Venti di guerra nel Golfo Persico?

(di Andrea Gaspardo)
24/06/19

Nel corso degli ultimi mesi, il Golfo Persico si è rapidamente trasformato in un nuovo punto “caldissimo” del già incandescente Medio Oriente. Il 12 maggio scorso, un presunto atto di sabotaggio ha preso di mira la petroliera “Amjad” e la nave cisterna “Al Marzoqah” (entrambe di proprietà della compagnia marittima saudita Bahri). La chiatta cisterna battente bandiera degli Emirati Arabi Uniti “A Michael” e la petroliera norvegese “MT Andrea Victory” sono state anch'esse oggetto di attacchi mirati.

Tutti i vascelli sopra menzionati sono stati colpiti al largo del porto emiratino di Fujairah anche se tutti gli atti di sabotaggio sono stati talmente chirurgici da non causare alcuna vittima né fuoriuscite di petrolio.

Interrogato in merito all'accaduto, Jaber al-Lamki, direttore esecutivo del “National Media Council” degli Emirati Arabi Uniti ha affermato che l'attacco era “finalizzato a minare sia le forniture globali di petrolio che la sicurezza marittima”.

Da subito, la maggior parte dei media hanno formulato diverse ipotesi sull'incidente fornendo informazioni a volte contraddittorie da “fonti anonime”. La maggioranza di tali speculazioni già allora si focalizzava sul presunto coinvolgimento iraniano nella vicenda. Di fatto gli Stati Uniti hanno subito deplorato il “comportamento iraniano”, con il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton a sostenere che gli attacchi fossero opera di “mine navali quasi certamente di provenienza iraniana”. Lo stesso direttore degli Stati Maggiori Riuniti, ammiraglio Michael Gilday, ha successivamente rilasciato una dichiarazione affermando che “la leadership iraniana ai massimi livelli ha ordinato il compimento di una serie di attacchi dirompenti in tutta la regione”.

Per tutta risposta, l'Iran ha negato di aver ordinato o anche solo partecipato agli attacchi, affermando che si trattava di “fabbricazioni degli Stati Uniti”. Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif (foto) ha poi sottolineato come l'Iran avesse “precedentemente previsto che tali azioni si sarebbero verificate al fine di creare tensioni nella regione”.

Il 12 giugno è scoppiato un incendio su una piattaforma petrolifera iraniana del giacimento “South Pars” del Golfo Persico ma le fiamme sono state presto domate e non sono stati segnalati incidenti mortali. La TV di stato iraniana ha affermato che la causa dell'incendio è al vaglio degli inquirenti, anche se le fonti ben informate già oggi parlano di un attacco informatico di origine saudita.

Il 13 giugno, un altro e ben più grave incidente si è verificato nel Golfo di Oman quando le petroliere “Front Altair” e “Kokuta Corageous”, battenti rispettivamente bandiera delle Isole Marshall e di Panama, sono state oggetto di esplosioni. Sono nuovamente circolate ipotesi e speculazioni varie, con le versioni iniziali che parlavano in diversa misura di attacchi mediante siluri, missili da crociera o mine navali ed ancora una volta l'Iran è stato tirato in ballo.

È importante notare che, anche in questo caso, non ci sono state vittime tra gli equipaggi delle navi attaccate. Questo elemento è molto importante e da solo ci aiuta a comprendere come le ipotesi sopra citate siano semplicemente fantasiose. L'Iran possiede una buona flotta sottomarina (per altro in continua espansione) però, da fonti qualificate in possesso allo scrivente, nessun sottomarino iraniano si trovava in zona al momento dell'attacco. Inoltre, se l'attacco fosse stato portato a mezzo di siluri, i risultati sarebbero stati diversi e assai più catastrofici. L'Iran possiede diverse tipologie di siluri di produzione sovietico/russa, cinese e nordcoreana, inoltre da diversi anni le industrie della difesa iraniana hanno fatto notevoli investimenti nel settore producendo alcuni modelli via via più performanti, quali il Kuse, lo Yasin, lo Hoot ed il Valfajr. Tuttavia tutti i siluri in dotazione alle forze armate iraniane hanno la caratteristica di essere dotati di testate belliche troppo potenti per infliggere danni così limitati.

Altrettanto scartabile è l'ipotesi dei missili da crociera dato che uno qualsiasi degli ordigni in mano all'Iran avrebbe potuto spaccare in due e colare a picco una delle petroliere senza grandi problemi.

Le normali mine navali, sia adagiate sui fondali che galleggianti in superficie, provocano anch'esse danni estesi e di natura diversa rispetto a quelli rinvenuti. Lo stesso Yutaka Katada, presidente di Kokuta Sangyo, la società alla quale appartiene una delle petroliere colpite ha definito i rapporti su un attacco mediante mine subacquee come “falsi”. Nel corso di una conferenza stampa ha precisato: “Una mina navale non danneggia una nave sopra il livello del mare. Non siamo sicuri esattamente di cosa sia successo, ma è stato qualcosa che volava verso la nave”. Ha aggiunto infatti che i marinai a bordo della “Kokuta Courageous” hanno visto “oggetti volanti” orbitare in zona poco prima che la nave venisse colpita, ulteriore prova, a suo dire, che la nave non sia stata danneggiata da mine ma da altri “oggetti” che potrebbero essere stati sparati da lontano.

Il 14 giugno, Washington ha affermato di avere prove a conferma del coinvolgimento iraniano nell'incidente del giorno precedente. Secondo una dichiarazione del CENTCOM infatti: “forze iraniane sono state individuate nell'atto di rimuovere una probabile mina magnetica inesplosa dalla chiglia della Kokuta Courageous”. Contestualmente, a supporto delle sue affermazioni, il CENTCOM ha pubblicato una serie di fotografie e video, sia in bianco e nero che a colori, che mostrano un'imbarcazione appartenente al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (i Pasdaran) avvicinarsi alla Kokuta Courageous e rimuovere un oggetto di forma vagamente trapezoidale dai bordi arrotondati. Alcuni frammenti dei suddetti video mostrano poi UCAV iraniani del tipo Shahed 129 armati con 4 bombe di precisione Sadid-345 (combinazione già utilizzata proficuamente dall'Iran nei conflitti di Siria e Iraq) intenti a controllare la situazione dall'alto.

Ovviamente l'Iran ha negato qualsiasi coinvolgimento, definendo il tutto una provocazione e, inizialmente, la versione americana della storia è stata accolta con serio scetticismo dai media più o meno indipendenti, dal già citato proprietario della Kokuta Corageous e persino da alcuni alleati europei degli Stati Uniti. Le affermazioni americane venivano infatti viste come la logica continuazione di quella che era stata definita non molto tempo fa “campagna di isteria collettiva” riguardante i presunti preparativi iraniani per attaccare le forze e le infrastrutture militari americane nella regione del Medio Oriente. Campagna che, per altro, è stata funzionale nel giustificare l'incremento di attività militari americane nella regione del Golfo ed il rischieramento di importanti assets aerei e di difesa aerea nelle basi militari locali. Tuttavia, la mole di prove portate dal CENTCOM è impossibile da ignorare anche per i più critici osservatori e ci permette anche di comprendere la “tecnica” utilizzata dagli iraniani per le loro azioni.

Gli iraniani starebbero monitorando le attività navali nel Golfo Persico, nello Stretto di Hormuz e nel Golfo di Oman utilizzando la loro nutrita flotta di droni (nella foto una raccolta statunitense di droni iraniani in mostra presso la base di Anacostia-Bolling), i radar di terra e le piattaforme aeree da ricognizione in servizio presso le varie forze aeree di cui dispongono. Successivamente, gli obiettivi prestabiliti verrebbero attaccati da unità di incursori navali (probabilmente appartenenti alle forze speciali dei Pasdaran) che utilizzerebbero piccole mine magnetiche da posizionare sulle fiancate delle navi per provocare danni sufficienti a fermare i vascelli ma senza vittime o danni strutturali permanenti. Resta da capire però come facciano gli incursori di marina dei Pasdaran ad avvicinarsi alle navi senza essere intercettati vista sia la quasi impossibilità di “minare” una nave in movimento sia di penetrare i sorvegliatissimi porti dei paesi del Golfo.

Altre provocazioni hanno interessato anche le forze aeree dei contendenti, con gli iraniani che hanno provato a più riprese ad abbattere i droni americani sorvolanti l'area. Il primo tentativo, avvenuto il 16 giugno, ha visto le forze di difesa aerea iraniana cercare senza successo di abbattere un MQ-9 Reaper nel Golfo di Oman, mentre il secondo ha visto l'abbattimento di un RQ-4A Global Hawk/MQ-4-C Triton precedentemente dirottato dai sistemi EW delle forze armate iraniane il 20 di giugno (foto apertura).

È chiaro a tutti che la situazione nel Golfo Persico si sta riscaldando pericolosamente e che l'Iran sta segnalando agli Stati Uniti che è ormai pronto ad utilizzare anche la forza per spezzare “l'anello di fuoco” che gli americani gli hanno creato intorno.

Qualora le sanzioni dovessero continuare a strangolare l'economia iraniana, non è da escludere che la situazione possa veramente sfuggire di controllo perché il governo della Repubblica Islamica non avrebbe altra carta da giocare se non quella del nazionalismo per mantenere il popolo unito attorno alla difesa del paese e del governo.

Foto: IRNA / web / U.S. DoD