Le tensioni tra India e Pakistan sono nuovamente esplose con il lancio da parte dell'India dell'“Operazione Sindoor”, una serie di attacchi aerei e missilistici contro nove obiettivi situati in Pakistan e nel Kashmir amministrato da Islamabad. Secondo il ministero della Difesa indiano, l'operazione è stata una risposta "mirata, misurata e non escalationistica" all'attentato terroristico del 22 aprile a Pahalgam, in cui 26 civili indiani, principalmente turisti hindu, sono stati uccisi da militanti affiliati a Lashkar-e-Taiba.
L'intervento, durato circa 23 minuti, ha coinvolto caccia Rafale armati con missili da crociera SCALP e bombe guidate AASM Hammer, oltre a droni loitering munition di fabbricazione indo-israeliana. Le autorità indiane affermano di aver colpito esclusivamente infrastrutture terroristiche legate a Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammed, evitando installazioni militari pakistane.
Il Pakistan ha denunciato la morte di almeno 31 civili, tra cui donne e bambini, e 57 feriti, affermando che tra le strutture colpite vi erano moschee e istituti educativi. Islamabad ha definito l'azione indiana un "atto di guerra" e ha promesso una risposta "inequivocabile". Inoltre, il Pakistan ha rivendicato l'abbattimento di cinque caccia indiani e diversi droni, notizia che Nuova Delhi ha smentito, definendola disinformazione.
Nella notte tra il 7 e l'8 maggio, il Pakistan ha lanciato un'offensiva aerea e missilistica su una vasta porzione del territorio indiano, prendendo di mira basi militari in località come Srinagar, Jammu, Pathankot, Amritsar, Chandigarh, Ludhiana, Bhuj e altre, nel nord e nell'ovest del Paese. L'attacco, effettuato con droni e missili, è stato intercettato dai sistemi di difesa aerea e dalla rete di contrasto UAS integrata. I detriti degli ordigni stanno venendo recuperati per documentare l'origine degli attacchi.
In risposta, all'alba dell'8 maggio, le Forze Armate indiane hanno colpito postazioni radar e sistemi di difesa aerea in diversi punti del Pakistan, tra cui una batteria neutralizzata nei pressi di Lahore. Fonti del ministero della Difesa parlano di un'azione proporzionata, calibrata per mantenere il conflitto sotto controllo, ma con una chiara volontà di dissuasione.
Nel frattempo, Islamabad ha intensificato il fuoco d'artiglieria lungo la Linea di Controllo (LoC), colpendo settori abitati delle aree di Kupwara, Uri, Rajouri, Poonch e Baramulla. L'India ha risposto con fuoco di controbatteria. Secondo fonti ufficiali, sedici civili indiani sono rimasti uccisi, tra cui tre donne e cinque bambini.
Il quadro si complica ulteriormente con la minaccia, ventilata da Nuova Delhi, di sospendere il Trattato delle Acque dell'Indo del 1960, fondamentale per l'approvvigionamento idrico del Pakistan. Islamabad ha reagito con allarme, considerandola una provocazione estrema. Le cancellerie internazionali osservano con crescente preoccupazione lo scenario: entrambe le nazioni dispongono di arsenali nucleari paragonabili (circa 170 testate ciascuna), e secondo diversi analisti un'escalation incontrollata avrebbe conseguenze catastrofiche per l'intera regione.
Le Nazioni Unite, insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Cina e altri attori internazionali, hanno rivolto appelli urgenti alla moderazione. Tuttavia, le posizioni di Nuova Delhi e Islamabad restano rigide, e il rischio che la crisi si allarghi nelle prossime ore non può essere escluso.