Libia: Tripoli e Tobruk si "accordano" (per il momento...)

(di Paolo Lolli)
05/12/24

La crisi di agosto-settembre1 - culminata nel licenziamento dell’ex governatore della Banca Centrale Al-Kabir e la chiusura dei principali giacimenti petroliferi – ha coinvolto le principali istituzioni finanziarie del Paese (la Banca Centrale Libica e la National Oil Corporation). Poiché sono queste ultime le uniche istituzioni (a)politiche che svolgono un ruolo di ponte tra l’Ovest e l’Est, l’integrità degli accordi di Ginevra del 2020 sul cessate-il-fuoco e quelli successivi del 2022 in merito alla ripartizione delle entrate petrolifere ha rischiato di venire meno.

Lo stallo è stato risolto solamente grazie alla mediazione dell’UNSMIL2, la Missione delle Nazioni Unite per la Libia.

Dal 2 ottobre la Libia ha un nuovo governatore della Banca Centrale, Naji Mohamed Issa Belqasem mentre i giacimenti petroliferi di Sharara, El Feel ed Es-Sider sono tornati a marciare a pieno regime3 e l’estrazione giornaliera di “oro nero” ha raggiunto livelli che non si registravano da dieci anni4 tanto che adesso i piani di sviluppo si prefiggono addirittura di arrivare a produrre due milioni di barili al giorno5.

Sebbene tutto questo possa rappresentare un’ottima notizia, specialmente per l’Italia che da una stabilizzazione dell’ex Quarta Sponda può trarre solo benefici, sarebbe quantomai ingenuo scambiare una pausa tattica per un processo di avvicinamento pacifico tra le parti. Secondo il dipartimento di Stato statunitense6, il 97% delle entrate governative libiche deriva dall’esportazione di idrocarburi. Facile, quindi, intuire come la congiuntura delineatasi all’indomani dello scoppio della crisi della Banca Centrale, con ovvie ricadute sulla National Oil Corporation, non fosse sostenibile per troppo tempo.

Qualcosa, però, sta cambiando. I rapporti di forza fra Tripoli e Tobruk stanno inesorabilmente propendendo sempre più verso Est.

Il recente accordo sulla Banca Centrale non risolve il problema ma serve a puntellare il sempre più fragile Governo di Unità Nazionale del primo ministro Dbeibah (nella foto, a sx). Viceversa, gli Haftar – nello specifico Saddam, il delfino del Generale - dopo aver assunto il controllo della vita politica, economica e anche sociale della Libia Orientale, espandono la propria influenza nel resto del Paese.

È risaputo come gli attori della Cirenaica, attraverso attività illecite quali il contrabbando di carburante verso i Paesi limitrofi (Ciad, Sudan e Repubblica Centrafricana su tutti), armi7, contraffazione di dinari libici e speculazioni sui differenziali tra i tassi di cambio ufficiali con il dollaro e il mercato nero, siano riusciti ad accumulare una liquidità importante8. Questa posizione di forza si traduce in una maggiore resilienza di fronte ai sempre più frequenti contraccolpi economici. Sul lungo periodo, la disparità economica fra i rivali in un contesto come quello libico può essere un fattore decisivo e spostare, definitivamente, l’ago della bilancia verso Est.

Il 16 novembre si sono svolte le elezioni municipali per eleggere 426 membri in 58 comuni sparsi per tutto il Paese. Elezioni che, da una parte hanno incontrato gli elogi di Stephanie Koury, capo della Missione delle Nazioni Unite per la Libia, in quanto “la vasta partecipazione del popolo segnala il potenziale per una transizione pacifica del potere”9, dall’altra, non sono mancate denunce di gravi episodi di irregolarità, come violenze in alcuni seggi e discrepanze nel conteggio delle schede10. Il ritardo nella pubblicazione dei risultati ha poi scatenato le polemiche di Saif al-Islam11 Gheddafi, il quale, rivendicando una propria vittoria “schiacciante”12 ha accusato gli esponenti della Commissione Elettorale Nazionale (Hnec) di alterare i risultati. L’inserimento del secondogenito del Colonnello nella diatriba tra Ovest ed Est rappresenta un ulteriore fattore di destabilizzazione. Difficile stabilire di quanto supporto quest’ultimo, effettivamente, goda. Al tempo stesso, la possibilità che riesca ad incanalare le istanze degli ex verdi, come il padre, e porsi come pedina fondamentale nello scacchiere libico è elevata.

L’approccio della Turchia alla nuova crisi libica è emblematico dei cambiamenti in corso. Ankara, nonostante basi la sua presenza in Libia in Tripolitania13, ha cominciato a stabilire contatti sempre più formali anche con la controparte in Cirenaica. L’esigenza di garantirsi una sfera di influenza a fronte delle ingenti risorse fin qui utilizzate, consiglia agli apparati anatolici un riposizionamento tattico. Tripoli non verrà abbandonata, ma se le varie milizie, attualmente al fianco del fragile Governo di Unità Nazionale, venissero comprate dagli Haftar, ciò potrebbe provocare un ridimensionamento della proiezione di Ankara in Nordafrica? Questo il dilemma che spinge la Turchia a diversificare il proprio approccio in Libia.

Diversificazione che si è manifestata il 22 ottobre a Istanbul presso il Saha Expo – conferenza dedicata all’industria della difesa, della sicurezza e della tecnologia che riunisce principalmente aziende produttrici e rappresentanti di governi – dove erano presenti sia Saddam Haftar (foto), figlio del Generale e capo di stato maggiore delle forze di terra del LNA (Libyan National Army) sia Imed Trabelsi, ministro dell’Interno del governo di Tripoli14. Nei primi di novembre, addirittura, per la prima volta a Bengasi una delegazione di militari turchi è stata ricevuta presso il quartier generale delle forze del Generale Haftar per discutere di “cooperazione tra le parti”15. Contemporaneamente in un incontro tra Begec, l’ambasciatore turco in Libia, e Boujwari, capo del consiglio municipale di Bengasi, il primo comunicava oltre all’intenzione anatolica di aprire un consolato nella città che affaccia sul Golfo della Sirte la disponibilità ad approfondire i reciproci legami.

La necessità degli Haftar di bilanciare la presenza russa spinge Tobruk ad aprire gradualmente ad Ankara, quest’ultima, viceversa, si rivela un attore sempre più indispensabile nel complicato quadrante libico e si assicura un’influenza futura nelle dinamiche locali.

L’Italia, in tutto questo, quale ruolo ha giocato in merito alla recente crisi? Rispondere a questa domanda permette di scorgere il paradosso che condanna la Penisola circa la questione chiamata Libia. Al nostro strapotere economico16, Roma è il primo mercato di destinazione dell’export libico e terzo per quanto riguarda le importazioni, non corrisponde (più) un pari ruolo politico.

Dal 2019, anno in cui la Turchia è arrivata in soccorso di Tripoli, l’Italia non è più il punto di riferimento del Governo di Unità Nazionale.

La Libia ha valenza strategica per noi; un suo controllo, diretto o indiretto, permetterebbe a Roma di acquisire profondità difensiva, garantirsi parte dell’approvvigionamento energetico di cui necessita, di controllare i flussi migratori.

Il radicamento di una potenza ostile, leggi Federazione Russa, in questo quadrante, minaccerebbe quanto appena descritto. Ankara, nonostante faccia parte dell’Alleanza Atlantica, gioca una partita tutta sua. Il recente riallineamento turco alla causa libica dovrebbe, quantomeno, rappresentare un campanello d’allarme.

Allo stato d’arte la Penisola continua a esercitare un peso importante per le casse del governo di Dbeibah. È nella necessità di quest’ultimo ad aumentare le proprie entrate che va letta la recente concessione data ad Eni per tornare a riprendere le attività di esplorazione presso il bacino di Gadames17.

Il 29 ottobre, a Tripoli, si è svolto il 30° Forum delle imprese italo-libiche. Durante l’evento sono stati stretti accordi in importanti settori quali, energia, infrastrutture, salute e agricoltura che, approfondendo ulteriormente l’interscambio commerciale e gli investimenti, confermano l’importanza di Roma agli occhi della Tripolitania18. Lo stesso, però, non si può dire per la Cirenaica, l’approccio della Penisola nei confronti degli Haftar è ancora troppo timido. Non basta (più) proporsi di ricostruire Derna o raggiungere intese per ridurre il fenomeno migratorio19; non può essere (solo) questo il nostro approccio a una parte della Libia sempre più influente. Ankara lo ha capito e sta gradualmente cambiando postura. Il cavallo vincente (forse) non è l’Ovest.

11 Saif al-Islam Gheddafi è una persona molto influente. Ufficialmente non ha mai ricoperto una carica governativa, tuttavia, de facto era parte della cerchia ristretta del regime del padre ed era incaricato di tessere i rapporti fra Tripoli e le varie cancellerie occidentali. Nonostante il Colonnello e il figlio prediletto avessero visioni differenti in merito alla Jamahiriya, entrambi condividevano la necessaria difesa della “Repubblica delle masse”, pena la disintegrazione del Paese. Fra i due vi era una differenza nella forma, non nella sostanza della traiettoria da imprimere alla collettività. Per molto tempo Saif è stato considerato, dai vari governi occidentali e da una fetta della popolazione libica quale naturale successore “riformista” del rais. Con l’emergere delle tensioni e degli scontri, nel febbraio del 201, e il successivo intervento della Nato la sua fama di volto nuovo venne progressivamente meno consequenzialmente al suo atteggiamento sempre più oltranzista nei confronti dei ribelli e dei loro sostenitori. Nel novembre dello stesso anno venne catturato dalle milizie di Zintan ad Awbari mentre tentava di fuggire in Niger. Tenuto prigioniero fino al 2017 e poi liberato, non venne consegnato né alla Corte Penale Internazionale – che dal 2011 ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti con l’accusa di crimini contro l’umanità per il ruolo svolto nella repressione delle proteste e ne chiede, invano, l’estradizione - né, tantomeno, al governo di Tripoli in quel momento controllato dagli islamisti. La decisione della milizia di Zintan di tenere in custodia Saif germina dalla sua rilevanza politica e simbolica nel contesto libico. Sia perché potenziale pedina di scambio e garanzia di sopravvivenza della milizia stessa, inoltre la progressiva degenerazione della crisi in Libia ha suggerito a molti di quelli che inizialmente erano ribelli e hanno combattuto per spodestare il Colonnello a vedere in Saif l’unica possibilità per una riconciliazione del Paese. La frammentazione di quello che aveva le sembianze di uno Stato in mera espressione geografica, la proliferazione dell’Isis, la migrazione di massa e la guerra civile hanno progressivamente disilluso le varie etnie che compongono il puzzle libico della bontà degli attori politici attualmente in competizione a favore degli ex verdi. A fine 2021 erano previste le elezioni presidenziali, poi rinviate e tuttora non celebrate, nelle quali Saif aveva presentato la propria candidatura comunque respinta dalla Commissione Elettorale Nazionale. Sia in Tripolitania che in Cirenaica vedono al figlio del Colonnello come una minaccia capace di intestarsi le istanze di una popolazione stremata da quasi 14 anni di caos. Pure i vari attori esterni presenti in Libia, i protagonisti sulla scena, per il momento non vedono di buon occhio Saif. Le sue esigue apparizioni in pubblico derivano proprio dal rischio che i nemici approfittino dell’occasione. Allo stesso tempo, solamente per il fatto che è ancora vivo e in Libia rileva la sua influenza agli occhi di parte della popolazione libica.

19 Italia-Libia: Giorgia Meloni a Bengasi per incontrare il generale Haftar | TGLA7

Foto: Cremlino / presidenza del consiglio dei ministri / X