"Medical power for naval superiority"

(di Gino Lanzara)
20/04/20

Un sistema per prevenire gli aspetti futuri più sgradevoli risiede nell’umiltà di considerare le lesson learned, attività spesso svolta con fastidio, poiché ammette errori altrimenti evitabili. Se è vero che l’imprevedibilità può essere decisiva, è altrettanto vero che la sua analisi successiva può ridurre il reiterarsi degli stessi sbagli, tenuto conto che la Storia, purtroppo o per fortuna, si ripete. Il punto debole risiede nella natura umana, nell’irrazionale convinzione che la pallottola che centrerà il fante all’assalto ancora non sia stata fusa.

Storicamente le pandemie hanno accompagnato l’umanità, sollecita a rimuovere (adelante e senza juicio) le esperienze negative. Solo nel XX secolo, si sono sviluppati focolai di infezioni che hanno mietuto centinaia di migliaia di vittime: la Spagnola del ‘18 e causa della lost generation, decimata dal conflitto e dal contagio; la Pseudo Pandemia del ’47; l’Asiatica del ’57; l’influenza Spaziale di Hong Kong del ‘68 meno letale ma altamente contagiosa e che portò in Italia a circa 20.000 decessi; la Russa (ma sviluppatasi in Cina) del ‘77; l’aviaria del ‘96, la pandemia A/H1N1 del 2009, senza contare febbre gialla, vaiolo delle scimmie, colera, malaria e, non da ultimo, ebola.

Le malattie infettive cambiano secondo un modello evolutivo micidiale per ogni aspetto della vita quotidiana; la biologia riporta in vita microrganismi creduti estinti ma in realtà mutati, immunologicamente sconosciuti e di elevatissima diffusione, un passo sempre avanti rispetto alla ricerca, quando sostenuta. Un primo elemento individuato da Raffele Ghirardi (medico dirigente), è che “Tutte le grandi pandemie precedenti e susseguenti la Spagnola originarono probabilmente in Asia, in quell’area..compresa tra Russia siberiana e Cina occidentale..; …È nella sterminata campagna cinese che, in condizioni igieniche precarie, si verifica la stretta coabitazione tra pollame, suini e uomo,…lì sono insorte le più rilevanti pandemie influenzali; non trascurando il ruolo svolto dagli uccelli, migratori e non, il modo di diffusione della malattia pandemica e il contagio interumano diretto”; un secondo elemento lo aggiungiamo noi: la presunzione dolosa di poter oltrepassare il limite di possibilità e responsabilità.

Biologicamente una sottile linea rossa unisce i sintomi ed il decorso delle varie epidemie influenzali, così come rende comuni le conseguenze; la Spagnola in Italia, che colpì con duramente con la seconda e terza ondata, fu oggetto di una sottovalutazione che determinò il ritardo, il mancato contenimento e l’isolamento dei malati, tanto da causare il più alto numero europeo di vittime, circa 600.000, tante quanti i caduti al fronte, con la censura de Il Corriere della Sera, colpevole di aver pubblicato i dati dei decessi.

L’Asiatica del ’57, brillantemente esaminata dal Centro Studi del Forlanini di Roma, pur più lieve della Spagnola, portò globalmente a circa 2 milioni di vittime; a differenza del ‘18 il virus, apparso nella provincia di Guizhou nella Cina sudoccidentale nel febbraio del ‘57, e pubblicizzato in aprile dal NY Times, fu rapidamente identificato grazie a Maurice Hilleman, responsabile per le malattie respiratorie al Walter Reed Army Institute of Research (foto), che indagando sugli avvenimenti di Hong Kong, e facendosi inviare i reperti di un militare USA infettato, previde l’arrivo del contagio. Probabilmente la fortuna di Hilleman, e dei tanti che con il suo vaccino riuscirono ad evitare il peggio, fu quella di aver trovato un brodo di coltura politico favorevole, forte di un establishment puntato a preservare l’efficienza di un apparato cosciente non di un se ma di un quando, differente da quello cinese che, nello stesso periodo, proteso alla difesa ideologica del piano economico di Mao del Grande balzo in avanti, trascurò gli effetti dell’epidemia quale concausa della successiva tragica carestia1.

I primi focolai comparvero tra gli equipaggi di diversi Caccia a Newport, nel Rhode Island poi, già in giugno tra reclute della Marina a San Diego (più di 1.000 contagiati) e reclute dell'esercito a Fort Ord, California, dove il 26 luglio si iniziò ad inoculare il farmaco con a seguire, dopo tre giorni, la base aeronautica di Lowry in Colorado, cosa che permise un’efficace taratura vaccinale. Altro elemento da considerare, ai fini del calcolo degli effetti del contagio, fu costituito dalla Guerra Fredda, che con le restrizioni delle relazioni internazionali, impedì di compiere l’opera ora favorita dal contesto globale.

Fu la U.S. Navy ad avere il primo contatto con l’infezione, date le aree entro cui operava, contigue ai paesi in cui la malattia era epidemica. Alla fine di aprile, la USS Shangri La2, dopo aver lasciato Hong Kong, attraccò a Yokosuka avendo già a bordo circa un terzo del personale infettato3. La Shangri La fu seguita rapidamente da altre navi che avevano toccato Yokosuka, il Saint Paul, il Bayfield, il Tortuga ed il Castor, con percentuali dei contagiati oscillanti tra il 22 ed il 35 percento; l’epidemia colpì anche basi di Navy e Marines a terra tra i mesi di maggio e giugno a Formosa, nelle Filippine, in Giappone e nelle Isole Hawaii.

La diffusione epidemica in Sud America contagiò gli equipaggi in servizio nei Caraibi, con un focolaio a Terranova a luglio ed a Napoli in agosto, con insorgenze che raggiunsero picchi del 70% nell’arco di 10 giorni e durata di circa 3 settimane, in analogia con i focolai della Spagnola che uccise 5.027 marinai a fronte dei 431 caduti in combattimento, più uomini che a Pearl Harbor.

Data la possibilità, analoga a quella attuale della USS Roosevelt, che alti tassi di contagio avrebbero compromesso l'efficacia operativa, evento già avveratosi nel ‘18, le FA concordarono un programma di vaccinazione coerente con le capacità produttive nazionali, ed in grado di supportare la profilassi degli 85.000 uomini poi impegnati nell’esercitazione navale NATO Strike Back, la più importante dal dopoguerra.

Da notare, nel ‘96, il focolaio di influenza H3N2 verificatosi a bordo dell’incrociatore USS Arkansas, un evento che ha dimostrato un’insidia patologica capace di colpire soggetti in buona salute e vaccinati, e di rendere inefficiente l’Unità.

Che la U.S. Navy abbia fatto propria la lezione si desume dall’accuratezza della documentazione prodotta già dal ‘18, e dall’attenzione prestata alla formazione del suo personale; non a caso il motto della Sanità della Navy recita: medical power for naval superiority, nella consapevolezza della capacità del virus di rendere improvvisamente inabile la maggior parte delle forze combattenti per gli effetti letali della polmonite batterica secondaria.

L’adm medico Bruce Gillingham, capo della Sanità Navale, come i suoi predecessori, è ora divenuto parte della strategia indispensabile al mantenimento delle capacità dello strumento marittimo, quello più esposto a rischio epidemico; che la Marina USA sia FA di proprie autonome cultura e proiezione strategiche unite a spessore politico, è stato dimostrato dalla vicenda della USS Roosevelt e del suo comandante, il captain Crozier, le cui modalità di rimozione hanno determinato le dimissioni del segretario alla Marina Thomas Modly.

Che negli USA la possibilità del verificarsi dell’odierna pandemia fosse considerata, è più che probabile: l’esercitazione federale Crimson Contagion4 tenuta nel 2019 e che richiama più volte analogie con il Covid 19, ha tuttavia dimostrato le lacune sanitarie di un contesto globalizzato verso cui anche l’Hilleman del ‘57 nulla avrebbe potuto fare, e che erano già state segnalate da Christopher Kirchhoff, veterano della Casa Bianca e del Dipartimento della Difesa al tempo dell’Amministrazione Obama.

Nel ‘57 il sistema USA riuscì a contenere la pandemia, nel 2020 il focolaio a bordo della USS Roosevelt ha incarnato una crisi strategica che rischia di sguarnire il fronte del Pacifico da parte della talassocrazia americana, e che ha indotto il Chairman del Joint Chiefs of Staff Gen. Mark Milley a dichiarare che il Gruppo Navale della USS Truman, sarebbe rimasto in mare almeno fino a quando il Gruppo della USS Nimitz non fosse stato pronto per il dispiegamento, visto che, mentre il contagio sembra essersi esteso ad altre portaerei oltre alla Roosevelt, la Cina ha aumentato le sue attività navali.

La Navy, comunque, non ha mancato di sostenere la Nazione nel momento della necessità, come sta a dimostrare la sua attività volta a confermare il potere marittimo americano ed a supportare l’impegno in patria con le Navi Ospedale Mercy e Comfort, un dual use interpretato in modo fattivo e sostenuto da una struttura costantemente sorretta negli anni dai bilanci.

1 La carestia portò alla morte non meno di 14 milioni di persone.

2 Portaerei

3 Circa 700 uomini

4 Ha coinvolto 19 agenzie federali, 12 Stati, 74 dipartimenti sanitari locali, 87 ospedali

Foto: U.S. Navy / U.S. DoD