenti di RS in rapporto alle varie organizzazioni (Nazioni Unite, la missione di assistenza all’Afghanistan delle stesse Nazioni Unite UNAMA, Unione europea), per il raggiungimento della piena stabilizzazione dell’Afghanistan?

Io penso che l’unità di intenti stia raggiungendo risultati molto concreti, lo vediamo anche attraverso tutta una serie di incontri che fanno il punto della situazione. Io stesso sono impegnato, ogni settimana, in un briefing alla UNAMA Core Group, dove sono presenti tutti gli ambasciatori e dove anche il comandante di RS partecipa quattro volte l’anno. Lavoriamo in modo sinergico con UNAMA per tutte le questioni che riguardano la sicurezza, ma ci interessano particolarmente le vittime civili. A volte capita che non siamo d’accordo, ma comunque le relazioni sono ottime, visto che guardiamo tutti nella stessa direzione poiché gli obiettivi sono gli stessi, la sicurezza e la stabilità in Afghanistan.

Nel recente NATO summit di Bruxelles, i Paesi impegnati in Afghanistan hanno concordato di mantenere lo sforzo congiunto fino al 2024. Secondo Lei, le risorse messe a disposizione da ogni Paese, in termini di finanze, uomini e mezzi, sono sufficienti o vanno rafforzate?

Semplificando, diciamo che sono abbastanza. Ma soprattutto è importante il risultato del vertice di Bruxelles, il modo in cui è stato rafforzato il messaggio nei confronti dell’Afghanistan, cioè di supporto verso il Paese. Vorrei dire, però, che non tutte le posizioni previste nel piano di gestione della crisi sono state coperte, eppure le richieste rappresentano il minimo per ognuno. Noi diamo valore a tutti i nostri soldati, marinai, piloti e non chiediamo altro se non che tutte le Nazioni diano il minimo garantito.

L’Italia sostiene il massimo sforzo operativo nella regione di Herat, ai confini con l’Iran. La zona risulta essere tra le più pacificate del Paese. Alla luce di nuove sanzioni all’Iran da parte degli Stati Uniti, non ritiene che queste possano influire sul processo di stabilità dell’area?

Per prima cosa vorrei sottolineare l’eccezionale contributo che l’Italia ha dato all’Afghanistan e alla missione fin dall’inizio. L’Italia è una Paese framework e rappresenta, per i numeri dei contributori, la terza Nazione. Noi, come comando RS, diamo il massimo valore per ogni singolo uomo o donna che operano in Afghanistan, sono fondamentali per il conseguimento dell’obiettivo della missione. Il risultato ottenuto nella parte ovest, Herat, è dovuto alla leadership esercitata dagli italiani ma anche dal contributo sociale ed economico per lo sviluppo di quell’area.

E sento il dovere di ricordare che questo non è avvenuto senza doverne pagare il prezzo, 54 soldati italiani sono morti, donando la vita per la stabilità di questo Paese.

Tornando all’Afghanistan, nessuna area è ancora esattamente come noi vorremmo che fosse, in particolar modo nel sud, ad esempio a Farah, dove ci sono dei disordini mentre, in effetti, la parte ovest ha una certa stabilità rispetto al resto del Paese. Per ragioni sicuramente economiche, l’Iran influenza la stabilità dell’area, ha un legame molto forte con il confine occidentale dell’Afghanistan e questo in parte è dovuto anche al problema della gestione delle risorse idriche. Io non sono un economista, però si sa che l’Iran non è in buone condizioni economiche e la cosa ha determinato il ritorno di 600mila afghani che erano emigrati in Iran e che sono rientrati a casa loro. Non penso che questo causerà degli effetti nel lungo termine, i due Paesi sono in ottimi rapporti e alla fine la situazione migliorerà. Nonostante le sanzioni. L’Iran ha un dovere critico, quello di agire nel modo migliore e di essere un buon partner per l’Afghanistan ed è fondamentale che la sua influenza resti positiva.

La corruzione, tra le autorità afghane, quanto blocca il processo di normalizzazione del Paese e rende più difficile il lavoro di RS? E cosa si sta facendo da entrambe le parti per arginare il problema?

In effetti la corruzione è uno dei problemi più grossi, una vera e propria malattia, perché toglie soldi dove servono e va a creare degli effetti in tutti i settori del Paese. La comunità internazionale sta lavorando duramente per rimuovere questo malcostume a tutti i livelli, pubblici e privati, in Afghanistan. Ho appena partecipato a una riunione per i crimini legati alla corruzione e sui progressi che, va detto, effettivamente esistono. Ci sono persone veramente oneste che stanno cercando di lavorare per creare una società migliore e per lo sviluppo. Allo stesso modo, non ci sono dubbi che il livello di corruzione sia ancora alto e fino a quando questa non sarà sradicata il processo per raggiungere la stabilità sarà ancora difficile, perché la corruzione non riguarda solo il denaro, ma anche le posizioni, l’influenza nella società, etc. Noi stiamo facendo di tutto, nell’ambito delle Forze Armate, suggerendo leggi ad hoc per rimuovere dalle posizioni più influenti il personale che non ha le qualità adeguate. È un processo continuo e una vera e propria lotta che noi abbiamo intenzione di combattere fino in fondo.

Nel processo di pacificazione dell’Afghanistan, cosa manca per raggiungere e consolidare gli obiettivi?

In qualità di vice comandante Le dico, ma probabilmente non ne sarà sorpresa, che stiamo ottenendo dei buoni risultati, perché stiamo creando le condizioni per un Paese libero e onesto. Da sottolineare, nell’ultimo periodo, la tregua di giugno, che è stata mantenuta dalle parti e, mentre stiamo parlando, il presidente Ashraf Ghani ne ha offerta una ulteriore. Questo non vuol dire che non ci siano attacchi e violenza, ma è anche vero che ci sono tanti segni evidenti di progresso e sviluppo. Potremmo fare di meglio? Certamente sì, ma va detto che noi siamo realmente impegnati a raggiungere la pace e ottenere risultati. Quest’anno per noi è stato critico, però penso che non possiamo più tornare indietro e sono fiducioso che stiamo andando verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Giusto un anno fa, la linea adottata per l’Afghanistan dal presidente americano Donald Trump, la South Asia Strategy, ha previsto la permanenza in loco degli assetti militari sulla base non più di una time line ma di obiettivi raggiunti. In questo anno di nuova politica, secondo Lei, ci sono stati sviluppi sul terreno?

Ci sono stati due eventi fondamentali: la conferma del supporto da parte della NATO e la South Asia Strategy: entrambi hanno dato un chiaro messaggio ai talebani, quello che noi non lasceremo il Paese fino a quando non avremo raggiunto le condizioni che sono state prefissate. Questi due eventi, che hanno un po’ destabilizzato i talebani, hanno dato al presidente dell’Afghanistan un ulteriore appoggio alla sua strategia, comunicata nel summit di febbraio, su come lavorare per il raggiungimento della stabilità. Questo nuovo supporto ha anche dato ai talebani la certezza che non potranno vincere e, di conseguenza, dovranno per forza aderire ai negoziati o, quantomeno, venire a patti. Il primo cessate il fuoco è stato particolarmente importante, perché ha dimostrato che tutto il popolo vuole arrivare alla pace. Il presidente Ghani è stato molto chiaro sul fatto che l’Afghanistan non può permettersi di continuare a fare uccidere i suoi civili, spesso giovani e tra le risorse migliori del Paese, dai terroristi. È un percorso difficile, ma la Nazione è ormai sulla via giusta. E il supporto di ogni singola Nazione è importante, in particolare quello dell’Italia che è stato fondamentale in relazione alla leadership e al modo in cui ha lavorato e prodotto risultati sul terreno.

Però, sono anche assolutamente convinto che senza il supporto della comunità internazionale, non possiamo raggiungere gli obiettivi, ormai non più così lontani. Abbiamo bisogno di ogni singolo soldato, e ripeto, ogni singolo soldato, che attualmente è impiegato in Afghanistan. Non uno di più, ma neanche uno di meno. Non possiamo permetterci che venga ridotto il numero del personale attualmente impegnato.

(foto: autore / RS / Nato / ISAF)