Libia: scontri nel Fezzan. L’evoluzione “meridionale” della guerra libica

(di Filippo Del Monte)
07/01/21

Per utilizzare un’espressione propria della dottrina militare statunitense, la Libia si trova oggi in una situazione “Vuca” e dunque i suoi elementi caratterizzanti sono volatility, uncertainty, complexity e ambiguity. L’intervento diretto della Turchia sul terreno, il rafforzamento della presenza russa, l’interruzione dell’offensiva militare del GNA contro le postazioni haftariane al confine tra Tripolitania e Cirenaica nonché l’inizio – già ingrippato – dei negoziati sono fattori che hanno contribuito a destabilizzare in modo determinante la situazione.

La scorsa settimana si sono registrati a Sabha, nel Fezzan settentrionale, scontri tra le forze del governo tripolino e quelle del LNA di Haftar; fattore interessante perché indica come il conflitto si stia spostando rapidamente verso sud, cioè verso la regione finora tenuta “in ombra” ma nella quale dalla caduta di Gheddafi si è combattuta una proxy war per conto dei due “macroblocchi” della costa mediterranea (v.link).

Uno dei protagonisti indiscussi della guerra per procura nel Fezzan è il gruppo tribale degli Awlad Suleiman, il quale da sempre esercita il controllo di Sabha e che è stato il punto di riferimento della rivolta contro Gheddafi nella Libia meridionale. Proprio a Sabha si gioca una partita fondamentale in quanto la città è un importante crocevia per il controllo delle rotte dei migranti sub-sahariani ed il traffico di esseri umani è uno dei principali racket del Fezzan. La commistione tra potere politico-amministrativo e militare-criminale è infatti alla base del sistema di controllo del territorio nel Fezzan.

Sabha è stata, sia in epoca ottomana che sotto la dominazione italiana, un importante centro di smistamento per le carovane provenienti dal Sahara vista anche la presenza di oasi a metà strada tra la città ed il centro di Awbari che ne hanno fatto un luogo adatto ad essere centro di sosta. Dagli anni ’90 la città è diventata un centro di passaggio obbligatorio per la tratta clandestina di migranti principalmente nigeriani, nigerini e ghanesi, il tutto sotto l’attenta gestione degli Awlad Suleiman e con la complicità del governo di Gheddafi.

La caduta della Jamāhīriyya ha fatto implodere la già complessa situazione politica nel Fezzan aprendo la strada non solo alla guerra tra Tebu e Tuareg, ma anche alla penetrazione nella regione di gruppuscoli della galassia jihadista del Sahel, tra le altre, Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e la sua costola salafita al-Mourabitoun. Da notare che entrambe queste formazioni hanno avuto le proprie basi nella zona compresa tra Sabha e Awbari (dove sorge l’importante impianto petrolifero di Sahrara di proprietà della joint venture Akakus). Così come proprio Sabha è stata teatro, tra il 2012 ed il 2014, dello scontro che vedeva contrapporsi i Tebu ed i Qadhafa (la tribù natale di Gheddafi) da una parte ed i Tuareg alleati agli Awlad Suleiman dall’altra. Le milizie di Misurata, inviate con funzione deterrente, hanno sfruttato la situazione a loro vantaggio sostenendo gli Awlad Suleiman contro i Qadhafa.

L’Operazione Dignità lanciata da Haftar ha mischiato nuovamente le carte in tavola, con Tobruk che ha sposato la causa dei Tebu per poi, una volta conquistata Sabha, attaccarli così da poterli indebolire e spingendoli tra le braccia di Tripoli con il conseguente ribaltamento delle alleanze anche da parte dei Tuareg.

Oggi gli Awlad Suleiman risultano essere schierati con il governo tripolino di Fayez al-Sarraj nonostante l’intero Fezzan sia ancora sotto il controllo (nominale) di Haftar. A Sabha ci si trova nella situazione paradossale di vedere presenti sia le truppe tripoline che quelle haftariane con le milizie degli Awlad Suleiman ed una non meglio specificata presenza di quelli che sono stati definiti “elementi sovversivi” che stanno reclutando mercenari stranieri, in gran parte sudanesi, proprio in città.

La situazione è dunque particolarmente fluida a Sabha e vi sono stati episodi di scontri importanti: le forze del GNA facenti capo al Comando della Regione Militare di Sabha hanno preso d’assalto con successo il quartiere di Mahdia e scambi di colpi tra miliziani Awlad Suleiman e LNA hanno interessato il quartiere di Mansheya. Il combattimento più importante si è però verificato tra domenica 3 e lunedì 4 gennaio nei dintorni della città ed ha interessato il campo base del GNA situato nel sobborgo di Sokrah, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Sabha: mentre il generale Ahmed Alitaibi, comandante delle forze GNA della Regione Militare di Sabha, stava tenendo un discorso alle truppe, soldati del LNA sono penetrati nel campo costringendo i governativi alla fuga. Alle prime luci del 4 gennaio le truppe del GNA hanno riconquistato il campo.

Sul piano politico l’ONU punta allo svolgimento di nuove elezioni presidenziali entro dicembre 2021 ma l’ambiguità della condotta dei due “macroblocchi” tripolino e cirenaico, la complessità delle problematiche sul tavolo ed il ritorno della guerra in Fezzan complicano non di poco le cose.

In particolare per raggiungere la pace la stabilizzazione del Fezzan sarà fondamentale e non sarà più sufficiente adottare la tradizionale strategia del “divide et impera” con le entità tribali: la regione è considerata endemicamente ingovernabile ma proprio per questo, continuando a fomentare le ataviche divisioni etniche e politico-criminali sul territorio, il Fezzan potrebbe restare una mina vagante, forse il casus belli che certe fazioni radicali del GNA ed anche Haftar stanno cercando nella speranza di portare al blocco totale dei negoziati. L’esempio di questa frammentazione indotta e delle difficoltà connesse alla stabilizzazione della regione, che deve necessariamente avere un solo padrone per essere pacificata, è ben testimoniata da quanto sta accadendo in questi giorni a Sabha.

Se dunque il conflitto libico vive una fase di stallo con il suo fronte principale e meglio conosciuto trasformato in una “guerra di posizione” e di attesa, nel Fezzan ancora si gioca una partita che deve necessariamente essere tenuta d’occhio anche dalle potenze occidentali – in particolare dall’Italia che ha tutto da perdere da una mancata stabilizzazione della regione o dal semplice ritorno allo status quo ante - visto che le questioni in ballo - su tutte il controllo delle rotte dei migranti, le connessioni delle reti criminali shaeliane e l’esistenza di un “brodo di coltura” per gruppi terroristici – possono condizionare anche le scelte di politica interna e di sicurezza di Stati come l’Italia, la Francia, la Grecia e perfino la Turchia.

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