Lupi in doppiopetto

(di Gino Lanzara)
10/03/23

Confermando una linea politica evergreen, Qin Gang, nuovo ministro degli Esteri di Pechino, durante la sua ultima apparizione, ha fatto suo un assunto di Kofi Annan che, con inconfondibile aplomb, asserì che con la diplomazia puoi fare molto, ma con la diplomazia sostenuta dalla forza puoi fare molto di più; una presa di posizione che ha fatto seguito a quanto affermato recentemente dal presidente Xi all’Assemblea Nazionale del Popolo in merito all’azione di contenimento, accerchiamento e repressione che i Paesi occidentali, guidati dagli USA, hanno a suo dire posto in essere contro il Dragone, mettendo a dura prova lo sviluppo del Paese. Poiché la diplomazia presuppone la capacità di lamentarsi mentre si calpesta il piede altrui1, è opportuno ripercorrere rapidamente quanto accaduto negli ultimi tempi, in quanto espressione di una storia che sembra aver voluto recuperare in un pericoloso battito d’ali di farfalla tutto quel che è rimasto apparentemente statico durante la mai troppo rimpianta Guerra Fredda.

Che nelle relazioni internazionali nessuno possa mai dirsi innocente è cosa nota; che il realismo conduca a revisioni impensabili, indiscutibile: dopo gli eventi del 1969 il riavvicinamento sino russo, amichevolmente infinito, può entrare di diritto nelle casistiche da laboratorio politico2, così come è del tutto comprensibile la creazione ad uso sociale di sindromi da accerchiamento. Dopo l’affaire del pallone aerostatico, il regime cinese ha dapprima respinto qualsiasi addebito in relazione ad attività spionistiche su suolo americano, salvo poi intensificare, internamente, una persistente narrazione cognitiva anti-americana. Che gli yankee possano non essere universalmente bene accetti rientra nell’ordine delle cose; che si diffondano false informazioni circa un’imminente guerra contro la Cina un po’ meno. Tolkien, sbilanciandosi, direbbe epicamente che non è questo il giorno.

La caccia ai palloni-strega, capaci di far rinviare sine die una visita di Stato americana in Cina, durante la quale si sarebbe parlato oltre che di Ucraina anche e soprattutto di Taiwan, rientra in una tattica che dipinge Washington come un avversario, innescando un risentimento alimentato dalla paura.

Guardiamo al commercio. Che la concorrenza spiri fortissima tra i due Paesi è fuori di dubbio, e la concorrenza stessa trova spunti di approfondimento anche nella trattazione degli standard tecnici internazionali, dove la Cina intende incrementare la partecipazione ai gruppi di lavoro che determinano le regole, e dove gli americani reagiscono in modo scomposto, spinti dal timore che Pechino possa minare il sistema generale.

Il messaggio diffuso è che gli standard tecnici, beni collettivi che oliano gli ingranaggi commerciali e contribuiscono alla diffusione delle informazioni, sono alla base della competizione tecnologica, e che la Cina sta prendendo il controllo internazionale della standardizzazione, manipolando gli standard stessi in quanto elementi della conquista del dominio tecnologico, utile a coprire il protezionismo interno. Se è vero che il governo cinese ha maturato una comprovata esperienza sia nell’inerire nelle attività delle organizzazioni internazionali sia nel riuscire a parteciparvi determinando le decisioni da parte degli organismi preposti, è però altrettanto vero che gli attuali discendenti dei Padri Pellegrini, pur partendo da posizioni di vantaggio, poco hanno saputo fare per contrastare la marea montante, magari o piazzando i propri rappresentanti nelle commissioni ad hoc3 oppure contrastando la BRI, cui troppi Paesi hanno fin troppo facilmente spalancato le porte. Una preoccupazione ancor più sensata vuole che l’acquisizione di influenza contribuisca ad accrescere ulteriormente il potere del Partito, potere che si concretizza in ricavi derivanti da brevetti essenziali per gli standard che divengono così utili strumenti di politica industriale, in previsione dell’auspicata autarchia tecnologica.

A ben vedere di motivi di contesa ce ne sono parecchi e tutti, come già accennato, spingono per recuperare la bolla temporale cristallizzata dal ‘45 all’89. Non a caso il segretario di Stato Blinken ha minacciato Pechino di ritorsioni e sanzioni nel caso in cui avesse deciso di dare supporto all’invasione russa, mentre riemerge la querelle Covid-19, che Pechino ha recisamente respinto, alla luce delle affermazioni del direttore dell'Fbi, Christopher Wray, che ha ritenuto molto probabile l'ipotesi che il virus abbia trovato origine in un laboratorio governativo.

Il commento cinese all’annullamento della programmata visita di stato americana, è consistito nell’evidenziare che la percezione e le opinioni degli Stati Uniti sulla Cina sono seriamente distorte, e che è evidente che gli USA considerano la Cina come il loro principale rivale e la più grande sfida geopolitica4. Non per nulla Qin Gang, ribadendo che Taiwan è affare interno, ha anche rammentato come Taipei rappresenti la prima linea rossa delle relazioni USA-Cina che non deve essere attraversata, cosa che Washington ha puntualmente fatto sia con il sorvolo dello Stretto di Taiwan da parte di un aereo da pattugliamento marittimo Boeing P-8, sia con la visita di Michael Chase, vicesegretario alla Difesa, emulo di Nancy Pelosi. Da ricordare, nel caso, l’identica sostanzialità di quanto affermato dai maggiorenti americani sia sull’avanzamento del programma nucleare iraniano sia sulle mire cinesi su Taiwan: interverremo.

Notevole inoltre, per chi ha un po’ di non rimarchevole età, lo sventolamento della Costituzione cinese da parte del ministro, uno show the book che ha tanto rammentato la mica tanto lontana ostensione collettiva del libretto rosso di Mao5.

Se per Qin gli USA, con il presunto pallone spia, hanno agito con presunzione di colpevolezza, allora non ci si può stupire che, dalla prospettiva cinese, …la politica degli Stati Uniti e della Cina ha completamente deviato dalla pista razionale e solida, come non ci si deve stupire che Qin Gang abbia rimarcato il contenimento da parte americana, in quanto pars construens del concetto espresso da Xi.

Parlando delle difficoltà economiche cinesi, piuttosto che cercar le cause in una poco avveduta politica degli investimenti specie in ambito immobiliare, il presidente ha inteso attribuirle solo ed unicamente alla già richiamata politica di contenimento e soppressione condotta dagli USA e dall’Occidente. Il problema è che quel che accade in Cina si riverbera ovunque, ed è necessario tenere presente che la pandemia ha acuito problemi economici di fondo vecchi di almeno 10 anni, che dipendono dal modello economico adottato. Aumentando la quota di reddito destinata al risparmio si riduce la quota riservata al consumo, limitando l'importo del PIL indirizzato alle famiglie e aumentando il quantum che va alle imprese; i risparmi delle famiglie si indirizzano dunque verso gli investimenti attraverso il circuito bancario.

Se Xi solo ora ha deciso di individuare l’Occidente tout court quale responsabile delle fatali distrazioni pechinesi, sembra evidente che il Partito, per affrontare la situazione interna abbia bisogno dell’ennesima maliarda straniera da mettere al rogo, una maliarda talmente potente da riuscire ad evocare catastrofi apocalittiche. Che i diplomatici debbano poi essere poi adusi alle scalate di levigatissime pareti vetrificate, è stato dimostrato dallo Stesso Qin quando, parlando di Ucraina, si è compiaciuto di qualificare i rapporti sino russi come un modello per il mondo multipolare, un mondo che, più turbolento è, più ha bisogno che le relazioni Mosca-Pechino avanzino.

Era possibile attendersi qualcosa di differente dopo il congresso di ottobre? No, visto che non c’è stata alcuna alternanza nei soggetti a cui è stata demandata la gestione del potere, solo la decisione di quando mollare ovvero, acciacchi e fato permettendo nel 2035, senza tenere in alcuna considerazione la ratio che, proprio nell’alternanza dei vertici, puntava ad evitare un pericoloso accumulo di competenze; un po’ come facevano, al tempo che fu, quei ragazzacci della città quadrata (ding! Trovatela!) con la figura del doppio console.

L’ascesa di Xi ha condotto ad una nuova prospettiva dell’ordine internazionale, diversa da quella liberal-occidentale, un ordine in cui sovranità e non interferenza prevalgono sulle soggettività, un qualcosa che, di primo acchito, è del tutto poco assimilabile da parte di un occidentale 2.0, anche perché concettualmente molto lontano, nelle sue accezioni post coloniali e confuciane, da un rigido universo normativo dove la supina accettazione dell’autorità è tutto.

Cosa attendersi sul lungo periodo? Posto che un impero, come un diamante, è per sempre, un rafforzamento del concetto egemonico in veste marxista, secondo i paradigmi attagliabili a quelli individuati per UK, Francia, Turchia, Russia da Lorenzo Vita nel suo ultimo libro, Imperi Infiniti, è perfettamente comprensibile; il tutto accompagnato da una necessaria modernizzazione, dallo sviluppo, dagli aspetti securitari, da una contenuta e contegnosa prosperità.

Cigni neri6 e rinoceronti grigi? No, grazie: niente imprevisti, siamo cinesi.

Dal 1949 a oggi si sono succedute cinque generazioni di dirigenti di partito, ciascuna rappresentata da un leader: Nello Statuto del Pcc è presente una breve formulazione che costituisce la quintessenza del distillato di pensiero di ogni generazione. Nel caso di Mao e Deng è indicato anche il nome del leader; dal 2017, con il ritorno alla personalizzazione del potere, è stata inaugurata l’adozione di una formula che comprendesse il nome di Xi con lo stesso grado utilizzato per Mao, ovvero: il Pensiero di Xi del Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era.

Non poteva mancare la celeste puntata sulla guerra in Ucraina, con la presentazione di un paper che sa più di documento politico che di piano di pace, povero di dettagli e ricco di ambiguità anodine.

I 12 punti del piano pechinese, nell’invitare a dialogo e rispetto della sovranità senza espandere i blocchi militari (segnatamente la Nato), non suggerisce quale potrebbe essere il ruolo cinese nel facilitare i negoziati di pace. Peraltro il documento è arrivato dopo uno degli ultimi viaggi in Russia di Wang Yi, predecessore di Qin, a seguito della notizia di un possibile patto tra i due paesi atto a permettere l’approvvigionamento russo di droni kamikaze7.

Tra le parti più interessanti si trova l’ottavo punto, in cui Pechino prende posizione contro sviluppo e uso di armi chimiche e biologiche e contro la minaccia atomica, in contrasto con la decisione unilaterale russa di denunciare il Trattato Start. La Cina ammette poi il suo interesse economico nella ricostruzione, e punta a frenare le sanzioni, un abuso di marca occidentale.

Il piano non dà tuttavia alcun dettaglio, non svela alcuna intenzione o base negoziale, non dà segni di voler recedere dal mancato riconoscimento dell’annessione della Crimea, ma utilizza la retorica russa circa l’espansione dei blocchi militari, appoggiando l’idea di un regime change ucraino con un contestuale allontanamento dall’Unione europea.

Il rapporto tra Cina e Russia secondo Qin si fonda dunque sui principi di non alleanza, non confronto e non presa di mira di terze parti, una politica grazie alla quale si potrà giungere (occhio al volo di rondini) a multipolarismo e democrazia nelle relazioni internazionali, ovviamente al netto dello spiacevole incidente di percorso di Piazza Tienanmen, ma è una considerazione off the record.

Con gli USA, invece, le relazioni sono un gioco a somma zero poco tranquillizzante in cui tu muori e io vivo. In questi ambiti, la Cina ha licenziato il documento concettuale dell’Iniziativa per la sicurezza globale, un elaborato di idee e principi che chiarisce il funzionamento della cooperazione sottolineando la determinazione cinese nella salvaguardia della pace mondiale; un documento che sostiene una struttura di governance securitaria incentrata sulle NU tuttavia inibite dall’intervenire su questioni interne ancorché in contrasto con i principi del diritto internazionale. Del resto mica si può avere tutto, no?

Quanto è importante Qin Gang? Molto, visto che ha sostituito il fedelissimo Wang Yi, a capo della diplomazia cinese da 10 anni, prima di assumere l’incarico di direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del Pcc. Visto il passato di Qin quale ambasciatore negli USA, qualcuno ha auspicato che la sua nomina avrebbe portato a cambiamenti politici, dimenticando sia come il nuovo ministro non abbia mai risparmiato critiche a Washington, malgrado i tweet al miele post nomina, sia i suoi trascorsi paradossalmente poco diplomatici quale portavoce del ministero degli esteri (2005-2014). L’ascesa di un collaboratore fidato e spigoloso dovrebbe dare indicazioni circa l’evoluzione assertiva della politica estera di Pechino.

In gergo, Qin è un wolf warrior8, un diplomatico meritevole di riconoscimenti, utile alla narrazione strategica del Partito ed al ringiovanimento di un dicastero di suo delicatissimo e complesso specie ora che dovrà difendere un paese coinvolto in una discutibile gestione post zero Covid. Vista la sua retorica pungente e diretta non è possibile dare previsioni circa la riuscita di Qin quale grande mediatore; il fatto però di essere stato portavoce del ministero gli dà la conoscenza del valore e dei tempi strategici delle narrazioni, cosa che induce a ritenere che il livello di infowar cinese aumenterà9, mantenendo difficilmente una posizione moderata e dialogante.

Le dichiarazioni finora rilasciate, al netto dei luoghi comuni, non impediscono l’emersione della formazione di partito di Qin, che ripropone la versione cinese sulla necessità di evitare di fondare la propria sicurezza sulle altrui insicurezze, un calembour con cui asserire che il conflitto ucraino è colpa della Nato.

Dal punto di vista occidentale è dunque necessario rammentare che, nei propri ovili, c’è il rischio di far entrare un lupo camuffato da agnello, non di un formulatore, ma di un implementatore della politica di Xi10.

Quanto sta combattendo consapevolmente in conto terzi la Russia? Solo a guardare la necessità di equipaggiamenti ed armi tanto, anche perché la guerra, arrestando la drang nach osten della Nato, difende anche gli interessi cinesi. Peccato che la scossa ucraina abbia svegliato un’Alleanza altrimenti intorpidita; va inoltre ricordato come il patto stretto con Mosca è povero di ricavi per Pechino, specialmente per quanto riguarda i rapporti economici intrattenuti dal Dragone con l’Occidente. Questo potrebbe spiegare perché il Cremlino si stia accontentando del solo appoggio politico cinese, e della garanzia che Pechino non agirà asimmetricamente con la sua economia per rallentare lo sforzo bellico russo. Per quanto riguarda le dichiarazioni nucleari russe, la Cina non ha potuto che prendere le distanze, al fine di non ritrovarsi nel novero dei reietti.

Se la Russia ha bisogno di conquistare l’Ucraina per confermare una potenza che sarà comunque significativamente fiaccata, la Cina deve puntare a stabilità e de-escalation soprattutto in chiave commerciale. Nel mantenere una neutralità pro russa, Pechino si è astenuta dall’imporre sanzioni, mantenendo la linea dell’uscente Wang Yi che ha attribuito la responsabilità del conflitto alla mentalità da guerra fredda. Il consenso cinese è tuttavia tiepido, visto che il conflitto ha messo in evidenza le limitazioni tra Cina e Russia.

Denunciare la guerra dopo le dichiarazioni di amicizia illimitata, per la Cina avrebbe assunto il significato di un gravissimo errore di valutazione; di fatto, ora, è l’inaspettato protrarsi del conflitto che potrebbe avvincere Pechino a Mosca, grazie anche ai parallelismi con Taiwan. In sintesi, Cina e Russia si stanno confermando come partner di conseguenza, legati dalla necessità di rivendicare uno status globale e dall’intolleranza verso un Occidente che ostacola le loro ambizioni11.

La Cina intende mantenere il vicino ed ex rivale russo equipaggiato con armi nucleari dal suo lato, mentre guarda avanti alla lunga competizione con gli USA. Al momento la vicinanza sino-russa si è dimostrata molto più pericolosa nella sua concezione che nel suo funzionamento. La conseguenza più dannosa dell'aggressione della Russia per la Cina è l'accresciuta consapevolezza globale e il senso di urgenza su Taiwan. Il comportamento di Pechino dimostra che ci sono comunque dei limiti alla partnership con Mosca, visto che la Cina ha molto più da perdere della Russia per effetto di instabilità globale ed isolamento economico.

In conclusione, la questione delle sanzioni resta al centro dell’attenzione sino-americana, con Pechino che da un lato ribadisce il suo diritto di critica, ma dall’altro non può non temere di compromettere relazioni commerciali ed accesso alle tecnologie occidentali.

Nuove sanzioni determinerebbero un danno incalcolabile alla leadership di Xi che, mai come ora, e malgrado i falchi, deve scegliere con attenzione i propri alleati anche perché mentre Pechino parla con Minsk, Washington atterra in Asia centrale negli Stan. Del resto, anche secondo Kissinger, uno che di Cina ne ha sempre saputo molto, la diplomazia è l'arte di limitare il potere. 

1 Henri Tisot

2 Dopo la morte di Stalin (1953) e dopo l'avvio del processo di kruscioviano di destalinizzazione, con il principio di coesistenza pacifica e con le critiche mosse al grande balzo in avanti, le relazioni sino russe si deteriorarono al puanto da giungere ad accuse di revisionismo, socialimperialismo, nazionalismo ed antimarxismo.

3 Negli ultimi 15 anni le controparti cinesi del settore privato e pubblico hanno partecipato ed assunto ruoli dirigenziali negli organismi internazionali. Nell'ISO la Cina ha esteso il numero di comitati e sottocomitati a cui partecipa, piazzandosi al terzo posto nella partecipazione totale dei comitati, dietro UK e Germania.

4 CNN

5 Qin ha collegato Taipei e Kiev: Perché fare grandi discorsi sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, se non si vuole rispettare la sovranità territoriale della Cina nella questione taiwanese?

6 Eventi imprevedibili e pericoli noti ma in stato di quiete

7 Der Spiegel

8 Qin si è guadagnato la qualifica di wolf warrior grazie all’aggressività ed alla veemenza con cui rispondono alle posizione occidentali, approfittando di una presenza social vietata ai cittadini cinesi. Qin ha insistito che i diplomatici cinesi non sono wolf warrior, ma stanno semplicemente danzando con i lupi, spinti sulla difensiva dagli attacchi occidentali. Se di fronte a sciacalli e lupi, la Cina non ha altra scelta che affrontarli a testa alta, ha avvisato.

9 Nel 2020 Qin ha ripetutamente asserito che l’immagine cinese in Occidente si è deteriorata perché i media non hanno mai accettato il sistema politico o l’ascesa economica di Pechino, dimenticando che il deterioramento era dovuto alle responsabilità ed alla poca trasparenza cinesi sulla pandemia, tenuta inizialmente occultata.

10 Bonnie Glaser, esperta di Cina del German Marshall Fund of the United States per Reuters

11 Elizabeth Wishnick professoressa di Scienze Politiche alla Montclair State University, dove è anche coordinatrice dell'Asian Studies Undergraduate Minor.

Foto:Xinhua