Nuovo vestito, stesso ballo: quanto pesa effettivamente la nuova Costituzione cilena?

(di Andrea Forte)
05/07/21

Nessuna costituzione crea la potenza, al massimo la interpreta efficacemente. Migliora le prestazioni del Paese che se ne dota. È olio per quella potenza. Il Cile, avviando un processo costituente a seguito dell’estallido (scoppio) nel 2019 di tanti, troppi ceti sociali, ha scelto di ridefinirsi, perché i fiumi carsici delle sue contraddizioni sono arrivati in superficie. A seconda di come la nuova costituzione riuscirà a declinare in una nuova trama i punti di forza e quelli critici, il Cile riuscirà a elevare di rango lo spessore della propria posizione, ma non potrà cambiarla.

Il Cile, come ogni Paese, vive nella geografia, croce e delizia della geopolitica. E lo spazio del Cile, il Sudamerica, è un giardino, un giardino non suo, ma dell’egemone globale, gli Stati Uniti. Il nome del giardino può variare a seconda del progetto proprio o degli attori, che rispetto ad esso giocano… America Latina, Indo-america, Ibero-america, ma geopoliticamente questo continente appartiene allo spazio di sicurezza strategica della superpotenza nordamericana. Qui il dominus di ultima istanza sono loro, a prescindere da qualunque costituzione il Cile possa darsi.

Eppure una costituzione efficace può interpretare al meglio il modo di essere confitti nello spazio d’influenza altrui. Saper recitare la condizione di satellite può generare spazi di autonomia sempre più ampi. Innanzitutto il Cile sa che il giardino in cui si trova è enorme, dunque non tutti i suoi comparti regionali subiscono le esigenze strategiche statunitensi allo stesso modo.

Il Cile si trova nell’area geostrategica denominata Cono sud, lo si può definire il Sud del Sud, l’area più distante dal fiato Usa. Più ancora, il Cile è un’immensa striscia di terra che costituisce l’estremo occidente di quest’area. È a sud del sud, e a ovest dell’ovest (occidente). Si affaccia così sul Pacifico, l’oceano dove la Cina, la seconda potenza mondiale, cerca di giocarsi l’ascesa, e sull’Antartide, di cui il Cile, autodefinendosi Terra australe, si racconta rampa di lancia e arpione ambizioso. Ecco già definite le prime coordinate geopolitiche della partita cilena. L’immensità degli spazi. Degli attori. Dei loro progetti. Ora però è emerso un nuovo gigante, la crisi di una società gerarchizzata, di fatto illiberale. La rabbia degli esclusi e sottomessi minaccia frattura.

Gestirle significa giocare su più tavoli e a livelli differenti. Da Paese che si affaccia per 4200 km di coste sul Pacifico e dunque sulla principale partita geopolitica mondiale, la competizione Usa-Cina, ed essendo al tempo stesso ricchissimo di materie prime, ma per questo dipendente dalla loro esportazione, il Cile si trova immediatamente catapultato nella principale sfida globale. Esporsi all’Asia in forma commerciale è infatti ineludibile per il Cile, ma proprio per questo necessita di ribadire la propria affidabilità agli occhi degli Stati Uniti. Posizione tradotta in due direzioni: senza mai aderire a fondo a qualunque progetto cooperativo sudamericano, che preveda una collaborazione in un senso più o meno anti-statunitense, sia ponendosi nella forma che l’ex segretario di stato americano Condoleeza Rice definì di transitional country, ovvero Paese talmente affidabile agli occhi Usa, da potersi veder delegare da questi la rappresentanza dei loro interessi strategici in loco. In questo senso il Cile ha impostato i propri rapporti con la Cina, non andando mai oltre un livello economico. È infatti consapevole che la Cina, tramite leva economica, cerca una potenziale porta (ad esempio Venezuela o Cuba) per introdursi nel cortile degli Stati Uniti, ma sa anche che non ha attualmente le capacità né la volontà per sfidarli realmente nella parte più domestica della loro profondità difensiva.

Per questo ad esempio il Cile si è potuto permettere di acquisire il vaccino cinese, senza che questo modificasse realmente la postura delle alleanze cilene. Tradotto, il Cile, consapevole di essere vista come porta, si è solo affacciato alla finestra, da cui ha preso vaccini, sapendo che il massimo della contropartita è economica (con attenzione però che un domani non sia facilmente traducibile in chiave geopolitica, data l’acquisizione cinese di materie prime strategiche, ad esempio il litio).

Proprio il livello economico dei rapporti con la Cina mostra una criticità del sistema cileno, la patologica dipendenza, tipicamente sudamericana, dall’esportazione delle proprie immense materie prime. Anche per questo il Cile impronta la propria postura commerciale in un senso più bilaterale e a regionalismo aperto, rispetto alle cooperazioni multipolari più stringenti, di cui conosce governance normative deficitarie, difficoltà geografico-infrastrutturali permanenti ed eccessive restrizioni esportatrici. Il primo antidoto alla patologia esportatrice sarà la diversificazione dei mercati, affinché la dipendenza non sia unidirezionata, ma mantenga più alternative in caso di “tempeste”, come quella dei dazi commerciali tra Usa e Cina, ancora in fieri.

È sul piano interno che si porranno però le sfide principali della nuova costituzione. Si andrà a cambiare un testo che risale al 1980, varato dalla passata dittatura militare di Pinochet. Per quanto filtrata da continue riforme in senso democratico, quella costituzione mantiene un impianto statale fortemente centralista, a sua volta a supporto di un modello economico neoliberista assoluto. Una struttura che ha schiacciato la condizione di cittadino su quella di consumatore. Nuova declinazione di un medesimo patto coloniale, per cui la sottomissione passa tramite l’indebitamento. Dalla fondazione della nazione infatti enormi frange sociali sono di fatto bipartite in una società gerarchica con un sopra e un sotto. Con i ceti più poveri, come indigeni e ormai i medio-borghesi, costretti a indebitarsi, pur di partecipare a un sistema economico modellato sulla conservazione di determinati privilegi. Sarà pertanto la ridefinizione della presenza dello stato nell’economia, dentro un rinnovato paradigma economico, che sia più progressivo, redistributivo e inclusivo (quindi democratico), garantendo servizi sociali pubblici essenziali, a determinare la capacità di riformarsi della democrazia cilena. Nel farlo non dovrà cadere nel modello di assolutezza assistenzialista bolivariano del Venezuela e neppure in quello tossicamente protettivo argentino. In questo senso la partita sulle materie prime diventa partita sulla tassazione delle grandi multinazionali, che le gestiscono, e a seconda della sua nuova intensità, sarà fondamentale per capire quale sarà il tipo di presenza dello Stato e la sua politica redistributiva.

Le classi dirigenti attualmente al potere, uscite sconfitte nell’assemblea costituente, sembra vogliano giocare la sopravvivenza piuttosto nella prossima elezione presidenziale e nel rapporto che il nuovo presidente, eletto con vecchie regole costituzionali, avrà con la nuova costituzione. Se non per affossarla, almeno per “correggerla”. Sanno che in ballo è lo stesso modello di società. In quest’ottica l'ammissione all’assemblea costituente delle minoranze indigene, come i mapuche, sembra avviare il Cile verso un nation re-building più inclusivo del fattore umano complessivo del Paese. Più sarà inclusivo e partecipativo, meno sarà gerarchico, meno sarà proprietà degli attuali “padroni” dello stato.

Il vero obiettivo è una riscrittura del modello socio-economico, per rafforzare i muscoli di un Paese che, immutato il dominus geopolitico, si ritrova perciò a partecipare alle sue recenti partite. Per questo, ricompattare la società rafforzerà la fibra geopolitica del Paese. Il fine ultimo è quello che ha sempre animato qualunque classe dirigente cilena, ovvero non essere marginalizzato, da Paese dell’estremo sud-occidentale del giardino statunitense, e al tempo stesso rimanere eccezione rispetto al contesto regionale. Eccezionalità che passa ora anche nel porsi come paradigma di solida democrazia, in un’area stereotipatamente immaginata essenzialmente autoritaria. Stando attento a non essere troppo eccezionali rispetto alla regione, che significherebbe farsi assorbire l’identità dall’egemone. Rischio reale, perché ogni impero vuole in ultima istanza far credere alla sua missione, fino ad identificare in essa. Assimilare le culture “provinciali” alla propria è funzionale all’idea di quiete securitaria.

Il Cile sa che gli americani si aspettano dalle loro province latine stabilità e prevedibilità, ovvero sicurezza strategica per se stessi. La nuova costituzione serve anche a reagire a questo progetto. Il valore della stabilità è per gli stessi cileni valore massimo. Rafforzare l’identità proprio nel momento in cui cambia. Per rimanere eccezionali, ma comunque se stessi.

Foto: Ejército de Chile