L’evoluzione degli eventi riflette la difficoltà oggettiva di inquadrare la situazione contingente, rendendo vano qualsiasi tentativo di proiettare una lettura razionale orientata verso il futuro. È il caos, elemento destabilizzante ma al contempo chiave di lettura interpretativa per una regione sensibile a cambiamenti costanti capaci di condurre a variazioni sostanziali.
In Siria la categorizzazione in proxy war è semplicistica: malgrado alcuni proxy siano stati inquadrabili quali forze anti-governative, e che gli sponsor si siano adoperati per assicurare aiuti militari e finanziari, la guerra civile in Siria ha presentato caratteristiche fuori schema. Hezbollah è stato uno sponsor atipico, un partito proxy a sua volta finanziato da terzi, Teheran; la minoranza curdo-siriana, politicamente abile ma pur sempre un’incognita che prova a curare l’hedging1; la competizione dinamica tra Russia e Iran. L’instabilità, di fatto, ha radici più attempate che si rifanno al 1916 di Sykes e Picot, gli spartitori dell’ottomanesimo turco; caduta la Sublime Porta, l’area MENA è rimasta alla ricerca di nuovi equilibri che, ora, turchi e persiani stanno cercando di imporre, dovendo però gestire l’inedita presenza israeliana divenuta garanzia contro i revanscismi imperiali.
Rimangono i grandi egemoni: gli USA, la potenza per antonomasia, e la Russia, indebolita dall’emorragia ucraina ma che non può permettersi di perdere Damasco, senza la quale rischia di farsi chiudere da Ankara. Mosca a Tartus deve proteggere la sua ultima base navale mediterranea, senza la quale, con l’immobilizzazione della flotta del Mar Nero, declinerebbero tutte le ambizioni mediorientali.
Abbiamo accennato a Gerusalemme; osservatori attenti per le possibili conseguenze sul proprio territorio, gli israeliani hanno fattivamente contribuito alla situazione martellando Hezbollah, Pasdaran prossimi a perdere influenza in Libano e Iraq, e tributari di Assad. Pur nella loro attuale indecifrabilità, gli eventi siriani incideranno sull’evoluzione degli equilibri Mediorientali, Golfo compreso. Non è certo un caso che l’offensiva di Hayat Tahrir al-Sham2, compagine guidata da un ora presentabile Mohammed al Jolani3 e formata da gruppi jihadisti ideologizzati, sorprendente dal punto di vista operativo, sia stata lanciata nello stesso giorno di entrata in vigore del cessate il fuoco tra Beirut e Tel Aviv, con una significativa riduzione delle capacità belliche di Hezbollah, un vuoto tra le fila pro Assad in cui si è inserita l’insorgenza jihadista, abile a sfruttare la debolezza iraniana.
Inevitabile la presa di possesso israeliana della zona smilitarizzata sul Golan, un cuneo a disposizione del nuovo sultanato siriano contrastato dall’elite di Tsahal.
Interessante la convergenza di interessi turco-israeliani, ovvero l’esercizio dell’influenza imperiale di Ankara e l’interruzione ebraica del corridoio tra Hezbollah e un Iran troppo vulnerabile, colpito dall’uso senza precedenti della violenza da parte israeliana. Un errore strategico quello di Hezbollah che, nel tentativo di alleviare la pressione su Gaza, ha innescato uno scontro devastante. Secondo gli accordi, il cessate il fuoco attuale non è sostanzialmente diverso da quello previsto dalla risoluzione 1701 del 20004; quel che è variato è il contesto strategico, apparentemente più favorevole a Tel Aviv, con Hezbollah che, di fatto, ha dovuto sganciarsi da Hamas e dal supporto ad Assad. Teheran dovrà valutare attentamente se e come riprendere le sue linee strategiche, sia in funzione del fatto che Donald Trump cercherà presumibilmente di accelerare negoziati di pace con una reprise degli Accordi di Abramo dopo l’indebolimento della continuità territoriale sciita in una Siria5 vittima sacrificale e predestinata di un conflitto contro Israele, sia delle devastanti ripercussioni interne al regime degli Ayatollah in caso di scontro. Un campanello d’allarme che ha indotto Assad sia dall’astenersi dall'intervenire nel conflitto multifrontale contro Israele, sia a limitare le attività condotte in territorio damasceno dall’Asse della Resistenza, una misura che gli ha alienato molte simpatie a fronte del perseguimento di interessi personali che non gli hanno fatto rammentare come la sopravvivenza del regime baathista, sia pur in costante rianimazione, dovesse essere ricondotta a Iran e Hezbollah, distanti dai paesi sunniti più moderati.
Uno dei punti nodali è stato forse proprio quello di aver confuso l’opportunismo di Assad6 con una saggia ponderazione politica che, laddove presente, gli avrebbe fatto considerare diversamente la pervasività della presenza iraniana in sinergia con il Cremlino, un ostacolo per l’intrattenimento di rapporti con Paesi sunniti interessati al levante, anche in virtù dell’indebolimento della catena verticale di comando dell’esercito siriano.
Non c’è dubbio che i russo-iraniani avessero l’intento di saggiare sul campo le capacità strategiche, in previsione della creazione di un nuovo polo a contrasto di blocco occidentale e monarchie del Golfo incrementando la deterrenza verso Israele. Un progetto rimasto tale, data la presa di coscienza della potenziale letalità di uno scontro con Israele. Inevitabile il rientro in scena della Turchia, consapevole dell’importanza regionale siriana e decisa nell’inviare messaggi inequivocabili ai vari soggetti internazionali dopo la mancata riconciliazione tra Ankara e Damasco, che ha sempre richiesto il ritiro delle truppe turche dal nord, la fine della collaborazione con l’opposizione e che ha tentato di mantenere un’impossibile posizione di forza, stroncata dalla fulminea avanzata dell’HTS che potrebbe aver ottenuto un risultato superiore alle stesse iniziali aspettative turche limitando i propri obiettivi ad un’area meno ampia di quella tipica qaedista. L’assenso turco all’offensiva, fatte salve le rituali richieste di cessazione delle ostilità, posiziona di fatto Ankara quale soggetto politico più influente nel paese con cui necessariamente interfacciarsi, Russia compresa. Da non dimenticare Erdogan che già controlla una parte di Siria e, soprattutto, la leva rappresentata dagli sfollati siriani, fonte di cospicui finanziamenti europei.
Gli eventi siriani incidono comunque sugli equilibri dei paesi d’area a partire dalla Libia, dove Haftar teme possano replicarsi le dinamiche siriane, un pantano per i russi, impegnati nella protezione della base navale di Tartus; se può cadere una base siriana, perché non potrebbe accadere, per effetto domino, lo stesso in Libia?
Gli USA di Trump hanno ribadito di non volersi impegnare in Siria, confermando però sia l’appoggio a Tel Aviv, sia le negoziazioni per la pace pur a fronte di una rinnovata linea dura anti Teheran.
Stanti gli errori irano-russi, se è vero che la realtà dai mesi prossimi sarà ancora più instabile, è altrettanto vero che offrirà alla nuova amministrazione americana maggiori opportunità di riaffermazione anche verso la Cina.
Poco meno di due settimane sono bastate per spazzare via 50 anni di un governo non esaltante; un punto di svolta che apre a nuovi scenari. Certificata la debolezza russo-iraniana, rimane la rapidità d’azione di truppe che di irregolare ed improvvisato hanno poco.
Ora è il momento della transizione, condizionata dagli avanzamenti sulla plancia di questo tragico risiko; a fronte dello sfacelo irakeno, non sarebbe così improvvido confidare in un mantenimento di quel poco di istituzionalmente positivo che c’è (se esiste) dell’amministrazione siriana. Rimangono poi le questioni legate alla gestione delle zone interessate dalla presenza di basi militari straniere, come Tartus e Latakia, per le quali sarà necessario addivenire a negoziati tra Iran, Turchia e Russia. Il nord-est della Siria, invece, dovrebbe riguardare (si insiste sul condizionale) le forze a guida curda.
E allora chi comanderà? Nessuno degli egemoni precedenti ha lo stesso peso. Con la Turchia, due attori potrebbero spiccare, ovvero Arabia Saudita, con MbS chiamato a decidere cosa intende diventare, e Israele, anche perché l’economia, in termini di passaggi di beni e risorse, rimane fondamentale, come rimane fondamentale capire chi potrà davvero proporsi come un hub energetico credibile e soprattutto affidabile e non erratico. Se i curdi hanno commesso un errore politico, è stato quello di non stringere per tempo rapporti con Arabi e Israeliani, stante l’inestinguibile antagonismo con Ankara.
È una questione di vuoti di potere, inammissibili nelle relazioni internazionali, con il prossimo arrivo di Trump che, a differenza dei dem, potrebbe rivalutare la Turchia quale nuova sponda, uno scenario inedito.
Mentre Israele si rafforza ai confini e sul Golan, l’Iran dovrà riproporsi in una nuova veste (pericolosamente) più proattiva, mentre Mosca dovrà decidere come giocare le sue carte tra Ucraina e mari caldi, attendendo le mosse di gennaio di Washington.
Posto che nulla vieta che nei prossimi mesi si sarà costretti a parlare di Sirie, il fatto che gli europei fino a poco tempo fa cercavano un nuovo punto di contatto con Assad, fa capire natura ed efficacia della politica veterocontinentale, mentre la mezzaluna sciita sembra essere, al momento, prossima al tramonto, sostituita da quella ancirana.
1 Strategia, basata su una commistione tra cooperazione e conflitto verso più soggetti politici
2 Già noto come Fronte Al-Nusra ed ex affiliato di al Qaeda in Siria; Nel 2016, con Abu Mohammed al-Jawlani, il Fronte al-Nusra ha tagliato i legami con al Qaeda adottando il nuovo nome di Jabhat Fateh al-Sham. L'anno seguente, fuso con altre fazioni nella guerra siriana, è divenuto Hayat Tahrir al-Sham, Organizzazione per la Liberazione del Levante, un rebranding indirizzato a rendere più accettabile l’aspetto jihadista
3 Pseudonimo di Ahmed al-Sharaa
4 IDF dovrebbe ritirarsi dal Libano meridionale mentre Hezbollah dovrebbe ritirarsi dalla zona di confine a circa 20 miglia a nord del fiume Litani
5 A nord-ovest gruppi legati direttamente (SNA) o indirettamente (HTS) alla Turchia; a nord-est, lungo la sponda orientale dell’Eufrate, le forze curdo-siriane (SDF).
6 Pur rimasto alla guida del paese e reintegrato nella Lega Araba nel 2023, Assad è rimasto ai margini della politica internazionale. Con l’economia in crisi, la Siria ha contribuito alla diffusione dello stupefacente sintetico captagon.
Foto: Giorgio Bianchi