Dal fronte ucraino - cap. 3: Di che Azov stiamo parlando?

(di Giampiero Venturi)
27/04/15

Vetri rotti e muri sbrecciati. C’è più ordine tra le macerie dell’aeroporto di Donetsk che nelle menti occidentali impegnate a capire la crisi in Ucraina. Soprattutto sui riferimenti ideologici, la confusione la fa da padrone. Gli adepti del "basta che ci sia una rivolta" nel 2014 hanno gioito alla caduta del presidente filorusso Yanukovich. Quando cade un tiranno (eletto o meno che sia), spesso finisce come alla sagra della salsiccia: tutti si riempiono la bocca ma nessuno pensa alle conseguenze. Appena annusata l’aria di Maidan però, dalle analisi del benpensante occidentale è nato un allarme. Non parliamo di colesterolo, ma di come regolarsi con la lavagna buoni-cattivi.

A questo proposito è emblematico il collocamento mediatico del presidente russo Putin, etichettato da anni nei salotti buoni come omofobo e reazionario. Il flirt fra la NATO e Kiev, ha dato uno scossone, suscitando in molte testoline il più classico dei dubbi amletici: 

"Su Facebook adesso come mi comporto? scrivo contro o a favore di Putin?”

Se il Cremlino fa spesso uso di retoriche neosovietiche, è altrettanto vero che patrocina principi più cari alle Chiese cristiane tradizionaliste che a un’Europa progressista, efebica e secolarizzata. Insomma, il Rosso o il Nero? Stendhal e sagra della salsiccia a parte, come orientarsi?

La faccenda è tosta. Vale la pena approfondire con ordine. 

Alcuni reparti paramilitari ucraini sfoggiano emblemi nazisti (il Battaglione Azov è un esempio ormai rinomato); alcune unità filorusse viceversa vantano simboli dell’ex Armata Rossa. È sufficiente un’esperienza in prima linea per avere conferme.

Forse siamo tornati agli anni '40?

Se con ’40 intendiamo quelli del XX° secolo, la risposta è no.

È bene chiarire che il rapporto tra russi e ucraini, declinato spesso in odio, in tutto si può riassumere tranne che in un distinguo ideologico. Con buona pace di chi ancora vive nel '900, ne mancano i presupposti.

Con un giro nel Donbass si chiariscono bene le idee e si favoriscono domande intelligentissime:

chi si arruola come volontario nelle file ucraine, quale Berlino difende? Quella della Charlemagne assediata dall’Armata Rossa di Zukov o quella della Merkel, dante causa di Bruxelles? chi crede di reincarnare Degrelle nelle steppe cosacche, combatte le orde asiatico-bolsceviche o porta acqua al mulino di Obama?

Per capire chi combatte cosa, basterebbe chiedersi quale soggetto sia oggi più vicino all’iconografie dell’Europa-fortezza legata ai miti medievali: la Russia di Putin che omaggia in prima persona i Cristiani d’Armenia o la Bruxelles finanziaria che finanzia nuove moschee? L’ampiezza dell’enigma giustifica la pena di affrontarlo.

Anziché spiegarsi la crisi ucraina con un desueto confronto nazismo-comunismo, forse sarebbe meglio calarsi in contesti più attuali, magari sulla base di un confronto euroatlantico, dimenticando le eredità ideologiche sepolte dal tempo. Capiremmo meglio così anche su quali tamburi batte oggi la propaganda.

Russi e Occidente hanno dato un peso diverso al Nazismo. L’Occidente lo ha vissuto da dentro; l'Unione Sovietica, almeno fino al ‘41, da fuori. Per i russi, eredi dell'URSS, il Terzo Reich è stato l’atroce nemico della Grande Guerra Patriottica. I nazisti, secondo la coscienza russa, più che deportatori di ebrei (Stalin aveva la coscienza sporca sul tema), sono stati gli invasori, le armate nere che vengono da Ovest: è più facile capirlo con una partita di Risiko che con un libro.

La retorica anti-nazifascista sempre presente nelle parole di Putin, non è altro che un omaggio al martirio storico, ossessione costante e inamovibile dal DNA del popolo russo e dei popoli slavi in genere. Trarne conseguenze ideologiche è più puerile che analitico.

Viceversa nell'iconografia degli ucraini, che in maggioranza mal digerirono la Rivoluzione di ottobre, i russi sono ancora i bolscevichi barbari che arrivano da Est e mangiano i bambini. I racconti dei cosacchi bianchi sul tema parlano chiaro.

Sono retaggi storici utili anche alle rispettive propagande per fare leva sui sentimenti popolari. Per decenni nelle scuole dell’URSS (prima) e della Federazione (poi) è stato agitato lo spauracchio nazista. Con 25 milioni di morti e milioni di nonni decorati, difficile fare altrimenti.

Al contrario, niente infervora un ucraino più del nazionalismo che libera il popolo dall'oppressione rossa. Con le sirene NATO a cantare sullo sfondo, sarebbe difficile pensarla diversamente.

Russi e ucraini combattono nel loro spazio una battaglia storica e culturale che trasvola i simboli ideologici. La Russia si gioca l’idea d’impero risorta dopo il decennio buio ’91-2000 e rispolvera l'eterna fobia da accerchiamento, base dell’isteria e dell’identità nazionale; l’Ucraina si gioca il futuro, in bilico tra un Est a cui è stata spesso asservita e un Ovest che per i propri interessi è pronto a farlo in futuro.

Le Waffen-SS e Stalin, vessillografie a parte, sono lontani millenni. Il confronto è economico, strategico e demografico, non ideologico. In sostanza è una guerra classica, a cui non siamo più abituati. In fondo nelle trincee dei filorussi e in quelle degli Ucraini, le icone con Gesù e Maria Vergine sono le stesse. Come la vodka.

Intanto la NATO spinge ad Est e il bastone dell'Occidente rimane in America. Intanto l’Europa, tra sanzioni e dibattiti temporeggia, aspettando tempi buoni e magari un’altra sagra della salsiccia… Sarebbe forse l’occasione per altre analisi.

Intanto, in silenzio da dietro vetri rotti e muri sbrecciati, nel Donbass, si spara ancora.

(continua)

foto Giorgio Bianchi