Le mani russe sull'Africa

(di Andrea Gaspardo)
27/07/19

Per lungo tempo l'Africa è stato il continente che, assieme all'Asia sudorientale, ha visto lo sforzo maggiore da parte delle grandi potenze di conquistare nuovi spazi di influenza sia economica che geopolitica. Da molto tempo ormai, i principali media e centri di studio occidentali si stanno focalizzando sulla crescita esponenziale degli interessi cinesi in Africa, in diretto contrasto con quelli già da tempo costituiti dalle ex-potenze colonizzatrici europee e dagli Stati Uniti d'America. Tuttavia, ben pochi analisti occidentali hanno finora notato il ritorno in grande stile della Russia nei grandi giochi geopolitici e geoeconomici africani.

Esaminata in un'ottica di lungo periodo, questa evoluzione non ha affatto una logica congiunturale ed anzi promette di garantire a Mosca una perenne presenza nel "Continente Nero". Al contrario della maggior parte delle potenze europee ottocentesche, l'Impero Russo non ha mai posseduto colonie in terra africana, limitandosi solamente a superficiali rapporti economici e diplomatici con le colonie ed i protettorati creati dalle potenze europee in loco, oltre che con l'Impero Etiope, unico paese africano a non venire occupato dagli europei.

Le cose cambiarono nel corso della "Guerra Fredda", quando l'Unione Sovietica iniziò un titanico sforzo per stabilire relazioni proficue con tutti i movimenti di liberazione nazionale e con i neonati stati indipendenti in modo da  attirare quei paesi nell'orbita del "Blocco Orientale". Invero, l'influenza che Mosca aveva sul continente africano tra il 1960 ed il 1991 era considerata dai più, maggiore di quella degli Stati Uniti e delle ex-potenze coloniali messe assieme.

La fine della "Guerra Fredda" e la disintegrazione dell'Unione Sovietica stessa portarono alla sostanziale fine di qualsiasi presenza strategica russa in terra africana creando un vuoto che USA ed Europa furono ben felici di riempire nuovamente. Eppure, a partire dal 2003, stiamo assistendo ad un prepotente ritorno della Russia anche in questo continente, apparentemente così lontano dalle tradizionali aree di interesse della geopolitica russa.

Sui primi tempi si è trattato di un ritorno "in sordina", principalemente riallacciando limitati rapporti economici e militari con un numero ridotto di paesi precedentemente alleati stretti. Dopo la "crisi d'Ucraina" e l'inizio dell'intervento russo in Siria, però, il processo ha subito una brusca accellerazione tanto da interessare ormai tutto il continente (con un focus particolare su una dozzina di paesi maggiori). Inoltre, per la prima volta in assoluto, pare che i russi stiano portando avanti una strategia integrata che, oltre a beneficiare lo stato e le imprese russe, ha come obiettivo di lungo periodo quello di stabilizzare definitivamente dal punto di vista della sicurezza i paesi africani in modo che essi possano poi "marciare da soli" e stabilire poi con Mosca un rapporto di partenariato che porti a scelte politiche condivise. Da questo punto di vista, l'approccio moscovita alle vicende africane diverge considerevolmente da quello dei paesi occidentali ma anche da quello della Cina, finalizzato unicamente all'accaparramento ed allo sfruttamento delle risorse naturali del continente e privo di una chiara visione rispetto al futuro ruolo politico dell'Africa.

Considerando la pluralità delle sue iniziative, Mosca ha in tutto speso nel continente africano circa 20 miliardi di dollari, dal 2003 ad oggi; una cifra che parrebbe ridicolmente bassa. Inoltre, con una crescita del PIL compresa the l'1,5% e l'1,8% nel triennio 20182020, la Russia non può assolutamente essere considerata una "grande area economica" capace di creare con l'Africa sinergie di mercato tali da sottrarre le masse africane dalla loro condizione di povertà. Tuttavia, ciò che alle élite africane interessa veramente, è la capacità dei russi di "esportare sicurezza" e contribuire alla stabilizzazione dei conflitti nel continente africano per permettere loro di concentrarsi sui piani di sviluppo economico interno. In altre parole: una sorta di replica del ruolo che la Russia ha egregiamente svolto in Siria (foto).

Certo, geopolitica a parte, lo stato russo (e le sue varie estensioni "informali") si attendono anche un certo ritorno economico da tali "operazioni" in modo tale che possano almeno "autofinanziarsi", ma questo, per un continente vastissimo e ricchissimo di risorse naturali di ogni tipo, non è affatto un problema. Tra il 2005 ed il 2015 per esempio, il volume degli investimenti e del libero commercio tra Russia ed Africa è cresciuto del 185% e ha registrato la massima espansione soprattutto in campo energetico e minerario. Qui, compagnie come Gazprom, Lukoil, Renova, Rusal and Alrosa hanno fatturato solo nei primi sei mesi del 2018 circa 10,5 miliardi di dollari.

I grandi colossi russi stanno cercando di diversificare i loro interessi muovendosi anche al di fuori dei normali investimenti nel campo del petrolio e del gas. Per esempio finalizzando la construzione di centrali nucleari in Egitto, Nigeria ed Algeria e centrali idroelettriche in Angola, Namibia e Botswana, producendo allumino in Nigeria, sviluppando il più grande giacimento di platino del mondo in Zimbabwe ed estraendo uranio in Namibia.

In generale, dato che oltre 620 milioni di persone in Africa non hanno accesso all'energia elettrica, il settore della produzione e della distribuzione energetica dovrebbe essere quello con le maggiori possibilità di crescita e dal quale le compagnie russe possono attendersi il maggiore ritorno economico. In campo militare ed in quello della sicurezza, la Russia non soltanto fornisce armamenti agli stati africani (già nel corso della "Guerra Fredda" l'Africa era il secondo "consumatore" di armamenti sovietici dopo il Medio Oriente) ma ora contribuisce attivamente alla ricostruzione e all'addestramento delle forze armate e di sicurezza di una pluralità di stati africani. I casi più importanti, balzati agli onori della cronaca proprio in questi ultimi mesi sono stati quelli della Repubblica Centrafricana e del Sudan, dove istruttori militari russi probabilmente inquadrati nella compagnia privata militare e di sicurezza "Wagner", gestita da Yevgeny Prigozhin (uomo con solidi legami al Cremlino), hanno  completamente riaddestrato e riequipaggiato gli uomini delle forze speciali e delle guardie presidenziali dei due paesi. I reparti riformati dai russi sono stati poi coinvolti in operazioni anti guerriglia ottenendo eccellenti risultati. Il successo ottenuto ha poi portato all'istituzione di altre simili "missioni militari" nella Repubblica Democratica del Congo ed in Chad mentre non confermata (ma altamente probabile) è la presenza di istruttori militari nel Sud Sudan ed in Libia a sostegno delle milizie del generale Haftar.

Oltre agli aiuti militari, Mosca ha deciso anche di "investire nel sociale" mediante aiuti umanitari quantificabili in circa 400 milioni di dollari all'anno distribuito per il 60% mediante organizzazioni internazionali come il Programma Alimentare Mondiale e le agenzie delle Nazioni Unite che si occupano dei rifugiati e per il 40% come aiuto diretto bilaterale ai i singoli governi. Interessante è poi l'investimento nel campo dei media, con la creazione di giornali, compagnie TV e cosiddetti "nuovi media" in particolare in Sudafrica, Marocco e Madagascar. In quest'ultimo paese, i russi hanno sostenuto a fondo la rielezione di Andry  Rajoelina (già presidente una prima volta tra il 2009 ed il 2014) organizzando la sua campagna elettorale e predisponendo la distribuzione gratuita di non meno di due milioni di copie a cadenza mensile del principale quotidiano del paese.

Inutile a dirlo, l'attivismo moscovita non viene visto di buon occhio dalle cancellerie occidentali ma nemmeno dalla stessa Cina, che vedono così erosi i propri margini di predomino. Ma il paese che più di tutti ha preso sul serio le mosse di Putin e dei suoi uomini è stata la Francia, dato che un buon numero dei paesi nei quali si concentrano gli sforzi di penetrazione russa sono proprio quelli appartenenti alla cosiddetta "Africa francofona" e che sono trattati da Parigi alla stregua di "riserve di caccia" esclusive.

Il paese dove è avvenuto lo scontro più feroce è stata la già citata Repubblica Centrafricana dove, mediante l'influenza acquisita sui servizi segreti locali, la quasi totalità dei politici filo-francesi è stata marginalizzata in pochissimo tempo ed il paese nel suo complesso viene ora definito "controllato da Mosca per l'83%".

Al di là della situazione nei singoli paesi, quello che pare interessante è lo sforzo profuso nel tentativo di dare nuovo slancio al processo di formazione di un'identità africana con investimenti in ambito scolastico ed accademico per favorire la crescita dell'Africa come blocco di cooperazione uniforme. Iniziativa quest'ultima che sta alla base del "forum Russia-Africa" che verrà organizzato a Sochi nell'ottobre di quest'anno e che vedrà la presenza di 50 capi di stato africani. Il successo di una tale iniziativa sarebbe foriero di nuovi sviluppi per la cooperazione tra Russia ed Africa anche a livello geostrategico, ma questi ipotetici scenari li vedremo solamente nel futuro.

Foto: Cremlino / MoD Fed. russa