Il ritorno del Vietnam cambia il Sudest asiatico. Cap. 2: Hanoi potenza regionale (fine)

(di Giampiero Venturi)
03/06/16

Fin dai tempi dell’indipendenza i rapporti tra il Vietnam e il suo vicinato sono costellati da tensioni. È stato così nel ’78 con l’invasione della Cambogia di Pol Pot; è stato così con la guerra voluta dalla Cina nel ’79; ed è così per il Laos attuale, cortile di casa ma terreno di scontro con Pechino per l’egemonia politica ed economica.

Se questo da una parte ci sottolinea un peso politico in Indocina consolidato ormai da 40 anni, ci introduce anche all’evidenza che il Vietnam di oggi è una pedina pesante nei nuovi contesti geopolitici d’Oriente.

Tutto ruota intorno ai rapporti con la Cina, non più relegati alla diversa interpretazione del socialismo, ma divenuti pendolo di stabilità dell’intera regione.

Tra bandiere rosse e un’infinità di sacrari militari, girare per il Vietnam offre l’idea di un immobilismo solo apparente. In superficie tutto sgocciola secondo i ritmi lenti di un’Indocina indolente, umida e affascinante: i caschetti militari onnipresenti; il ferro battuto dei caffè francesi sopravvissuti alla decolonizzazione; gli aromi malinconici da Nouveau Roman; le litanie dei venditori di strada… Tutto nel Vietnam sembra un fermo immagine. In realtà tutto cambia rapidamente.

Alle trasformazioni economiche e sociali accennate nella prima parte del reportage, si sommano gli aspetti politico-militari che fanno di Hanoi un perno strategico.

Il Vietnam rientra in un quadro di frizione critico tra gli ex nemici Stati Uniti e la Cina, impegnata ad ampliare la sua sfera d’influenza marittima tra la penisola di Corea e il Golfo del Tonchino. In questo senso i fatti hanno preceduto le parole: l’adozione nel 2012 di una Legge Marittima che rivendicasse diritti sulle isole Paracel e Spratly è stata indirettamente caldeggiata proprio da Washington.

La pressione ha fatto pendant col contenzioso aperto alla Corte dell’Aia dalle Filippine, storico alleato USA, riguardo la sovranità sul Mar Cinese Meridionale. 

In entrambi i casi Pechino ha tirato dritto: ha alzato i toni con Hanoi e ha dichiarato di non accettare l’arbitrato internazionale chiesto da Manila, rivendicando l’80% del mare in questione. Per rendere ancora più chiare le proprie intenzioni ha militarizzato le isole artificiali dell’arcipelago Spratly, allargando il proprio raggio d’azione e aumentando ulteriormente la tensione.

USA e Vietnam quindi, alleati contro la Cina?

Il quadro è più complesso.

In realtà a fare la differenza c’è il ruolo di Mosca, amica storica del Vietnam. I generosi aiuti sovietici spinsero Hanoi prima verso l’indipendenza (Vietnam del Nord), poi alla conquista di Saigon e alla riunificazione del ‘75.

Con la fine dell’Unione Sovietica i rapporti tra Mosca e Hanoi hanno inizialmente perso di slancio. Solo con la rinascita militare e politica della Russia la vecchia alleanza si è riempita di nuovi contenuti i cui effetti si sono materializzati nella seconda metà degli anni 2000. Agli investimenti russi in Indocina si sono sommati nuovi dati politici e militari.

La base aeronavale di Cam Ranh Bay, abbandonata negli anni ’90, oggi è tornata ad essere un punto di approdo per la flotta russa, unica ad avere libero accesso senza permessi particolari. Non solo: le forniture principali di materiale bellico continuano ad essere russe e alla luce dei recenti programmi di acquisizione, stanno generando un salto di qualità del già considerevole peso militare del Vietnam.

È necessario in questo caso fare qualche precisazione.

Le forze armate vietnamite sono l’ossatura della società, sentinella di un sistema politico ed economico controllato in modo rigido. Tradizionalmente efficienti e tenute in alta considerazione dagli analisti, sono tuttavia strutturate secondo la logica della difesa territoriale, sulla scia di un’esperienza pluridecennale e vincolate dalla conformazione del territorio. Le dure lezioni impartite a francesi, americani e cambogiani, (in qualche modo anche ai cinesi…) hanno definito la Quân Đội Nhân Dân Vit Nam (l’Armata Popolare Vietnamita) come insuperabile sul proprio territorio ma con una capacità di proiezione limitata al vicinato. 

Il ritorno del Vietnam, o meglio il suo ingresso in un contesto macroregionale, cambia le carte in tavola.

Prima cartina da tornasole di questo cambio di marcia è l’evoluzione della Hải quân nhân dân (la Marina militare). Configurata per il pattugliamento costiero e dotata di naviglio di piccolo tonnellaggio o addirittura di prede di guerra, ha iniziato a riprogrammare i suoi compiti istituzionali in funzione di un allargamento delle competenze verso est. Dietro il potenziamento c’è proprio la Russia.

Nel 2009 il Vietnam ha investito 3,2 miliardi di dollari per l’acquisizione di sei sottomarini Kilo (dotati di missili d’attacco Klub) e per l’adeguamento della base di Cam Ranh Bay alle forze subacquee. Entro il 2018 saranno operative tutte le 6 Fregate Gepard acquisite da Mosca, portando a 24 le unità d’altura dotate di missili antinave di ultima generazione. Le acquisizioni in campo missilistico, fra cui vanno segnalate alcune batterie di S-300, fanno della Marina non più la cenerentola delle Forze Armate vietnamite, ma un’autentica forza di proiezione capace di fronteggiare senza soggezione eventuali provocazioni cinesi.

Gli USA nel frattempo tessono trame e rimangono in attesa, cercando di accorciare i ritardi accumulati nel Mar Cinese Meridionale negli ultimi quarant’anni.

Le The Mau, alto ufficiale vietnamita esperto di geopolitica, dichiara “I rapporti fra Vietnam e Russia sono solidi e volti ad una strategia globale dei due Paesi.”

In realtà in previsione di un aumento della tensione fra Cina e America, sono anche utili alla stabilità regionale. La Russia, nonostante la rivalità ai tempi dell’URSS, oggi ha ottime relazioni con la Cina, in una logica di argine anti USA. Il rinnovato flirt fra Russia e Vietnam non ha quindi solo un significato bilaterale, ma risulta decisivo per impedire la degenerazione della rivalità fra Hanoi e Pechino. Mosca in sostanza è l’unico mediatore degli attriti fra Vietnam e Cina e l’unico soggetto capace di impedire che la tensione nel Mar Cinese Meridionale si trasformi in guerra.

Gli Stati Uniti viceversa hanno tutto l’interesse ad alzare i toni della contesa, nel tentativo di reinserirsi in un’area dagli equilibri mobili. La fine dell’embargo USA al Vietnam e l’aumento della presenza navale americana nell’area vanno interpretati proprio in questo senso.

In Indocina tutto sembra immobile, tutto cambia.

Al mercato di Dan Sinh, nella ex-Saigon, si trovano migliaia di zippo originali USA… Meno di un km più in là, ci sono ancora il Rex Hotel, luogo di rendez vous fra ufficiali americani e stampa ai tempi della guerra e il Caravelle, altro luogo vintage degli ultimi giorni di Saigon. Chissà cosa ne pensano le migliaia di americani tornati a viverci dopo averci perso la gioventù…

Tutto odora di film, di storia, d’incredibile nostalgia… Sembra identica anche la luce che filtra le bandiere sul 17° parallelo una volta confine tra il Nord comunista e il Sud filoccidentale. Restano una Ba ba ba fredda e una sigaretta scadente per guardare il mare oltre una spiaggia anonima. Oltre le barche di pescatori immutati da secoli, a qualche miglio da qui, incrociano interessi enormi.

Il Vietnam è un Paese assurdo, ostaggio del suo passato dannato ma con una vocazione fortissima al futuro prossimo. Si capisce bene, affacciati a una spelonca sul Fiume Rosso, ad Hanoi. Il tempo si ferma, ma l’acqua intanto scorre veloce.

(foto: dell’autore e Hải quân Nhân dân Việt Nam)