Il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump è stato accompagnato, fra le altre cose, da una serie di dichiarazioni di politica estera tanto clamorose quanto controverse, che hanno rapidamente conquistato le prime pagine dei media globali. Dalle questioni legate al Canale di Panama, passando per il Canada, fino ad arrivare alla Groenlandia, ogni parola ha acceso il dibattito internazionale.
In questo articolo ci focalizzeremo sulle dichiarazioni relative alla Groenlandia, al fine di comprendere quali sono le argomentazioni economiche, politiche e geostrategiche che motivano quella che per molti sembra essere la classica provocazione di “The Donald”. Per chi osserva da vicino gli equilibri geopolitici globali, questa vicenda assume però una rilevanza ben diversa, radicata nella recente storia delle relazioni tra Stati Uniti, Danimarca e l’isola artica.
Il primo storico tentativo d’acquisto statunitense della Groenlandia risale al 1867, sotto l’amministrazione di Andrew Johnson, poco dopo l’acquisizione dell’Alaska. L’idea non si concretizzò, ma l’interesse americano emerse nuovamente durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione nazista della Danimarca nel 1940, gli Stati Uniti assunsero un ruolo cruciale nella difesa della Groenlandia, stabilendo la base aerea di Thule (oggi Pituffik Space Base). Nel 1946, Harry Truman offrì 100 milioni di dollari al Regno di Danimarca per completare l’acquisto dell'isola, ma il governo danese rifiutò fermamente, mettendo poi fine nel 1953 al suo status di colonia ed integrando l’isola come parte del Regno. Nel 2009, l’isola ottenne una forma di governo semi-autonomo, con il diritto di indire un referendum sull'indipendenza dalla Danimarca.
Venendo ai giorni nostri, nel 2019, la prima amministrazione Trump aveva già tentato di riportare in auge la proposta d’acquisto, ma con scarsi risultati mediatici. Il 22 dicembre 2024, non ancora formalmente insediato per il secondo mandato, il presidente-eletto è tornato alla carica, dichiarando su Truth che “per ragioni di sicurezza nazionale, la proprietà e il controllo della Groenlandia rappresentano un’assoluta necessità per gli Stati Uniti d’America”. A questa dichiarazione sono seguite diverse vicende significative. L’8 gennaio 2025, durante una conferenza stampa, Trump si è rifiutato di escludere l’uso della forza militare o economica per perseguire tale obiettivo. Il 14 gennaio 2025, la Camera ha approvato un disegno di legge che autorizza la negoziazione con la Danimarca per l’acquisto della Groenlandia. Infine, il 25 gennaio 2025, Trump ha avuto una telefonata accesa con il primo ministro danese Mette Frederiksen, durante la quale avrebbe esercitato forti pressioni per la vendita dell’isola.
I motivi di questo interesse possono essere riassunti in quattro punti interconnessi: (1) la posizione geografica; (2) la funzione difensiva e deterrente; (3) l’abbondanza di critical raw materials nel sottosuolo; (4) l’impatto potenziale dello scioglimento dei ghiacci sulle nuove rotte marittime.
Dal punto di vista geografico, la Groenlandia è vittima di un doppio fraintendimento: non è così estesa come sembra ed è molto più vicina agli Stati Uniti che non alla madre patria danese. Per quanto riguarda le dimensioni, la causa è l’uso della proiezione di Mercatore nelle carte nautiche, che induce distorsioni man mano che ci si avvicina ai poli: più ci si avvicina, più la dimensione delle aree rappresentate aumenta rispetto alla reale proporzione. Non a caso, il problema dell’incomparabilità di alcune dimensioni geografiche basandosi sulle moderne carte ha preso il nome di “the Greenland problem”. Sulle cartine, infatti, la Groenlandia appare avere la stessa dimensione del continente africano, ma in realtà la sua estensione terrestre è 14 volte (!) inferiore. In merito alle distanze, la capitale, Nuuk, dista meno di 3.000 km da New York e quasi 3.500 km da Copenaghen, motivando l’interesse geostrategico di Washington per l’isola. Questo interesse geografico trova la propria principale espressione nel “GIUK gap”, ossia il doppio varco marittimo composto dalle porzioni di mare comprese in linea retta fra Groenlandia (G), Islanda (I) e Regno Unito (UK). Tale varco offre un sistema di contenimento di eventuali flotte ostili (come la Severnyj flot russa) ed è la rotta più breve per le linee di rifornimento fra gli Stati Uniti e i loro alleati Europei della NATO. Infine, il GIUK gap rappresenta anche la porta d’ingresso per il passaggio a nord-ovest, rotta navale che collega gli oceani Atlantico e Pacifico, passando attraverso l’arcipelago artico canadese.
La posizione geografica si accompagna alla funzione difensiva e deterrente che la Groenlandia assume agli occhi di Washington sin da fine Ottocento. Il prezioso ruolo difensivo della Groenlandia, in funzione anti-russa, è testimoniato dalla presenza all’interno della base di Pituffik di un Upgraded Early Warning Radar, un sistema radar a scansione elettronica che rileva e fornisce valutazioni degli attacchi derivanti da minacce di missili balistici. In mancanza di risorse e mezzi, la Danimarca ha storicamente appaltato tale funzione difensiva agli Stati Uniti, godendo delle garanzie collettive all’interno della cornice NATO (il cui articolo 5 tutela anche la Groenlandia). Ciononostante, Copenaghen non sembra intenzionata a permettere un allargamento della presenza militare americana sull’isola, mentre per Washington è di fondamentale importanza rinsaldare il proprio baluardo militare e scongiurare potenziali infiltrazioni del Cremlino.
Inoltre, secondo la nota di accompagnamento al Memorandum d’Intesa fra Commissione Europea e Groenlandia stipulato nel 2023, nel sottosuolo dell’isola vi sarebbero almeno 25 su 34 critical raw materials (CRM), ossia quei materiali considerati essenziali per l’industria e l'economia, la cui criticità è data dall’alta domanda o dalla concentrazione geografica e non dall’effettiva scarsità (a differenza dei materiali rari). La gran parte di questi materiali è soggetta ad un’altissima domanda mondiale (si pensi alle richieste derivanti dalla transizione dal motore endotermico al motore elettrico) e risulta di estremo interesse per Washington anche alla luce della posizione dominante della Repubblica Popolare Cinese in tale settore e le minacce che arrivano da Pechino, di una possibile stretta all’esportazione di tali materiali.
Infine, guardando a un futuro non troppo lontano, lo scioglimento dei ghiacci attualmente in corso potrebbe rivoluzionare le attuali rotte marittime del nord, introducendo nuove rotte che bypassano l’imbuto marittimo del GIUK gap e accorciano sensibilmente i tempi di traversata. Secondo l’Artic Council, il cambiamento climatico ha fatto aumentare del 37% la navigazione nell’emisfero nord del pianeta nel periodo estivo. Se la notizia è tragica per i più, le principali compagnie navali guardano a tale fenomeno come ad una nuova opportunità commerciale.
In conclusione, è quanto mai opportuno non derubricare la posizione del presidente Trump, seppure sgraziata nella forma e sconsiderata nella sostanza, ad una semplice boutade. Le affermazioni sull’interesse per la Groenlandia, al di là delle apparenze, riflettono una strategia che incarna l’essenza stessa della politica di potenza degli Stati Uniti. La reazione superficiale di alcune testate italiane ed europee, che hanno liquidato la questione con derisione, evidenzia ancora una volta la scarsa comprensione del fenomeno del trumpismo da questa sponda dell’Atlantico. D'altronde, la significatività economica, politica e geostrategica della Groenlandia è ben nota a Washington già da parecchio tempo e rende l’isola, oggi più che mai, una pedina cruciale nello scacchiere globale, dove le ambizioni sulle risorse naturali si intrecciano con il controllo delle rotte artiche, trasformando l'isola più grande del mondo in un terreno di confronto tra le grandi potenze.
Foto: U.S. Army / U.S. Space Force / OpenAI