Nel processo di pace in Medio Oriente si parla di apartheid

(di Antonino Lombardi)
02/05/22

“Una importante escalation è evitabile”, così ha twittato qualche giorno fa Tor Wennesland, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente.

L’alto funzionario ha aggiornato il Consiglio di sicurezza dichiarando che la violenza nei territori palestinesi ed in Israele è aumentata “nella Cisgiordania occupata e in Israele, 23 palestinesi, tra cui tre donne e quattro bambini, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane (ISF) durante manifestazioni, scontri, operazioni di ricerca e arresto, attacchi e presunti attacchi contro israeliani e altri incidenti, e 541 palestinesi, tra cui 30 donne e 80 bambini, sono rimasti feriti. 12 israeliani, tra cui due donne, oltre a tre cittadini stranieri, sono stati uccisi e 82 israeliani, tra cui circa sei bambini e quattro donne sono stati feriti dai palestinesi in attacchi a colpi di arma da fuoco, accoltellamento e speronamento, scontri, lancio di sassi e bottiglie molotov e altri incidenti". A Gaza la situazione economica ed umanitaria rimane allarmante. Dopo diversi mesi senza lanci di missili, dalla Striscia sono partiti cinque razzi ed uno ha causato danni nella cittadina di Sderot mentre gli altri sono stati intercettati e deviati dal sistema Iron Dome.

Il Consiglio dei Diritti Umani, in seno alle Nazioni Unite, è organo super partes e di sicura obiettività incaricato di rafforzare la promozione e la protezione dei diritti umani in tutto il mondo e di affrontare le situazioni di violazione dei diritti umani e formulare raccomandazioni su di esse.

Nella quarantanovesima sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti Umani è stata presentata la relazione circa la situazione dei Diritti Umani nei territori palestinesi occupati dal 1967 ponendo l’attenzione su un tema scottante ovvero se il governo israeliano sul territorio palestinese occupato possa essere chiamato apartheid. Il Consiglio ha nuovamente affermato il diritto dei palestinesi a vivere in libertà, giustizia e dignità e di avere un proprio Stato di Palestina. I relatori hanno affermato che i palestinesi nel territorio sono stati soggetti a regimi discriminatori di zonizzazione e pianificazione che limitano l'accesso a alloggi, acqua potabile sicura e servizi igienici e altri servizi essenziali, tra cui strutture sanitarie e educative.

Le violenze in Cisgiordania continuano ad aumentare. I coloni invadono regolarmente i villaggi palestinesi anche con il supporto delle forse di sicurezza israeliane. Ricordiamo l’episodio del 21 gennaio scorso quando i coloni di Givat Ronen hanno attaccato palestinesi e attivisti israeliani che stavano piantando alberi su terreni di proprietà palestinese vicino al villaggio di Burin.

Negli ultimi cinque decenni, Israele ha creato 300 insediamenti illegali con una popolazione di circa 700.000 coloni ebrei israeliani che ora vivono tra Gerusalemme est ed il West Bank e due milioni di palestinesi sono barricate a Gaza in quella che David Cameron definì, nel luglio 2010, “una prigione a cielo aperto”.

La comunità internazionale è ferma nel dichiarare che il dominio israeliano sul territorio palestinese è un'occupazione, regolata dal diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. L’occupazione sarebbe dovuta essere temporanea ed infatti era previsto che le costruzioni sarebbero dovute essere in legno e non in cemento. Ciò non è accaduto violando le norme del diritto internazionale con scarsa indignazione e impegno da parte della comunità internazionale tanto da spingere Israele ad un’annessione non più solo de jure ma de facto del territorio occupato.

Diverse personalità hanno etichettato questi fatti come equivalenti o assomiglianti all’apartheid.

Ban Ki-Moon "il dominio strutturale e l'oppressione del popolo palestinese attraverso l'occupazione a tempo indeterminato da parte di Israele... costituiscono probabilmente l'apartheid" (2021).

Desmond Tutu (premio Nobel) "So in prima persona che Israele ha creato una realtà di apartheid all'interno dei suoi confini e attraverso la sua occupazione" (2014).

Michael Ben-Yair (ex procuratore generale di Israele) "[Israele]... un regime di apartheid... una realtà di uno stato, con due popoli diversi che vivono con diritti ineguali".

Ami Ayalon (ex direttore dell’agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele.) "Abbiamo già creato una situazione di apartheid in Giudea e Samaria, dove controlliamo i palestinesi con la forza, negando loro l'autodeterminazione.”

Altre autorevoli autorità come il ministro degli Affari Esteri israeliano (foto) lo scorso gennaio ha affermato che l’eventuale esistenza dell’apartheid è "falsa, parziale e antisemita".

David Harris, il CEO dell'American Jewish Committee, ha affermato che le carenze di Israele non possono essere paragonate all'apartheid in Sud Africa.

Il concetto di apartheid (significa “separazione” in afrikaans) come sistema di governo oppressivo ha avuto origine in Sud Africa come politica statale dichiarata nel 1948 ed è stata implementata anche in altre colonie nell'Africa meridionale. Oggi l'apartheid ha acquisito un significato universale che trascende le pratiche specifiche dell'Africa meridionale ed è applicabile ovunque possa esistere.

Senza dilungarci troppo in questioni prettamente giuridiche possiamo però dire che attraverso il diritto internazionale consuetudinario e convenzionale l'apartheid è diventato un divieto ben consolidato tanto da essere considerata oggi una norma di jus cogens che d origina obblighi erga omnes per tutti gli Stati nel debellare tale violazione collocata nella stessa categoria dei crimini di guerra.

Tralasciando altre convenzioni e accordi, ricordiamo che solo la Convenzione Contro l'apartheid e lo Statuto di Roma forniscono definizioni legali dell'apartheid. La prima poneva l'attenzione della comunità internazionale sulle pratiche specifiche della supremazia razziale nell'Africa meridionale mentre lo Statuto di Roma cerava una definizione per un'applicazione universale ed,in particolare, non faceva riferimento alla questione sudafricana non limitando nel tempo e nello spazio tale concetto e viene richiesto "un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominio da parte di un gruppo razziale su qualsiasi altro gruppo razziale.

Nel contesto in esame possiamo intendere gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi come gruppi razziali distinti per nazionalità, etnia e religione. Ora, Israele attraverso leggi e politiche ha creato differenze. È stato istituito un sistema differenziato che fornisce diritti e condizioni di vita standard ai coloni israeliani ed impone un controllo militare ai palestinesi.

Gli esperti che hanno redatto la relazione hanno concluso che “il sistema politico di governo nel territorio palestinese occupato che conferisce a un gruppo etnico-razziale-nazionale-etnico diritti sostanziali, benefici e privilegi mentre sottopone intenzionalmente un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un governo militare permanente soddisfa lo standard probatorio prevalente per l'esistenza dell'apartheid.”

Non andiamo oltre per non complicare troppo il discorso addentrandoci nelle diverse sfaccettature del diritto ma possiamo dire che la relazione del Consiglio dei Diritti Umani mette in evidenza le contraddizioni e la complessità di un lembo di terra che difficilmente troverà pace senza le continue strumentalizzazioni che, da entrambe le parti, gli attori si sforzano di mettere in atto.

Foto: U.N. / Yesh Din / Government Press Office (Israel)