Non solo Europa: il Trattato del Quirinale letto da Parigi

(di Federico Castiglioni)
30/11/21

Nel maggio 2017 Emmanuel Macron era l’uomo del momento. Appena eletto all’Eliseo, l’ex banchiere francese era visto da molti euroentusiasti come l’ancora di salvataggio di un’Unione Europea ancora traballante, sconvolta dall’esito del voto della Brexit dell’anno precedente e ancora incerta sull’affidabilità politica di quel gruppo di Stati membri poco cerimoniosamente definiti P.I.G.S. (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).

Il difficile bilanciamento geo-culturale tra i quattro cardini dell’integrazione Europea (nord/sud ed est/ovest) costruito a prezzo di grandi sacrifici negli anni di Maastricht e con l’allargamento verso oriente nel nuovo millennio stava venendo meno. L’ascesa al potere di Macron, chiudendo le fragili porte di Parigi all’euroscetticismo doveva, almeno nelle intenzioni iniziali, rilanciare una stagione di europeismo nel vecchio continente.

Per comprendere la profondità di queste aspettative, e quindi anche il recente Trattato del Quirinale, si deve pensare al primo passo di questo percorso, ossia al discorso di Macron alla Sorbona nel settembre 2017. In quella sede, il presidente francese tentava di rilanciare il progetto europeo partendo da alcuni assunti: 1) un ritrovato asse economico e politico (paritario) con la Germania; 2) l’inizio di un percorso europeo in materia di sicurezza e difesa; 3) una tassazione sulle multinazionali o comunque contro forme di competizione fiscale dannose per Parigi; 4) un manifesto ideale basato sulla crescita sostenibile; 5) l’allargamento dell’asse franco-tedesco a tutti quei Paesi disponibili a riconoscersi nei punti precedenti.

Pochi giorni dopo aver pronunciato il suo celebre discorso, Macron incontrò a Lione il premier italiano Paolo Gentiloni per un vertice bilaterale, congiuntamente ai rispettivi ministri di Difesa ed Esteri. Fu in quel momento che nacque l’idea di un nuovo trattato bilaterale tra i due Stati, sotto gli auspici del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il Trattato del Quirinale nasceva quindi già con una forte connotazione europea e sicuritaria, che oggi si vede realizzata. L’idea di firmare un accordo politico, improntato su Difesa e politica estera, tra due Stati in storica competizione geo-strategica tra loro in nord Africa e nel Mediterraneo rappresentava un’ambizione ragguardevole.

Italia e Francia sono sempre state rivali soprattutto per il costante tentativo italiano di proiettare una propria limitata influenza in Libia e Tunisia, da sempre ostacolato dal governo di Parigi che invece punta a creare un bocco africano nord-occidentale speculare a quello anglosassone che tiene in equilibrio i rapporti politici e diplomatici gravitanti intorno al canale di Suez. E anche se il Mediterraneo centrale è solo la periferia di quella che viene (veniva) definita Francafrique, per l’Italia esso al contrario rappresenta un pied à terre naturale per mercati strategici. Del resto, proprio quando i dipartimenti Affari Europei dei Ministeri degli Esteri stavano discutendo i contenuti del possibile accordo italo-francese, in altre stanze della Farnesina e al Quay d’Orsay si assisteva preoccupati alla sfida a distanza in Libia tra il filo-francese (tra le altre cose) generale Khalifa Haftar e il premier filo-italiano (tra le altre cose) Al Sarraji.

L’accordo del Quirinale che ha visto la luce oggi prende atto di questa storica differenza di interesse nazionale e tenta di proporre esplicitamente uno scambio, nominando espressamente tre aree extra europee di cooperazione: Nord Africa, Sahel e Corno d’Africa.

Il Sahel è al centro delle preoccupazioni francesi del momento soprattutto per la recente perdita di credibilità causata dal ritiro dell’operazione Barkhane. Oltre a rappresentare i limiti della politica estera di Parigi, la débâcle in Mali rappresenta anche un fallimento diplomatico di Macron, visti i suoi costanti e infruttuosi tentativi di “europeizzare” la crisi nel Sahel.

Il Corno d’Africa, dall’altra parte del continente, è un altro scenario in cui la Francia è in affanno, incalzata dall’OPA cinese che si allarga ad Etiopia e Somalia. Il piccolo contingente nello Djibuti poco può fare del resto per tenere una presenza europea nella regione, soprattutto ora che i contrasti tra Etiopia, Sudan ed Egitto, uniti all’instabilità domestica interna di questi Paesi, hanno aperto le porte per un gioco a scacchi tra grandi potenze.

Il Nord Africa, infine, a cui il Trattato esplicitamente si riferisce, non è solo quello della Libia divisa e sotto elezioni, ma anche quello della Tunisia dove il presidente Kais Saied è stato accusato di aver organizzato un golpe il mese scorso, o dell’Algeria che recentemente ha interdetto alla Francia il suo spazio aereo.

Il sostegno italiano, in altre parole, è essenziale per Parigi, e i motivi sono ben più pratici di quanto il continuo richiamo europeista del Trattato voglia far credere.

L’altro grande tema che emerge dal Trattato del Quirinale è quello della Difesa e dello Spazio. Per quanto riguarda la Difesa, la cooperazione è operativa solo in subordine rispetto agli obiettivi strategici sopra citati, mentre rimane per lo più industriale nelle sue linee guida principali. Italia e Francia mirano a rafforzare la loro cooperazione congiunta in sede Pesco, soprattutto per quanto riguarda il settore navale (cantieristica e R&D). È significativo che il più grande progetto congiunto tra i due Paesi ad oggi sia quello per lo sviluppo di una nuova corvetta europea (EPC), il quale potrebbe ricevere finanziamenti cospicui dal Fondo Europeo per la Difesa.

Capitolo totalmente diverso e di assoluto interesse rimane lo spazio. Anche se in pochi lo hanno sottolineato, congiuntamente al Trattato del Quirinale il 26 novembre scorso è stato firmato da Vittorio Colao, ministro della Tecnologia innovazione e Transizione digitale, e dal ministro dell’economia francese Bruno Le Maire un accordo ad hoc sui lanciatori francesi (ed europei) nella Guyana francese. I lanciatori di nuova generazione Vega C e Ariane 6 sono non solo costruiti con il sostegno dell’Agenzia Spaziale Europea, ma anche degli asset spaziali “istituzionali” per l’Unione Europea.

Il Trattato cita espressamente la cooperazione spaziale come punto fondamentale della sinergia tra i due Paesi e l’accordo sui lanciatori a margine ne fa capire l’importanza per entrambi gli attori. Anche in questo caso, il sostegno italiano in chiave europea rimane fondamentale per Parigi. La posizione della Guyana francese come piattaforma “istituzionale” per l’Europa dello spazio rischia infatti di rimanere lettera morta se continueranno in materia spaziale le spinte centrifughe osservate finora. Ormai da anni, per esempio, la Polonia coopera più con gli Stati Uniti che con l’Europa per mettere in orbita i suoi satelliti, e l’ultimo esempio sono i satelliti polacchi di SatRevolution partiti dal deserto californiano del Mojave a giugno scorso. Storia non molto dissimile per la Romania, dove ArcaSpace sta provando da anni a trasferire una parte delle sue strutture (se non altro amministrative) negli Stati Uniti, mostrando interesse a sviluppare piattaforme di lancio autonome nel Mar Nero.

Ancora più preoccupanti le evoluzioni in Germania, dove stanno aumentando le pressioni della Confindustria tedesca BDI sul governo federale per la costruzione di una piattaforma di lancio made in Germany nel Mar del Nord. Insomma, anche in questo settore Emmanuel Macron non può dormire sonni tranquilli e il sostegno italiano non può che apparire rassicurante, anche alla luce della stretta e storica cooperazione in materia spaziale tra i due Paesi.

L’accordo del Quirinale ha quindi per l’Eliseo un valore europeo ma anche un significato bilaterale molto forte. Nato all’interno di una più vasta strategia per rafforzare l’Unione Europea come declinato alla Sorbona, il Trattato si compone di un cappello ideale e di alcuni contenuti pragmatici. Questi ultimi sono rappresentati dalle esigenze contingenti di Parigi e determinati da una condizione di debolezza che certamente ha facilitato la chiusura dei negoziati dopo l’insediamento di Mario Draghi.

L’Italia potrà ottenere molto dall’accordo se sarà in grado di trovare un punto di equilibrio (commerciale, politico, industriale) tra il suo interesse nazionale e quello francese.

Foto: Quirinale / web / Opération Barkhane / ESA