La ritirata russa da Kiev: Caporetto?

(di David Rossi)
09/04/22

Lo stato maggiore russo ha annunciato il “parziale ritiro” e la “riduzione delle attività” dai fronti di Kiev e Chernihiv lo scorso 29 marzo, alla vigilia della quinta settimana di guerra. Nei giorni successivi il Cremlino ha spostato rapidamente all’interno del territorio bielorusso le truppe e i mezzi superstiti di quelli che avevano tentato inutilmente di raggiungere la capitale ucraina da nord e nord-est fin dall’inizio della guerra di aggressione e invasione contro l’Ucraina. Parallelamente, sono stati abbandonati anche gli oblast di Sumy e per metà di quello di Kharkiv e sono cessate le operazioni di avanzamento via terra verso Mykolayiv, Kryvyi Ry e Zaporizia, fino ad arrivare a una perdita di circa 65.000 chilometri quadri di territorio occupati al prezzo di almeno 25-30.000 perdite fra morti e feriti. I generali e gli analisti leali al presidente Putin hanno parlato di “diversivo” e di “ritirata tattica”, ma a ben vedere si tratta di ben altro.

Intanto, cerchiamo di capire quanto territorio è stato perso dai Russi: la superficie indicata corrisponde grossomodo all’estensione di Lombardia, Piemonte e Veneto messe insieme, vale a dire di quasi tutta la Val Padana a nord del fiume Po. Definire l’occupazione e l’abbandono di uno spazio di questa estensione “diversione” e “ritirata tattica” è un po’ come chiamare la bomba atomica un petardo un po’ più grosso. Per fare un paragone, la dodicesima battaglia dell’Isonzo, che gli Italiani conoscono anche come la disfatta di Caporetto, costò al nostro Paese 10.000 chilometri quadri, cioè un sesto di quanto perso dai Russi, oltre a un numero di morti e feriti quasi equivalente (40.000).

Insomma, i Russi nel breve volgere di una settimana hanno ceduto oltre la metà del territorio conquistato a un prezzo enorme, mantenendo il controllo solo di una fascia di poco meno di 60.000 chilometri presi nelle ultime settimane fra Kherson e il bacino del Don.

L’enorme territorio abbandonato, il numero impressionante delle perdite e la brevità temporale degli eventi hanno pochi precedenti storici. In Afghanistan nel 1989 e nel 2021 Sovietici e Americani lasciarono dei governi apparentemente nel possesso dei loro poteri, che poi si sbriciolarono per conto loro.

Con la pace di Brest Litovsk nel 1918 (foto) i Sovietici conclusero una guerra lunga e logorante, così come con gli armistizi del novembre 1918 la Germania e i suoi alleati accettarono di interrompere le ostilità e deporre le armi a seguito di una quattro anni di combattimenti.

L’unico precedente di rapido e repentino abbandono di un territorio appena conquistato è quello dell’invasione napoleonica della Russia, con i Francesi che persero quasi 300.000 chilometri di superficie appena conquistati nel volgere di due mesi, una volta abbandonata Mosca.

Dato che siamo di fronte non a una ritirata tattica ma una disfatta, togliamoci dalla testa l’idea che le truppe e i mezzi impegnati attorno a Kiev e nell’Ucraina nord-orientale possano essere rapidamente spostati e subito impiegati in Donbass per dare una “spallata” da sud: è semplicemente ridicola! Si tratta o di truppe logore o così indisciplinate da aver dedicato il proprio tempo al saccheggio piuttosto che al combattimento. Insomma, o sono inservibili o sono inutili.

A dar retta all’intelligence americana, che dallo scorso autunno le ha praticamente indovinate e anticipate tutte, Putin avrebbe perso il 20% degli uomini e dei mezzi impegnati in Ucraina nel breve volgere di sei settimane: considerando che alcuni “analisti” parlano di una guerra “destinata a durare anni”, probabilmente il 9 maggio 2023, fra tredici mesi, i Russi avranno pochi soldati malconci da far sfilare la parata per il Giorno della Vittoria.

Adesso, a Mosca rimane il controllo, come già detto, della Crimea e delle repubbliche popolari del Donbass, che già aveva prima del 24 febbraio, oltre che di una fascia di territorio che corrisponde a quasi l’intero oblast di Kherson (dove la popolazione manifesta ogni giorno chiedendo il ritiro degli occupanti), due terzi dell’oblast di Zaporizia (con la popolazione di molti centri in ebollizione), la metà orientale dell’oblast di Kharkiv e quasi l’intero oblast di Luhans’k controllato da Kiev prima della guerra.

A sentire Washington e Kiev, le truppe russe starebbero per attaccare da Luhans’k verso ovest e soprattutto da Izium in direzione sud, puntando a insaccare il grosso delle forze ucraine, quell’armata che dal 2014 tiene testa ai Russi nel Donbass. Per farlo, dovranno prendere il controllo della strada fra Izium e Slovyansk, con gli Ucraini al momento arroccati dalle parti di Krasnopillya in una gola simile al passaggio fra Irpin e Bucha verso Kiev dove le forze russe hanno dato una prova di sé così terribile da essere ritirati. Una volta percorsi questi 40-50 chilometri, dovranno prendere prima la stessa Slovyansk e poi Kramatorsk, se vorranno tentare l’insaccamento o di ingaggiare battaglia con gli Ucraini. Permetteteci di dubitare che questo possa accadere prima del 9 maggio 2022, data che molti indicano come il momento in cui il presidente Putin vorrebbe annunciare la…vittoria.

Ugualmente, ci pare inutile tentare un nuovo attacco contro la città Kharkiv da est e dal sud dell’oblast omonimo: che risultati potrebbe dare se persino Mariupol, che in teoria non comporta problemi logistici ed è per il 90% ridotta in macerie, non è stata ancora presa? L’ex capitale ucraina, ne siamo certi, è un boccone troppo grosso per la Russia. Tutto questo vale “rebus sic stantibus”: se le forze di Kiev potranno contrattaccare in Donbass da ovest o da qualsiasi parte negli oblast di Kherson e Zaporizia, Mosca non avrà alternativa a una nuova “riduzione delle attività” con l’obiettivo ufficiale di una “ritirata tattica”, per non rischiare di subire perdite intollerabili.

La conclusione di tutto questo è che Mosca si è scoperta debole, anche se non lo ammette e intende tentare di vincere qualcosa, che magari alla fine sarà solo il Donbass che già aveva il 24 febbraio.

Lo stesso Sergey Karaganov, consigliere di Putin, intervistato dal Corriere della Sera, ha ammesso che la Russia, per come è ridotta adesso, sarà “più integrata e più dipendente dalla Cina” e, anche se lui non lo teme, “una pedina della Cina”.

E pensare che in quell’unico precedente del 1812 fu proprio la Russia a risultare vincitrice…

Immagine: MoD Fed. Russa / Bundesarchiv / BBC