Terrorismo, la nuova strategia per colpire l'occidente: perchè attaccare gli stadi?

(di Franco Iacch)
18/11/15

C’è una costante fissa, analizzando i tragici eventi degli ultimi giorni avvenuti in Europa. Una costante che confermerebbe un nuovo modus operandi nella strategia del terrorismo internazionale: gli stadi. Ma perché?

Intanto, sarebbe opportuno ricordare che il terrorismo in se è un fenomeno in continua evoluzione, per certi versi in grado di adattarsi ed a volte, purtroppo, anche a sfuggire alla tecnologia attuale dei governi. Il terrorismo è quel fenomeno in grado, proprio per la sua continua evoluzione ed assimilazione sul campo, di rendere obsolete le migliori misure di sicurezza che i governi miliardari possono schierare a loro difesa. Perché se è vero che da un lato si può affinare la migliore macchina del pianeta in grado di identificare una particolare sostanza esplosiva o radiologica, dall’altro nessuno è ancora in grado di fissare entro determinati parametri la mente umana. Capire come si evolverà.

Non per niente, la cintura esplosiva indossata da un kamikaze è ritenuta la granata a frammentazione perfetta, per il duplice motivo di essere “intelligente” e “mimetizzata”. Il terrorismo, quindi, ha la capacità si scardinare gli schemi classici, portandoli ad un altro livello. Ecco perché parliamo di asimmetria: uscire dagli schemi, utilizzando modalità non convenzionali. Gli stadi dicevamo, costante fissa, al momento ciclica, di questi ultimi tragici giorni.

Proviamo a capire il perché lo Stato islamico, avrebbe cambiato strategia. I motivi sono molteplici. Sotto il profilo culturale, gli stadi rappresentano i templi dello sport per eccellenza dell’Occidente. Lo stadio è come una chiesa per l’occidentale (con le dovute proporzioni ovviamente), per il ruolo che ricopre nella sua vita. Lo sport lo appassiona, lo distrae dalla tragicità della sua vita, gli fa provare sentimenti antipodali. Lo sport lo fa divertire, magari anche con la famiglia. Ecco che la struttura che ospita lo sport diventa teatro di battaglia. Perché un bersaglio si può colpire in svariati modi. Di per se, la deflagrazione di un ordigno è soltanto il primo passo, per certi versi quello “meno” traumatico rispetto alla paura che episodi del genere instillano nella massa. E la paura, rispetto al dolore che si può trasformare in perenne ricordo, rimane una costante che modifica il modo di vivere. Quindi, attaccare gli stadi (al momento questa strategia è isolata all’Europa) ha senso e si colloca in una nuova tattica che mira alla dispersione delle forze massimizzando la paura nelle masse. Da non sottovalutare proprio il binomio dispersione-massimizzazione.

La storia insegna che molte guerre sono state perse (e vinte) proprio così. E sempre la storia insegna che i piani di emergenza dei governi, mirano proprio alla capacità di mettere in sicurezza le strutture chiave del governo con capacità di reagire in forze a molteplici attacchi asimmetrici. Ma questi piani, si attivano solo in caso di emergenza ed a volte sono fin troppo prevedibili. Gli stadi dicevamo. Perché attaccarli?

Analizziamo il tutto da un profilo prettamente strutturale. Gli stadi ospitano decine di migliaia di persone: alcune strutture sono in grado di contenere anche 90 mila tifosi. Non si prestano a tutti gli attacchi, perché a differenza della metropolitana, per esempio, attaccare con il gas uno stadio non avrebbe senso per il fatto che si trova in una condizione ottimale sotto il profilo del riciclo dell’aria. Ma lo stadio in se ha un fattore determinante: ospita una folla che potrebbe, in pochissimo tempo, diventare ingestibile. Inutile ribadire le caratteristica della folla, ma il concetto è semplice: pensiamo allo stadio come un grosso contenitore d’acqua che placidamente si mantiene al suo interno. Se provocassimo uno squarcio (una bomba che esplode), il liquido uscirebbe senza controllo e con forza, travolgendo ogni cosa. Così farebbe la folla. Quindi, appare evidente, che se uno degli attentatori di Parigi, fosse riuscito a farsi esplodere o a far detonare un ordigno a ridosso di un gate stracolmo di tifosi, si sarebbe scatenato l’inferno.

Quella folla, che abbiamo visto in tv in attesa sul campo di gioco, se colpita da all’uscita avrebbe scatenato l’inferno e non sarebbe stata gestibile dagli steward dello stadio. E considerando i controlli serrati che, in teoria, impedirebbero di minare le fondamenta di una curva, per esempio, deflagrare un ordigno dinanzi un gate stracolmo di persone, resta ancora un fatto plausibile e rappresenta la migliore opzione. Ma c’è di più. Lo stadio ha una caratteristica particolare: la diretta televisiva.

Sappiamo che lo Stato islamico è, almeno ufficialmente, in lotta con al-Qaeda. Quest’ultima non riconosce la sovranità del Califfato. E’ in atto una sorta di guerra interna tra i due movimenti fondamentalisti. Nonostante l’Isis abbia superato in tutto al-Qaeda (per numero di affiliati, creazione di uno stato geograficamente localizzato, etc…etc…), manca ancora del suo “spot” mondiale come quello indelebile dell’11 settembre. Ed è questo che cercano quelli dell’Isis: un “promo” del terrore in diretta mondiale per il califfo. Le decapitazioni e le torture pubblicate su youtube, possono essere viste da milioni di persone, ma tale raggio d’azione non è lontanamente paragonabile ad una diretta televisiva di una partita di calcio, seconda forse ad una partita di football americano. Ecco che allora, analizzando gli attentati da un triplice punto di vista, si capisce a cosa miri la nuova strategia dello Stato islamico in Europa.

Ovviamente, questa è la teoria. L’Occidente dalla sua ha risorse, uomini, mezzi e piani di intervento. Ma forse il problema è proprio nella staticità di quei piani di azione, anche loro ostaggio della loro ciclicità costante. Il terrorista della porta accanto, nonostante possa ricevere un indottrinamento sul campo, non potrà mai essere considerato alla stregua di un soldato, ma ha dalla sua l’anonimato e quella capacità di essere insospettabile.

E se, invece, fossimo davanti ad un immenso disegno?

Se gli episodi avvenuto ad oggi fossero soltanto dei depistaggi?

Se così fosse, il vero attentato deve ancora avvenire.