L’India del secondo Governo Modi: la Sicurezza Nazionale tra le principali sfide

(di Gloria Piedinovi)
02/08/19

La complessità dell’India, paese dai mille volti e dalle mille sfaccettature, si riflette non solo nell’intrico di culture, filosofie, spiritualità e realtà sociali eterogenee, ma anche nelle molteplici sfide che l’apparato securitario statale deve affrontare per mantenere l’integrità territoriale e garantire un livello accettabile di sicurezza per i propri cittadini.

Il tema della sicurezza nazionale è stato uno dei pilastri sui quali il neo-rieletto premier Narendra Modi ha impostato la sua campagna elettorale, declinandolo sia come insieme di azioni di difesa e contrasto dei fenomeni che creano disordini all’interno del Paese, sia come difesa e fronteggiamento delle minacce provenienti dal di fuori dei propri confini.

In questa sede, l’intento è proprio quello di analizzare quali sono, allo stato attuale, gli elementi e le situazioni che l’India percepisce come minacce alla propria sicurezza, volgendo poi lo sguardo alla tipologia di azioni ed attività di cui il governo indiano ha investito le Forze Armate nel loro ruolo di garanti dell’integrità territoriale e di difesa della nazione e dei cittadini. La prospettiva da cui muove quest’analisi partirà dalla definizione della minaccia e, conseguentemente, arriverà ad esplicitare che cosa il governo indiano ha fatto finora, e che cosa si propone di fare, per fronteggiarla.

Con riferimento alle sfide che l’India deve affrontare in ambito securitario, per tentare di semplificare e rendere il più chiaro possibile un quadro estremamente complesso, si è scelto di suddividere le criticità in quattro macro categorie: le problematiche intrinseche che creano tensioni in alcune aree interne; la decennale irrisolta diatriba con il vicino Pakistan e la questione del Kashmir; i contrasti con la Repubblica Popolare Cinese per il controllo sui territori contesi; le minacce provenienti dal mare e la necessità di preservare la sicurezza della navigazione nell’Oceano Indiano.

La prima categoria di minaccia alla sicurezza interna dal fatto che in alcuni Stati indiani operano gruppi armati che agiscono sulla base sia dell’appartenenza ad una determinata realtà etnica e tribale, sia ad uno specifico credo politico che rifiuta l’autorità del governo e delle istituzioni statali.

In questo senso, la minaccia più consistente e diffusa è costituita dai Naxaliti, gruppo ribelle di stampo maoista nato alla fine degli anni Sessanta per opera degli esponenti più radicali del Partico Comunista Indiano marxista-leninista. Il gruppo, dichiarato organizzazione terroristica dal governo di New Delhi, fino al 2015 era radicato in vaste aree dell’India centrale e orientale, tra cui gli Stati di Bihar, Bengala, Madhya Pradesh, Jharkhands, Chhattisgarh, Odisha, Maharashtra, Andhra Pradesh e Telangana. Per sradicare la minaccia Naxalita nel 2015 è stato emanato il “National Policy and Action Plan”, al fine di incrementare l’efficienza della rete di intelligence, nonché la cooperazione tra l’Esercito Indiano e le Autorità civili degli Stati colpiti. Un ruolo di primo piano è stato svolto anche dai volontari del Territorial Army (TA), la “seconda linea” di difesa indiana composta dai cittadini che hanno ruoli professionali affermati nella vita civile, e che in caso di emergenze prestano servizio come forza di complemento dell’Esercito regolare. La sinergia d’azione tra le agenzie di intelligence, l’Esercito e il TA ha permesso di ridurre considerevolmente le aree controllate dai ribelli, che al momento rimangono radicati in Bihar, Jharkhands, Chhattisgarh e Odisha. Il secondo governo Modi sta puntando sul proseguire il potenziamento di tale cooperazione, nell’ottica di continuare il processo di eradicazione della minaccia Naxalita nel Paese.

Sul miglioramento della rete di intelligence si è puntato molto anche per rispondere al problema degli “illegal infiltrators”, altra piaga dell’India. La parola “piaga” non è usata a sproposito, poiché questo fenomeno non consiste semplicemente nell’ingresso in territorio indiano di immigrati che sfuggono ai controlli di frontiera, bensì di esponenti di gruppi estremisti che penetrano sia dall’ovest (Pakistan), sia dal nord e dall’est (Cina). Gli illegal infiltrators favoriscono la nascita di cellule da cui possono partire (come è già successo) attentati terroristici non solo negli Stati di confine, ma anche più in profondità nel territorio indiano. Oltre al potenziamento del ruolo delle agenzie di intelligence, la novità in questo caso è costituita dalla dichiarazione di Modi di voler predisporre la creazione di un Registro Nazionale dei Cittadini tramite cui monitorare il flusso di persone che entrano ed escono dal territorio indiano nelle aree di confine più vulnerabili.

Un’altra minaccia proviene dalla decennale diatriba con il Pakistan per il controllo del Kashmir, regione suddivisa in due aree rientranti una sotto giurisdizione indiana, l’altra sotto giurisdizione pakistana, e separate dalla Line of Control (LOC). La situazione non si è mai stabilizzata, poiché entrambi i Paesi avanzano la richiesta di annettere l’intero territorio al proprio Stato. Accanto alle perenni tensioni tra Forze Armate lungo la LOC, nel Kashmir sono proliferati una serie di gruppi terroristi jihadisti, la cui attività inasprisce lo scontro tra New Delhi e Islamabad: l’India, infatti, accusa il Pakistan di offrire supporto ai terroristi; il Pakistan, dal canto suo, nega l’accusa e ribatte che l’India sta violando il diritto di autodeterminazione della popolazione kashmira, a maggioranza musulmana e dunque, secondo il governo pakistano, rientrante di diritto nel proprio Stato. Insomma, la congiuntura tra scontri tra le Forze Armate regolari dei due Paesi e azione dei gruppi jihadisti fa del Kashmir una polveriera pronta ad esplodere.

Sulla questione, il governo di Modi ha sempre autorizzato immediatamente ogni azione di risposta militare agli attacchi provenienti dalle Forze pakistane. Inoltre, da circa due anni l’apparato di sicurezza indiano sta sviluppando un sistema di prevenzione e risposta alla minaccia pakistana che, dall’attivarsi al bisogno (ossia in funzione reattiva quando si prevede o si verifica un attacco), vada verso una maggiore sistematicità e prontezza. Si tratta della creazione degli Integrated Battle Group (IBG), ossia unità multiruolo strutturate secondo l’integrazione di elementi di fanteria, artiglieria, forze speciali, aviazione, genieri e trasmissioni. Oltre a rispondere alle esigenze di razionalizzazione generale delle dimensioni dell’Esercito indiano, gli IBG sono stati pensati come unità destinate ad essere dislocate non nell’intero Paese, bensì in quelle aree nelle quali vi sono maggiori criticità come, per l’appunto, lungo la LOC. Gli IBG, ancora in fase di addestramento e sperimentazione, sono stati impiegati per la prima volta in operazione nel febbraio scorso, durante i raid aerei tra Forze Armate e pakistane nei pressi della città di Balakot, proprio nel Kashmir.

Anche con la vicina Repubblica Popolare Cinese i rapporti sono piuttosto tesi. Infatti, Cina e India si contendono il controllo su alcune zone di confine, in particolare lungo la Line of Actual Control (LAC), che rappresenta il confine effettivo tra i due Paesi lungo il versante est della catena dell’Himalaya. Nell’ultimo anno, l’acuirsi delle tensioni ha portato l’India a predisporre una progressiva e massiccia militarizzazione delle frontiere, fortificando i presidi già esistenti, costruendo nuove infrastrutture militari e dislocando un maggior numero di soldati lungo la LAC. Come per il Kashmir, nelle intenzioni del governo indiano vi è quella di procedere all’impiego degli IBG anche per fronteggiare le dispute transfrontaliere con la Cina.

Oltre ad assumere una salda posizione difensiva sulla terra, nell’ultimo anno è stato richiesto alla Marina Militare e all’Aeronautica di dedicarsi con particolare vigore al programma di potenziamento e ammodernamento dei propri mezzi e sistemi. È interessante osservare che uno dei motivi di tanta urgenza risiede nella prospettiva, da parte indiana, di impiegare la Marina Militare nel pattugliamento e controllo dei traffici commerciali ed energetici cinesi che passano dall’Oceano Indiano. Stando alle dichiarazioni ufficiali del governo indiano, l’intenzione non sarebbe certo quella di ostacolare o minacciare le tratte percorse dalle navi che rientrano nei flussi commerciali cinesi. Ovviamente una dichiarata azione in questo senso porterebbe lo scontro su un livello di tensione ancora maggiore. Tuttavia, è innegabile che dietro l’impiego della Marina Militare a scopo (ufficialmente) di pattugliamento e mantenimento in sicurezza dell’Oceano Indiano, si sia voluto ribadire ancora una volta la ferma intenzione del governo indiano di mostrarsi intransigente e pronto a rispondere su larga scala ad un’eventuale sfida militare cinese. È opportuno però precisare che l’efficacia di tale risposta resta, allo stato attuale, subordinata all’effettiva capacità del comparto industriale e cantieristico della Difesa indiana di tenere il passo con le esigenze operative e di ammodernamento delle Forze Armate, ambito nel quale l’industria indiana sembra ancora faticare.

Infine, un’enorme importanza riveste per l'India l’Oceano Indiano, il cui valore strategico risiede nel fatto che oltre il 95% del commercio è trasportato via mare. Per un'economia in rapida crescita alla ricerca di nuovi mercati in tutto il mondo, è vitale il mantenimento di un ambiente marittimo sicuro che consenta il libero esercizio delle attività economiche. Di conseguenza, affrontare ed eliminare le criticità che possono compromettere la sicurezza di queste acque è un imperativo per la sicurezza nazionale indiana.

Anche in questo caso, la situazione è complessa: la Marina Militare indiana, è impegnata non solo nel pattugliamento delle acque territoriali (unitamente alla Guardia Costiera, ad unità dell’Aeronautica e alle agenzie di intelligence), ma deve anche provvedere al contrasto della pirateria in zone più lontane ed altrettanto importanti per i traffici commerciali ed energetici dell’India. Nel Golfo di Aden, ad esempio, è dispiegato permanentemente un pattugliatore d’altura in assetto da combattimento, che svolge operazioni anti-pirateria per permettere il passaggio sicuro alle navi mercantili. Allo stesso modo, la Marina indiana si spinge a pattugliare anche le acque al largo della Somalia, nelle quali lo stato di anarchia del Paese e di debolezza del governo si riflette nella totale incapacità di contrastare autonomamente il fenomeno della pirateria, originando una serie di criticità che potrebbero potenzialmente danneggiare il commercio indiano.

A partire dal 2018, la Marina ha avviato un programma di ammodernamento della propria flotta, al fine di poter adempiere in maniera sempre più efficace all’ampio spettro delle operazioni nelle quali è coinvolta. Anche in questo caso, è probabile che a fare la differenza sarà la capacità o meno del comparto industriale indiano di tenere il passo con le esigenze di sviluppo e produzione della Forza Armata.

Fonti:

http://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=128#slider-3

https://www.geopolitica.info/tag/india/

https://mod.gov.in/

https://thediplomat.com/2019/01/indias-land-warfare-doctrine-2018-hoping-for-the-best-preparing-for-the-worst/

https://economictimes.indiatimes.com/news/defence/joint-operational-doctrine-for-army-navy-air-force-unveiled/articleshow/58365762.cms

https://www.trackingterrorism.org/region/india

https://www.analisidifesa.it/?s=INDIA

http://pib.nic.in/PressReleseDetail.aspx?PRID=1575025

Foto: Indian Army / Indian Navy / Indian Air Force / web / Twitter