Ogni inizio è foriero di interessi e curiosità; la cosiddetta luna di miele si colloca entro i primi 100 giorni, prima che una f sostituisca la m.
Trump ha impresso un’inedita accelerazione politica ossequiente alle promesse elettorali. Al di là della travagliatissima e non conclusa approvazione della squadra dei segretari di stato, la struttura del governo federale, in quanto a forza lavoro, è la stessa da oltre 50 anni, nonostante demografia e spese siano cresciute tanto da evidenziare il ruolo tecnologico e dei collaboratori esterni necessari a colmare i gap, collaboratori che si pongono con i dipendenti federali in un rapporto di oltre due a uno e creano una forza parallela che solleva questioni inerenti a responsabilità e limiti delle funzioni esecutive.
Una delle promesse di The Donald consiste nella riduzione del governo federale, cosa che ha consentito a Musk di guidare un'organizzazione esterna al governo, la DOGE che si è scontrata con problemi di fattibilità. Licenziare dipendenti pubblici senza una strategia atta a garantire i servizi conduce a disastri1, anche perché le proiezioni di spesa sembrano dimostrare che il risparmio da tagli del personale sarebbe troppo esiguo e non colmerebbe il deficit; inoltre, la maggior parte dei dipendenti pubblici si limita ad applicare normative2; non farlo costituirebbe un fallimento, una responsabilità inevitabile per qualsiasi Presidente, come accaduto a Carter per gli elicotteri precipitati in Iran; a Bush per l’uragano Katrina; a Obama per l’Obamacare; a Trump 1 per il Covid; a Biden per il ritiro afghano. C’è dunque da comprendere cosa sia, o meglio, cosa desideri essere oggi il governo federale.
Un’altra – impopolare - premessa da fare riguarda la connotazione sociale americana, contrastante con la narrazione europea del melting pot, dato che Trump rappresenta l’America profonda, quella degli Stati bianchi, conservatori, fideisti. I temi elettorali sono una reprise di quelli del 2017: clandestini e blocco del Birthright citizenship3, con un’alleanza a scadenza con il mondo del business, condizionata dalla volubilità del rapporto sia con Musk sia con l’élite tecnologica, estremamente sensibile ai cambi di vento e dove la maggioranza congressuale repubblicana non è poi così granitica: inevitabile il ricorso agli ordini esecutivi.
Per l’intanto, i conservatori hanno apprezzato le critiche rivolte alle precedenti Amministrazioni, pur stigmatizzando la totale assenza di galateo politico; i progressisti sono invece rimasti colpiti dalle spiazzanti posizioni assunte dalla nobiltà di Silicon Valley, mai avvertita a sinistra così distante, e comunque padrona delle chiavi del futuro, in un contesto dove l’età anagrafica condiziona ed in cui J.D. Vance potrebbe assumere un rilievo sostanziale. Il grande business ha inteso che la variabile bellica è contro qualsiasi interesse, tutto qui.
La gestione dei migranti, vista la querelle con Bogotà, per cui politicamente non esistono clandestini e la paventata riapertura di Guantanamo, evocano nuove prospettive inaugurate, già dal mattino del 20 gennaio, con un aumento degli arresti soprattutto nelle maggiori città.
Cambiamo versante: esteri. Nel Golfo Riyadh sta entrando nella fase cruciale delle riforme di Vision 2030 e guarda a Trump, alleato prezioso da un lato ma un’incognita dall’altro, laddove possa mettere in difficoltà MbS su Iran, sull’integrazione con Israele e con, sullo sfondo, il continuo imperversare Houthi. Emerge, in sintesi un’asincronia politica da valutare con attenzione. Non c’è ovviamente solo il fattore israeliano che complica la normalizzazione arabo-iraniana, data la presenza della Cina che indurrà ad un irrigidimento americano nel Golfo dove, dalla fine della presidenza Biden, si è assistito alla rinuncia ad investimenti tecnologici già siglati con i principi rossi in accordo con una distensione che facilita gli impegni americani in previsione dei possibili attriti tra Riyadh e Teheran. In attesa di foggy bottom l’Arabia Saudita tesse la sua rete in Libano, Siria, Iraq; dopo l’annichilimento della leadership di Hezbollah e la caduta del regime siriano i sauditi stanno trovando uno spazio politico inedito.
Un po' di diplomazia. Kissinger riteneva, al di là di ideologia e pseudo moralità, che gli stati fossero comunque attori razionali per cui l'abilità politica è l’unica dote capace di permettere di trovare compromessi che soddisfino le esigenze di tutti e che rendano il mondo meno caotico e costoso. Secondo Trump l’agire statunitense non deve essere oggetto di facile previsione; se Washington rimane potente e impronosticabile, i concorrenti si tirano indietro: in questa prospettiva, gli USA vincono senza dover combattere. Trump ha probabilmente contribuito al cessate il fuoco gazawi ed allo scambio ostaggi/prigionieri, senza contare che Teheran potrebbe cercare un dialogo mentre Russia e Ucraina percepiscono cambiamenti che consigliano un cambio di rotta nel conflitto. Insomma, gli americani ora sembrano essere poco versati per la diplomazia più classica, benché la situazione non fornisca elementi che diano per scontato che i successi temporanei possano diventare paradigmi.
Non c’è dubbio che alcuni stati tenteranno di giungere indenni al termine del mandato trumpiano, magari sperando che il presidente ceda in anticipo. Quel che è certo è che, pur partendo dal presupposto che gli ordini mondiali cambiano secondo legittimità ed equilibrio di potere, le evoluzioni saranno profonde ed impattanti sugli interessi americani.
Nel frattempo la Cina corre pur iniziando a soffrire un affanno dovuto a vulnerabilità economiche interne determinate da flessioni impreviste 5 anni fa; gli USA dovranno capitalizzare l’importanza della leva finanziaria, stabilendo una direzione decisa ed individuando gli obiettivi. Rispetto al 2021 la distribuzione del potere tra Washington e Pechino è cambiata: la bolla immobiliare cinese è esplosa e gli indici azionari non hanno risposto come auspicato. Le diverse performance economiche hanno permesso agli USA di occupare una posizione più favorevole per ristabilire i contatti, ma sarebbe sbagliato voler stravincere, anche perché Xi si trova comunque in una posizione politica più forte e consolidata. In ogni caso, nulla attenua la natura competitiva delle relazioni sino americane, anche perché la Cina si è proposta, entro il 2030, come produttrice di quasi il 45% del fatturato globale4.
Rischi per Washington: sicurezza nazionale in bilico; fratture insanabili tra classi sociali, iperconcentrazione industriale in Cina. Se Xi abbandona la diplomazia approfondirà le relazioni con gli antagonisti degli USA, cosa che porterà ad un axis of upheaval con Iran, Corea del Nord e Russia, ipotesi per il momento rallentata proprio da Pechino che opta per un multipolarismo da BRICS+. Qualsiasi divisione da guerra fredda ridurrebbe i mercati per le imprese americane; Trump dovrà dunque assicurarsi l'adesione di Xi sul sostenimento di una relazione bilaterale efficace e con una linea governativa coerente e costante. Se Biden con investimento e competizione ha incentivato il rafforzamento politico e tecnologico con gli alleati, è tuttavia mancata l’attribuzione di una priorità degli scopi, target che Trump dovrebbe far suo, anche con l’innalzamento tariffario, a protezione dei prodotti americani e rafforzando la deterrenza, in modo da stimolare un restyling della base industriale; anche su Taiwan Trump può dare il suo chiaro assenso al mantenimento dello status quo.
Quel che è certo è che improvvisazione e asimmetria spinta con Pechino non possono funzionare, come per Panama5, richiamata bruscamente all’importanza che il suo Canale ha per il commercio mondiale al netto dei pervasivi interessi cinesi6. Non a caso a Davos quasi tutti i partecipanti hanno espresso ottimismo verso Trump: il messaggio è stato evidente: nessuno vuole scontrarsi con gli USA, anche perché non esistono alternative, in termini di PIL, di percentuali di crescita, di attrazione di capitale. Il problema è che mentre i segnali finanziari tendono al rialzo, quelli geopolitici precipitano, tanto che il diluvio è arrivato puntuale con i dazi, associati ad altre motivazioni come il fentanyl o la presunta associazione a cartelli criminali, cui sono seguite le inevitabili reazioni dei sanzionati, volti a colpire beni di uso quotidiano.
Trudeau ha evidenziato come il conflitto commerciale porterà conseguenze per i canadesi ma anche per gli americani, tra cui perdita di posti di lavoro e costi maggiorati delle materie prime; una guerra che prossimamente gli USA muoveranno anche all’UE nonostante l’opposizione di investitori e Wall Street. I provvedimenti assunti intanto peseranno sulle famiglie americane, secondo un taglio che vede maggiormente penalizzati i paesi confinari piuttosto che la Cina.
I contro dazi saranno comunque meno efficaci dei dazi visto che Canada e Messico sono in avanzo commerciale verso gli USA: il 77% dell’export canadese va verso gli USA, quindi presumibilmente l’economia di Ottawa ne soffrirà significativamente. Ovvio pensare che, almeno sul continente americano, la vicenda terminerà con una pace, anche se non sarà un processo rapido, per non dare di Trump un’immagine debole e per sospingere il candidato conservatore alle prossime elezioni canadesi. Il risultato sarà un accordo commerciale più vincolante, che proteggerà Canada e Messico da ulteriori e più pesanti confronti. Non dovranno dunque esserci dubbi sulle alleanze da stringere.
Il problema è che i dazi non penalizzano solo i partner, ma colpiscono anche consumatori e imprese, costrette a pagare le materie prime a prezzi maggiorati. Al netto della retorica, i produttori americani di alluminio stanno chiedendo di esentare il Canada dai dazi: aumentare i costi del materiale rischia di mettere in pericolo non solo le imprese ma anche migliaia di lavoratori. A parte i rischi immediati da aumento dei costi e da certezza di ritorsioni commerciali, dovrà essere considerata la perdita di competitività. Insomma, non esistono soluzioni agevoli, anche perché il network economico rimane trasversalmente vulnerabile.
L’ordine stabilito dal WTO nel 1995 è dunque destinato a tramontare, quanto meno per Washington, che intende esercitare un peso negoziale incomparabile; un esempio tutto sommato pericoloso se assunto a paradigma da Russia e Cina. Di fatto le barriere daziarie sconvolgono l’integrazione nordamericana messa a rischio anche per la possibile creazione di altre filiere entro altri confini, senza contare che i dazi spingono al rialzo i prezzi interni anche se non in modo uniforme; insomma un insieme di cause e concause che rischia di far innalzare l’inflazione.
Il protezionismo americano sta dando il via ad un frazionamento del mercato in zone di libero commercio, mentre sullo sfondo le istituzioni a ciò deputate escono ridimensionate. La coesione mercantile per le quotazioni dei prodotti potrebbe estinguersi se prezzi differenti fossero applicati a differenti paesi in funzione del livello delle loro restrizioni commerciali. Saranno le maggiori imprese americane a fare pressione sulla Casa Bianca per trovare una exit strategy.
Le prospettive europee appaiono altrettanto incerte dati i legami politico-securitari tra Washington ed il vecchio continente; pur non potendo ricorrere a ritorsioni significative contro il maggiore alleato, non si può nemmeno immaginare un’accettazione supina della richiesta americana di acquisto di prodotti a prescindere dalla convenienza economica. Se l’assortimento dei prodotti è ampio e prevede una larga partecipazione di imprese, come nel caso italiano, non conviene avvalersi delle contromisure, ma tentare di perseverare nel dialogo.
Quel che lascia con più di una remora è la gestione delle emergenze, alla luce del dramma occorso nei cieli di Washington e che ha visto Trasporti e Difesa coinvolti nelle indagini sul più grave incidente aereo degli ultimi 20 anni. Di fatto, finita l’euforia da insediamento è subentrata la peggiore realtà.
1 Trump ha proposto ai dipendenti federali di dimettersi entro il 6 febbraio per ricevere stipendio e assegni fino al 30 settembre, mentre sono in ferie amministrative; tuttavia non c'è alcuna garanzia che questa offerta sia legale, anche alla luce delle retribuzioni che andrebbero comunque erogate.
2 Vd. il traffico aereo; tagliare o contenere il numero dei controllori di volo pubblici non farebbe altro che aumentare ritardi ed entropia aeroportuali
3 Ius soli
4 NU per lo sviluppo industriale
5 Gli USA rimangono i principali utilizzatori del canale. Dopo il 2023 è variato il sistema di fissazione dei costi di transito per il doppio sistema basato sulle prenotazioni e sull’asta degli slot disponibili aspetto che colpisce gli USA per il transito delle navi militari.
6 Panama è stato il primo Paese dell’America Latina a sottoscrivere la BRI nel 2018; i cinesi hanno impegnato l’ambito energetico, infrastrutturale e quello del water management