“Scontro di civiltà”: Huntington aveva torto?

(di Renato Scarfi)
09/09/22

L’inizio del processo ai terroristi francesi ha riportato alla ribalta delle cronache il fenomeno del terrorismo di matrice confessionale e l’espressione “scontro di civiltà”.

Il concetto di scontro di civiltà è stato inizialmente sviluppato dall’americano Samuel P. Huntington in un articolo pubblicato nel 1993 sulla rivista Foreign Affairs: secondo lo studioso, la fine della guerra fredda non significava la fine delle guerre, ma un loro cambiamento. Dopo aver passato la fase delle guerre quasi personali tra monarchi al potere e dopo la rivoluzione francese (14 luglio 1789) le guerre sono, infatti, diventate guerre di confronto tra nazioni per diventare, nel ventesimo secolo, guerre ideologiche.

Dopo che Francis Fukuyama nel 1992 aveva preconizzato la fine della storia e dei conflittii, Huntington proponeva quindi una visione diversa dell’evoluzione umana, quella dello scontro di civiltà, appuntoii.

Nei suoi scritti egli definiva la civiltà come un’identità culturale con degli elementi oggettivi (lingua, religione, storia, costumi, istituzioni) e un elemento soggettivo (il sentimento di appartenenza). In tale ambito Huntington identificava otto tipi di civiltà: occidentale, confuciana, giapponese, musulmana, induista, slavo-ortodossa, latino-americana e africana.

Contrariamente alle guerre ideologiche, nelle quali il cambio di campo è sempre possibile, secondo Huntington i confronti tra civiltà sarebbero stati condotti tra schieramenti abbastanza rigidi. Egli, integrando le tesi di Quingleyiii, aveva anche predetto che il futuro dell’umanità avrebbe visto la decadenza della civiltà occidentale, che avrebbe portato all’invasione in quanto “…non più capace di difendersi perché non ha più la volontà di difendersi…”, finendo per offrirsi prostrata alle civiltà economicamente e demograficamente più dinamiche. Una decadenza occidentale che avrebbe visto l’aumento dei comportamenti antisociali, degli atti criminali, dell’uso di droga e della violenza in generale (specialmente sui bambini), dello sviluppo del culto dell’autoindulgenza, ma anche la quasi scomparsa dell’impegno per la cultura e l’attività intellettuale, che si riflette in una sostanziale insufficienza di ragionamento critico.

Parallelamente alla riduzione dell’importanza geopolitica dell’Occidente, evoluto ma in declino, e all’avanzata del mondo arabo-musulmano egli evocava anche una crescita della valenza geopolitica del mondo confuciano.

L’innovativo concetto di Huntington ha avuto un fortissimo impatto sugli studiosi, tant’è che è subito divenuto centrale nel dibattito geopolitico e gli eventi immediatamente successivi alla pubblicazione sembravano dargli ragione. Con la guerra del Golfo l’Occidente rispondeva alla sfida lanciata da Saddam Hussein. Subito dopo sono iniziate le guerre balcaniche tra croati (occidentali), serbi (slavo-ortodossi) e bosniaci (musulmani). Un conflitto che ha catalizzato l’attenzione e l’orrore di tutti i Paesi del Mediterraneo.

Tuttavia, ad analizzarla un po’più da vicino, la realtà emersa dopo la formulazione della teoria di Huntington ha mostrato tutti i limiti dell’approccio del politologo statunitense.

La coalizione internazionale contro Saddam Hussein, per esempio, contava numerosi Paesi arabo-musulmani, mentre serbi e croati erano separati unicamente dalla religione, peraltro avente delle radici condivise. I conflitti più sanguinosi degli anni ’90 sono, inoltre, stati combattuti in Africa, tra popoli africani e, quindi, all’interno della medesima civiltà. Nel caso del terrorismo jihadista, che in particolar modo ha insanguinato il mondo negli ultimi vent’anni, è facile notare che la grande maggioranza degli attentati (e delle vittime) è effettuata contro gli stessi musulmani, per opera di fanatici musulmani.

Allo stesso modo, l’attuale guerra tra Russia e Ucraina è combattuta tra popoli slavi e ortodossi (seppure con alcune differenze teologiche), appartenenti alla stessa “civiltà” individuata da Huntington. In aggiunta, non va sottaciuto che le contese potenzialmente più devastanti sotto il profilo geopolitico globale vedono contrapposte la Cina e Taiwan o le due coree. Anche in questo caso si tratta di gravi frizioni tra popoli appartenenti alla stessa “civiltà”.

Diversamente da quello che aveva preconizzato Huntington, quindi, più che di scontro di civiltà sembrerebbe trattarsi di una decisa contrapposizione tra due visioni diverse di come gestire il mondo, un confronto tra democrazia e autoritarismo, condotto da schieramenti tutt’altro che rigidi (vedi, per esempio, la Russia di Gorbaciov e di Putin).

Svanita la nefasta illusione di poter “esportare” la democrazia in paesi che, per storia e tradizioni, sono lontani da questo modello e in attesa di uno statista che abbia le giuste idee e il giusto carisma, le democrazie mondiali possono solo elaborare politiche che le rafforzino, in modo da contenere i tentativi di inquinamento da parte dei regimi dittatoriali.

Il pericolo per le democrazie è che, proprio per effetto della sistematica azione di influenza da parte di chi vorrebbe avvelenare i pozzi della democrazia, la linea rossa che divide i due sistemi di governo possa diventare suscettibile di flessibilità e di incertezze che, in particolare per i paesi dell’Unione Europea, aprirebbe orizzonti di dispute interne fra alleati e di probabili discordie e divisioni, spianando la strada all’”uomo solo al comando”, magari con pieni poteri.

In un mondo sempre più multipolare gli attuali scenari vedono, quindi, i due principali paesi autoritari, Russia e Cina, due civiltà realmente e profondamente diverse che sono da sempre state in conflitto, adottare sinergicamente politiche e azioni militari (pur con diversa intensità) tese a modificare a proprio vantaggio l’equilibrio internazionale strutturato dai paesi democratici, sfruttando le emergenti debolezze politico-militari di questi ultimi, di cui è emblematico il drammatico termine della vicenda afghana. Questi regimi sono del tutto convinti della “pericolosità” dei concetti democratici incarnati dall’Occidente e, dopo aver dapprima contrastato le democrazie con strumenti politici e propagandistici, stanno ora aggiungendo anche le minacce politiche e militari (ed economiche).

La democrazia liberale è, quindi, diventata la minaccia principale per le autocrazie mondiali ed è questo il vero duello cui stiamo oggi assistendo.

Non vi è, quindi, ombra di dubbio che chiunque parli di un ipotetico scontro di civiltà in atto dimostra di non aver compreso i limiti di una teoria che ha tentato di spiegare un fenomeno di per sé molto complesso, ma che appare ormai superato dagli eventi e che va comunque inquadrato in un particolare contesto storico.

L’antagonismo tra democrazia e dittatura è presumibilmente quello che dovrebbe caratterizzare i prossimi anni, più degli stessi conflitti basati sugli interessi economici e decisamente più delle differenze tra le varie culture, o civiltà. Sembrerebbe, quindi, che Huntington abbia avuto torto.

Gli eventi, tuttavia, ci indicano chiaramente che di rado siamo in grado di scrivere la storia in anticipo e che i diversi sistemi non sono destinati automaticamente alla reciproca violenta contrapposizione. La principale lezione che la storia ci insegna è, infatti, che le possibili direzioni che essa può prendere sono innumerevoli, ma nessuna è inevitabile, essendo semplicemente il risultato di scelte politiche effettuate da esseri umani, generate dagli interessi, visioni ed esigenze del momento, per definizione molto variabili. Uno scontro non è quindi né indispensabile né inevitabile, ma le differenze tra i due sistemi si rendono ogni giorno più evidenti, e ciò potrebbe costituire un pericoloso e potenzialmente devastante detonatore.

È per questo che tutti i rappresentanti politici sono oggi chiamati a un impegno supplementare per evitare che, per esempio, possa ulteriormente aggravarsi la già delicatissima situazione internazionale e che possa allargarsi il fossato che divide i diversi sistemi, per evitare che le attuali principali preoccupazioni strategiche si trasformino in un grave e devastante conflitto generalizzato.

Le democrazie mondiali navigano verso appuntamenti estremamente importanti per l’avvenire del mondo e ognuno deve essere in grado di dare il proprio fattivo contributo alla definizione dei futuri equilibri mondiali, superando esitazioni ed egoistiche divisioni di piccolo cabotaggio.

Si tratta di fare le giuste scelte politiche per evitare che le grandi conquiste democratiche faticosamente conseguite nel corso del tempo vengano cancellate dall’assolutismo, dal fanatismo, dalla violenza.

i Il concetto è sviluppato in modo particolare in un saggio del 1992, The End of History and the Last Man, pubblicato in italiano come La fine della storia e l'ultimo uomo.

ii Il concetto è stato poi ampliato nel saggio The Clash of Civilization and the Remaking of World Order, pubblicato in italiano nel 1996 come Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale

iii Carroll Quingley, Evolution of Civilizations

Foto: MoD People's Republic of China