Leone XIV: la scelta nordamericana della Chiesa tra guerra ed equilibri strategici

12/05/25

L'elezione a papa del cardinale Robert Francis Prevost ha sorpreso molti osservatori internazionali, ma non è una scelta neutra. Primo pontefice nordamericano della storia, Leone XIV combina una vocazione missionaria radicata nell’America Latina con una visione globale, rappresentando l’innesto di una figura nuova in una fase storica segnata da profonde fratture internazionali. La sua elezione avviene in un momento di forti tensioni globali: dalla guerra in Ucraina al conflitto a Gaza, dalle tensioni indo-pakistane alla recrudescenza delle politiche economiche protezionistiche degli Stati Uniti. La Chiesa cattolica, attraverso questa scelta, sembra voler ricalibrare la propria postura nel mondo, non tanto rompendo con la tradizione, quanto optando per l’assunzione di un profilo più planetario, consapevole delle sfide strategiche del nostro tempo.

Nel suo primo messaggio, Leone XIV ha aperto il suo pontificato con parole semplici ma dense: “La pace sia con tutti voi”. Una formula liturgica, certo, ma anche un segnale preciso: la pace è oggi il nodo più urgente, eppure il più sfuggente. Il Vaticano non possiede divisioni corazzate, ma rimane uno dei pochi attori globali capaci di esercitare una diplomazia trasversale, fondata su simboli, coscienze e un linguaggio universale (Ferrari, 2008).

In questo contesto, l’elezione del nuovo pontefice offre una chiave di lettura strategica: quale ruolo può avere nella gestione delle crisi internazionali? E quali implicazioni potrebbe avere per Paesi come l’Italia, legati alla Santa Sede da una vicinanza fisica, storica e simbolica, e che oggi giocano un ruolo, diretto o indiretto, in dossier cruciali su cui questa Chiesa globale potrebbe esercitare un’influenza significativa?

Nato a Chicago e formatosi come missionario in America Latina, Leone XIV incarna una traiettoria personale e spirituale che intreccia l’Occidente atlantico con la Chiesa delle periferie. Non è un teologo accademico né un diplomatico di Curia, ma si configura come un ponte: tra Nord e Sud del mondo, tra la dimensione istituzionale della Chiesa e la sua vocazione missionaria. Già prefetto del dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, ha sviluppato un’esperienza diretta nei territori instabili, operando tra comunità segnate da povertà, tensioni sociali e sfide alla convivenza religiosa. Non è estraneo, dunque, ai linguaggi della crisi, né ai contesti in cui il Vangelo si traduce in sopravvivenza, mediazione e riconciliazione.

La scelta del nome Leone riveste un significato strategico in questo contesto. Da un lato, richiama Leone I, il papa che si oppose ad Attila e preservò l’unità spirituale di Roma in un’epoca di frammentazione imperiale. Dall’altro, Leone XIII, che nel cuore della modernità industriale aprì la Chiesa al dialogo sociale ed alla dottrina della giustizia sociale con l’enciclica Rerum Novarum, considerata una pietra miliare nella difesa dei diritti dei lavoratori e della giustizia economica. Non è da escludere che Leone XIV voglia inserirsi nella tradizione di quei pontefici capaci di affrontare il disordine globale con equilibrio ed autorevolezza, senza isolarsi né cedere alla logica dei blocchi, ma favorendo una sintesi tra istanze ecclesiali e dinamiche geopolitiche, fondata su valori di dialogo e condivisione.

Il Papa ha inaugurato il pontificato con parole sobrie ma inequivocabili: “La pace sia con tutti voi”, un’espressione che traccia chiaramente la sua traiettoria. Non solo un augurio liturgico, ma una dichiarazione d’intenti. Il suo pontificato si preannuncia volto a superare le contrapposizioni identitarie, favorendo il dialogo su scala globale e rafforzando il ruolo del Vaticano come spazio terzo – né neutrale né complice – nei conflitti che appaiono oggi privi di soluzione.

L’elezione di un pontefice nordamericano avviene in una fase di forti tensioni internazionali, in cui l’ordine globale è segnato da conflitti aperti e fratture sempre più profonde. In Ucraina, la guerra d’attrito con la Russia è giunta ad una fase di logoramento strategico, dove la diplomazia tradizionale appare impotente ed i tentativi di mediazione religiosa – come quelli promossi da Francesco – non hanno ancora prodotto risultati tangibili (Ramsbotham, 2005). A Gaza, l’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hamas sta alimentando una radicalizzazione senza precedenti, esasperata da una polarizzazione internazionale che rende qualsiasi intervento esterno oggetto di diffidenza. Tra India e Pakistan, il raffreddamento apparente delle relazioni nasconde un’accelerazione nel riarmo ed una crescente tensione identitaria, particolarmente evidente nelle aree contese del Kashmir. Sullo sfondo, la politica economica americana sotto la guida di Trump riattiva logiche protezionistiche e muscolari, acuendo le fratture commerciali e strategiche tra Stati Uniti, Cina ed Europa.

In questo contesto, Leone XIV emerge come un attore trasversale di rilievo. La sua nazionalità americana non è una semplice coincidenza storica, ma incarna, nel linguaggio simbolico della Chiesa, una convergenza tra la tradizione diplomatica vaticana e l’orizzonte strategico dell’Occidente (Nye, 2005). La sua formazione latino-americana e l’esperienza missionaria in Perù lo pongono in netta distanza dalla tradizionale postura egemonica dei vertici statunitensi. Leone XIV non è un papa imperialista, ma potrebbe rivelarsi un vero papa-ponte: un mediatore tra le superpotenze, un interprete tra i blocchi culturali ed un facilitatore tra modelli di sviluppo contrapposti.

In un mondo in cui le grandi potenze faticano a trovare spazi di intesa e le organizzazioni multilaterali mostrano segni di debolezza, la Santa Sede potrebbe riaffermare il suo tradizionale ruolo di potere “morale-strategico”, un’autorità capace di dialogare con tutti e di porre al centro della scena internazionale questioni spesso trascurate dagli apparati statuali: la dignità, la riconciliazione e la prospettiva storica delle civiltà.

In un sistema internazionale in cui le linee diplomatiche ufficiali sono sempre più spesso bloccate da interessi di potenza, vincoli interni e strategie di disintermediazione, la Chiesa cattolica mantiene una capacità unica: offrire uno spazio di dialogo informale, neutro nei mezzi ma saldo nei principi, dove anche gli attori più distanti possono trovare un terreno comune. Una diplomazia che non si fonda sulle risoluzioni né sui rapporti di forza, ma sulla possibilità – mai scontata – di riattivare il dialogo e ricostruire il linguaggio del confronto.

Nel corso degli anni, questa funzione si è evoluta, adattandosi al declino del modello statocentrico ed alla crescente frammentazione degli attori in campo (Ikenberry, 2011). Sebbene la Santa Sede non sia più – da tempo – una superpotenza morale, continua ad essere un’autorità riconosciuta, forte della sua stabilità, della sua rete di contatti locali e della capacità di farsi portavoce di valori universali. Nei teatri di crisi come il Libano, l’Iraq, il Sahel ed il Caucaso, così come nelle tensioni tra Cina ed Occidente, il Vaticano continua a mantenere canali di dialogo aperti là dove altri hanno eretto barriere.

Sotto Leone XIV, questa funzione potrebbe registrare un’accelerazione significativa. La sua esperienza missionaria gli ha permesso di affinare la sua sensibilità verso il valore delle relazioni interpersonali, l’importanza del silenzio come gesto strategico e la necessità di leggere la fragilità delle comunità locali come segnale geopolitico, prima ancora che pastorale. Al tempo stesso, la sua origine statunitense – in un Paese spesso percepito come centro di polarizzazione – rappresenta al contempo una sfida ed un’opportunità. Da un lato, il nuovo pontefice dovrà dimostrare di non essere il “Papa dell’Occidente”; dall’altro, potrà sfruttare la sua posizione per ricostruire legami spezzati e favorire convergenze etiche su questioni globali cruciali, dall’intelligenza artificiale alla sicurezza alimentare, fino al cambiamento climatico (Fukuyama, 2011). In questo contesto, la Santa Sede può riaffermare il proprio ruolo di piattaforma diplomatica parallela, complementare agli attori istituzionali ma non alternativa ad essi.

L’Italia, grazie alla sua vicinanza storica, culturale ed operativa alla Santa Sede, occupa una posizione privilegiata per intercettare e valorizzare questa funzione diplomatica. Il nuovo pontificato apre per Roma un’importante finestra di opportunità, permettendo di sviluppare iniziative comuni, sinergie civili-militari e strategie comunicative convergenti, rafforzando così il ruolo dell’Italia come Paese di mediazione e stabilizzazione nel Mediterraneo ed oltre. L’elezione di un papa nordamericano, missionario ma profondamente radicato nella rete istituzionale vaticana, inaugura una fase di ridefinizione strategica anche per l’Italia, che ospita la Santa Sede ma si trova oggi in un’Europa segnata da complessità e fragilità strutturali. La vicinanza geografica e simbolica con il Vaticano non implica necessariamente un’influenza diretta; al contrario, la proiezione globale di Leone XIV potrebbe spostare il baricentro della Chiesa verso nuove aree di interesse, dall’America Latina al Pacifico, fino all’Africa ed all’Asia del Sud. In questo scenario, Roma rischia di trovarsi prossima dal punto di vista territoriale, ma meno centrale nelle dinamiche strategiche del nuovo pontificato.

Ciò nonostante, questa apparente discontinuità può tradursi in un’opportunità. L’Italia, pur non disponendo di strumenti di hard power comparabili a quelli delle grandi potenze, conserva un asset distintivo: la sua prossimità strutturale alla diplomazia vaticana e la possibilità di sviluppare sinergie efficaci tra Farnesina, Stato Maggiore della Difesa e le strutture della Santa Sede su dossier condivisi. La stabilizzazione del Mediterraneo allargato, il contrasto ai traffici internazionali, la gestione delle crisi umanitarie e la mediazione nei conflitti interreligiosi rappresentano solo alcune delle aree in cui una collaborazione informale ma strategica tra Italia e Vaticano può consolidare la credibilità e la coerenza dell’azione italiana.

Per l’Europa, l’avvento di Leone XIV rappresenta una sfida sottile ma significativa. Dopo decenni in cui la Chiesa ha avuto un’impronta fortemente europea – e, con Francesco, una sensibilità latino-americana – la guida nordamericana di Leone XIV costringe i Paesi membri dell’Unione a riconsiderare il proprio rapporto con il Vaticano, non più solo come eredità culturale, ma come interlocutore politico autonomo. In una fase in cui l’Europa fatica a delineare una strategia comune in politica estera e difesa, il nuovo pontificato potrebbe, paradossalmente, offrire un’opportunità: quella di riscoprire il Vaticano non come semplice specchio dell’Europa, ma come una lente capace di restituire una prospettiva meno autocentrata e più globale sulla crisi dell’Occidente.

Per l’Italia, la sfida è duplice: preservare l’interlocuzione privilegiata con la Santa Sede e trasformarla in una leva strategica per rafforzare la propria centralità nei teatri regionali più critici. La partita non si gioca solo nei palazzi romani, ma nelle capacità di ascolto strategico, di lettura trasversale e di azione discreta che l’Italia saprà mettere in campo con intelligenza e visione.

L’elezione di Leone XIV non rappresenta una cesura, ma inaugura una trasformazione silenziosa nella postura internazionale della Chiesa. Segna il passaggio da una fase caratterizzata dallo slancio missionario e dalla diplomazia morale di Francesco a una possibile stagione di mediazione stabile ed ascolto globale, guidata da un pontefice che conosce il peso delle periferie ma anche il linguaggio delle istituzioni. Non è soltanto un cambio di guida spirituale, ma una transizione cruciale per uno degli attori non statali più influenti nello scenario internazionale.

In un'epoca caratterizzata dal ritorno del conflitto armato, dalla crisi del multilateralismo e dalla recrudescenza delle logiche di potenza, la Chiesa cattolica può ancora rappresentare uno spazio di discontinuità strategica, in grado di allentare le tensioni, delineare percorsi alternativi e riaffermare il primato del dialogo, anche là dove sembrava irrimediabilmente compromesso. Mai come oggi questo ruolo si rivela necessario.

Mentre Leone XIV ha inaugurato il suo pontificato con un messaggio di pace universale, le immagini della parata militare di Mosca mostrano un mondo ancora immerso nella logica dello scontro. Putin e Xi Jinping fianco a fianco sulla Piazza Rossa, non sono solo il simbolo di una solida alleanza, ma il segnale di un riequilibrio delle sfere di influenza in Eurasia, con Pechino ormai protagonista assoluta del confronto strategico globale.

In questo scenario, il Vaticano sotto la guida di Leone XIV potrebbe configurarsi come un attore capace di offrire uno spazio di mediazione autentico, lontano dalle retoriche di potenza e dalle dimostrazioni muscolari. Il nuovo pontefice, con il suo bagaglio missionario e la sua conoscenza delle periferie globali, ha l’opportunità di riaffermare il primato della diplomazia morale, proponendo un linguaggio alternativo rispetto a quello della forza militare esibito a Mosca.

Per l’Italia, il nuovo pontificato è al tempo stesso una sfida e un’opportunità. Una sfida, perché impone all’Italia di superare ogni inerzia storica e ridefinire, in chiave contemporanea, il proprio rapporto con la Santa Sede. Ma è anche un’opportunità, perché consente di valorizzare una prossimità unica al mondo, trasformandola in una leva diplomatica e strategica in un contesto che richiede visione, equilibrio e responsabilità.

Leone XIV non potrà risolvere i conflitti del mondo, ma potrà riaprire le domande che la violenza ha ridotto al silenzio. Per l’Italia, saperle ascoltare con lucidità sarà già un atto strategico.

Andrea Lancioli (ufficiale e insegnante di Storia Militare)

Nore e riferimenti

  • Ferrari S. (2008), 'Verso una nuova politica mediterranea della S. Sede', in Rivista di Studi Politici Internazionali, Nuova Serie, Vol. 75. No. 1 (Gennaio Marzo 2008), RSPI;

  • Ramsbotham O., Woodhouse T., Miall H. (2005), 'Contemporary conflict resolution: the prevention, management and transformation of deadly conflict', Polity Press.;

  • Nye J. (2005), 'Soft power: the means to success in world politics', Public Affairs.

  • Ikenberry J. (2011), 'Liberal leviathan: the origin, crisis and transformation of the american world', Princeton University Press.

  • Fukuyama F. (2011), 'The origin of political order: from prehuman times to the French Revolution', Farrar, Straus and Giroux.

​Foto: Santa Sede