Turchia: le scosse sussultorie del potere

(di Gino Lanzara)
13/02/23

Secondo Bruce Bueno de Mesquita e Alastair Smith1, “I terremoti e altri disastri naturali scuotono i sistemi politici" in funzione di due fattori: la portata/dimensione della coalizione vincente, e da quanto tempo il potere è detenuto dal governante. Secondo de Mesquita sono le democrazie a correre i maggiori rischi, visto che le dittature non sperimentano responsabilità elettive. Non è quindi escluso che Erdoğan, a differenza di Assad, sarà costretto a misurarsi con aspre difficoltà dato che, a fronte di 20 anni di governo, dovrà (forse) affrontare le forche caudine delle elezioni primaverili, tanto più che il sisma ha devastato il suo cuore elettorale. Con il lievitare della rabbia, cresce il desiderio popolare di vedere riconosciute precise responsabilità.

Il terremoto è stato sì incredibilmente violento, ma quanto hanno giocato le inefficienze ed i controlli mancati? Basteranno i poteri emergenziali avocati dal Reis, oppure saranno solo l’utile mezzo per reprimere le critiche o per agire sulle opposizioni rinviando le elezioni?

Per la prima volta dopo 20 anni, Erdoğan è teoricamente a rischio sia nella corsa al seggio presidenziale sia nel mantenimento della maggioranza parlamentare. Ekrim İmamoğlu, sindaco di Istanbul ha già subito gli strali giudiziari e la legge sulle notizie false è pronta ad intervenire sui social. L’economia è asfittica, e le politiche governative hanno inteso basarsi sul presupposto che bassi tassi di interesse avrebbero calmierato l’inflazione. L’aumento delle relazioni commerciali con Russia e Paesi del Golfo, inoltre, hanno causato la disconnessione dall’indispensabile tecnologia occidentale.

Va anche considerato che Ankara si vede drammaticamente bloccata nella rincorsa alla ambita centralità mediterranea, che avrebbe dovuto rappresentare una rinnovata entrata sulla scena delle relazioni energetiche, dato che proprio dal suo territorio transitano gli unici gasdotti alternativi a quelli russi, destinati verso l’Europa centrale e meridionale. Blue Stream fino al Mar Nero; la pipeline che collega Ankara a Teheran; la Trans-Anatolian gas pipeline che trasporta il gas dall’Azerbaigian in Italia, in Puglia; il Turkstream. Dato il quadro, è intuibile perché la Russia intenda proporre alla Turchia un ruolo non comprimario quale hub energetico per l’Europa, dove per hub deve intendersi un centro infrastrutturale di distribuzione e stoccaggio in sinergia ad un mercato energetico di scambio grazie a cui rivendere combustibile a differenti acquirenti fissando i prezzi di riferimento.

Dietro una apparente politica equilibrata tra Occidente e Russia la Turchia si è allontanata di fatto da Nato ed Europa, affidando peraltro la sua difesa missilistica al sistema S-400 del Cremlino che ha così ottenuto un indiscusso vantaggio strategico. Storicamente, sarebbe opportuno rammentare alla leadership turca come interpretare il ruolo del presunto ago della bilancia abbia generalmente portato gramo.

Come se non bastasse, si moltiplicano le minacce alla Grecia e le forme di ostruzionismo atlantico nei confronti della Svezia.

La duplicità della politica turca si completa infine con il comportamento ondivago tenuto in merito alle sanzioni occidentali contro Mosca. La nuova struttura difensiva, la contiguità con la Russia e le narrazioni anti greche, a prescindere dai risultati elettorali, porteranno a divergenze durature con i partner occidentali che, nel tempo, si troveranno alle prese con un Paese dalla politica fortemente destabilizzante, elemento già testato dalla leadership ucraina, che si è inaspettatamente vista anteposta quella russa, pur continuando a ricevere forniture di droni ad uso bellico.

Resta da vedere se la pretesa autosufficienza politica turca, a mezza strada tra oriente e occidente, potrà persistere nel post terremoto, quando il consesso internazionale, pur adoperandosi per gli aiuti, adotterà una line a decisamente più pragmatica e prudente verso un partner comunque necessario. Necessario, sì, ma legato a tecniche strategiche di mobilitazione contro antagonisti esterni ed interni indirizzate a garantire la più ampia coalizione elettorale.

Al cuore delle cicliche cacce alle streghe, persistono la pessima gestione economica, che ha privilegiato un modello economico basato sui consumi e sull’intervento statale che ha minato i settori più produttivi fino a svalutare la lira, la frammentazione della coalizione elettorale erdoganiana.

Per l’Occidente, sarà sufficiente auspicare la vittoria delle opposizioni in un Paese intimamente affascinato dal concetto euroasiatico? Difficile. I partiti antagonisti dovranno conquistare il cuore conservatore e nazionalista, poco condiscendente verso gli USA, salvaguardando le basi della dottrina del Mavi Vatan, la Patria Blu.

Per il momento inflazione, svalutazione, un principio di isolamento internazionale, costringono il governo ad intraprendere azioni contraddittorie, relazionandosi ad esempio contemporaneamente con Iran e Israele, oppure opponendosi a proposte di adesione alla NATO salvo presumibilmente recedere laddove gli USA acconsentissero al finora negato approvvigionamento di 40 F-16 e 79 kit di aggiornamento2, ma non senza lanciare puntate velenose a Washington in occasione degli ultimi attentati del 2022 a Istanbul. Non sarà un accordo sottoscritto, ma che sia un’aspettativa non c’è dubbio. Proprio in un momento drammatico come questo, è auspicabile che la capacità di cooptazione democratica della NATO possa fare breccia nel desiderio turco di non rimanere costretti all’isolamento politico.

Quanti problemi attanagliano Ankara? Molti, forse troppi, a cominciare da un’economia in anossia, che non si intravvede come potrà ovviare al disastro che si è abbattuto. Ma come persuadere un Reis che i suoi fondamentali economici non contemperano dottrina e buon senso? Ribassare il tasso di sconto malgrado l’aumento inflattivo, è dimostrato che non aiuta l’economia, anche se non innalza i gradimenti politico elettorali con i rendimenti reali sospinti in territorio negativo, a meno che non arrivino aggiustamenti inattesi ed esoticamente misteriosi; per regolarizzare le partite è stato adottato un trucco, per cui grazie alla voce errori e omissioni netti sono stati contabilizzati i flussi di capitale la cui origine è ignota ma le cui proporzioni sono consistenti3. Ciò che è certo, è che la consistenza di questi flussi di capitali da fonti ignote è aumentata dal 2018, anno in cui Erdoğan è assurto alla carica presidenziale rafforzata dalle varianti costituzionali. Con un debito interno di circa 3,2 trilioni di lire, una somma pari al 45% del PIL, il governo del Reis si accinge a passare un onere enorme al prossimo esecutivo; gli interessi passivi, il pagamento di tassi di interesse ai depositanti in lire, gli introiti, stanno restringendo sempre il margine di manovra governativo implementando la prospettiva di default finanziario.

Quel che è certo è che l’incerta azione governativa ha reso più letale il terremoto, malgrado proprio su un altro sisma nel 1999 l’AKP abbia costruito le sue fortune politiche. Bueno de Mesquita ora direbbe che un’unica azione di governo avrebbe dovuto rendere politicamente più efficaci prevenzioni e soccorsi, ma l’aver svuotato di contenuto le istituzioni non ha fatto altro che amplificare il dramma che ancora si sta consumando.

Che il sisma sia stato naturalmente devastante è fuori di qualsiasi ragionevole dubbio, ma che un incontrollato boom edilizio abbia agevolato la scarsa resistenza dei fabbricati, è altrettanto vero. Ad Hatay, particolarmente colpita dal terremoto, è crollato tutto, compresa la sede locale della Presidenza per la gestione dei disastri e delle emergenze.

Nel 2022 una tempesta di neve ha fortemente danneggiato Isparta4; nel 2018, un incidente ferroviario causato da carente manutenzione, a Corlu ha ucciso 25 persone; nel 2014, 301 minatori sono morti a Soma a causa di un’esplosione5; nel 2021, gli incendi hanno devastato la Turchia meridionale, uccidendo almeno nove persone e costringendone migliaia di altre alla fuga. Successivamente il governo ha ammesso di non disporre di una flotta di aerei antincendio.

Anche lunedì scorso, la risposta del governo è stata inefficace. Privare le istituzioni della propria indipendenza per accentrare il potere è stato di fatto poco avveduto. Che la Turchia sia un paese a rischio di eventi naturali è noto, meno comprensibile che l’AFAD, l’equivalente della Protezione Civile Italiana, possa godere di un budget più ridotto di quello destinato alla Presidenza per gli affari religiosi.

Mentre ancora sono in corso i soccorsi, diversi esperti affermano che gran parte degli edifici è stata realizzata con materiali di scarsa qualità e senza rispettare i protocolli antisismici. La natura, in ogni caso ha agito con una tragica e imparziale livella, ponendo ogni cosa ed ogni persona sullo stesso drammatico piano.

Se per Erdoğan l’industria immobiliare è stata un fiore all’occhiello, la Turchia dovrebbe chiedersi se urbanisticamente non fosse opportuno rimettere tutto in discussione; il disastro naturale, inevitabile, si accompagna ad una crescita economica invece evitabilissima e dopata dagli effetti inflattivi e dallo scarso controllo degli standard costruttivi.

È inevitabile che il terremoto produrrà conseguenze geopolitiche, collegate alla permanenza al potere di Erdoğan, mai così avvinto all’efficienza di un apparato che si è mostrato lento. Le alternative elettorali al Reis sono scarse, tanto più che l’unico valido e possibile antagonista il sindaco di Istanbul İmamoğlu, è stato condannato a più di 2 anni di reclusione. Alla sconfitta contribuirebbe, infine, la più volte richiamata crisi economico finanziaria; l’azione giudiziaria promossa contro i costruttori, appare ora come la classica distrazione di massa in un momento politico particolarmente critico.

In tanta devastazione un piccolo miracolo; Israele ha inviato squadre e mezzi di soccorso per la Siria grazie a richieste ricevute attraverso canali diplomatici: i 2 Paesi, infatti, non hanno relazioni ufficiali.

1The Dictator's Handbook: Why Bad Behaviour is Almost Always Good Politics

2 Cosa farebbero gli USA se, dopo aver venduto i caccia, si trovassero di fronte ad uno scivolamento sempre più autoritario, magari con il differimento sine die delle elezioni?

3 Nei mesi passati sono stati registrati 5,5 miliardi di dollari, che hanno portato l’ammontare dei flussi di capitale a 24,4 miliardi di dollari. Tale cifra è stata sufficiente a coprire parte del deficit delle partite correnti, stimato in 36,7 miliardi di dollari per i primi nove mesi del 2022. Parte di questi misteriosi flussi di capitale si spiega con il rimpatrio, del tutto legale, di valuta estera detenuta dal settore privato all’estero.

4 I servizi pubblici della città erano stati privatizzati dall'AKP e venduti a società di proprietà di controllate da stretti collaboratori del Reis. 

5 Minatori e partiti di opposizione hanno dichiarato che non erano state prese precauzioni di sicurezza. Solo 20 giorni prima dell'incidente, l'AKP si era opposto ad esperire controlli sulle condizioni della miniera.