Nigeria, il Biafra si infiamma

(di Giovanni Di Gregorio)
13/11/15

Nuova sfida per il neo-eletto Presidente Buhari, che era riuscito a fronteggiare il fenomeno terroristico di Boko Haram isolandolo nelle sole regioni remote del nordest. Nelle ultime settimane si trova a gestire quello che sembrava sopito da 45 anni, l’orgoglio Biafra.

Se si passeggia per le strade di Port Harcourt, nel River State o negli altri Stati Federali del sud, sembra di tornare a 45 anni fa, dove è facile vedere inneggianti ex esuli nigeriani che rinnegano il potere centrale e si rifanno nostalgicamente all’indipendenza del Biafra. Proprio come nel 1970, uomini scendono in strada a manifestare per urlare la voglia di secessione delle regioni tribali Igbo.

Igbo, che politicamente appartengono al partito PDP dell’ex presidente Jonathan, uscito fortemente sconfitto, sarebbero finanziati dal partito stesso per soverchiare l’unità nazionale, con la proclamazione della rinascita della Nazione del Biafra.

Biafriani, presenti anche in Italia con l’esule Sylvester Ukusare (foto sotto), che in questi anni hanno raccolto fondi e consensi in tutto il mondo per il riconoscimento politico anche alle Nazioni Unite. Biafriani che durante le ultime manifestazioni sono stati arrestati e uccisi dall’esercito e dalla polizia, come successo a Port Harcout il 10 ottobre scorso. La polizia in particolare sta mettendo in campo il 35° Battaglione Mopol costituito da soli nigeriani di etnia Hausa, provenienti dal nord del Paese.

L’impiego degli Hausa in terra Igbo ha scatenato un dissenso nei confronti dell’attuale governo, essere accusato di privilegiare le tribu legate a Buhari, proveniente da Katsina State. In effetti i poliziotti hausa hanno fatto uso della forza anche illecitamente, uccidendo decine di biafriani senza reali motivi.

Il presidente Buhari, è ben consapevole del fatto che tutto questo sia un effetto della propaganda contro il suo partito APC da parte di coloro che sono stati “spazzati via” con la scopa giunco che ne rappresenta il simbolo, dall’esecutivo attuale. E’ ben cosciente che dietro alla fomentazione delle masse ci sono i vecchi potenti Igbo, che non hanno di certo nascosto il dissenso per ogni azione del nuovo governo.

Spinti da questo odio ritrovato tra Hausa e Igbo, i biafrani hanno fatto quadrato su alcuni leader che stavano solo ad aspettare il momento giusto per ritrovare la forza di un tempo e coinvolgere le masse. I social network sono stati invasi da immagini delle manifestazioni e dalle bandiere del Biafra. Ma tutto è echeggiato ancora di più quando gli agenti dei servizi segreti hanno arrestato il direttore di Radio Biafra, Nnamdi Kanu il 17 ottobre all’aereoporto di Lagos,  con la volontà politica di mettere a tacere una voce scomoda, ma scatenando la rabbia violenta degli Igbo e dei governatori locali appartenenti al PDP.

Kanu, esule a Londra, da dove trasmetteva via web, è stato incolpato di istigazione al terrorismo e alla guerriglia contro il Governo Centrale, a suo dire colpevole di atti di xenofobia. Proprio come 45 anni fa le grida di guerra, Guerra del Biafra, si ascoltano per le vie delle maggiori città delle ricche regioni petrolifere del sud. In barba al motto nazionale dell’unità di 256 tribù, risale l’orgoglio della propria indipendenza territoriale, forti del valore del Bonny Light (petrolio d'alta qualità, ndr) che assicura gli interessi di supporters stranieri, consapevoli come già in passato, di far gola a nazioni pronti a impossessarsi del prezioso oro nero in cambio di aiuto militare. Una guerra, come tante, solo per interessi economici che come 45 anni fa, arrecherà solo una alta povertà tra la popolazione, che non vive godendo dei proventi del petrolio.