Le incertezze di un impero immaturo

(di Gino Lanzara)
30/07/22

Fermo restando che le relazioni internazionali, per loro stessa natura, non possono vivere momenti di stasi, non c’è dubbio che quanto si sta manifestando adesso mette in evidenza un dinamismo eccezionale. È il progresso, con pregi e difetti; è la globalizzazione, è il multipolarismo che ha spezzato i mai troppo rimpianti equilibri di Le Carrè, è un romanticismo di cui solo ora si comprende il fascino con le sembianze dello Strangelove Peter Sellers.

Mentre la tempesta continua ad abbattersi sull’Ucraina con risvolti che lasciano attoniti e che spingono a credere che l’essere umano sia sostanzialmente rimasto un neanderthaliano da cui guardarsi con timore, l’Oriente si infiamma per le scintille innescate da un Occidente che continua a non avere coscienza di come abbia giocato male ed avventatamente le sue carte.

I fatti. La speaker del Congresso, Nancy Pelosi, ha programmato un viaggio in Asia, con date da confermare, che prevede una tappa a Taiwan in agosto, mese già caldo di suo. La reazione di Pechino non si è fatta attendere, e ha anticipato misure risolute e forti, lasciando presagire l’imminenza di una nuova crisi.

Zhao Lijiang, portavoce del ministero degli esteri, e Tan Kefei portavoce del ministero della difesa, per l’occasione, hanno sottolineato una linea politica scontata, rimarcando che la performance diplomatica (?) della Pelosi eroderebbe significativamente la sovranità e integrità territoriale della Cina, impattando sulla già traballante relationship con gli Stati Uniti, dando un segnale fuorviante alle forze taiwanesi puntate al consolidamento e soprattutto al riconoscimento dell’indipendenza di Taipei.

Da non sottovalutare l’avvertimento di Pechino, che non ha escluso ulteriori interventi nella complicata liaison corrente tra Repubblica Popolare e ribelli della Cina nazionalista. Del resto non è certo un mistero che il management comunista abbia sempre considerato Taiwan parte integrante della Cina continentale, tanto da incrementare, pur di giungere alla riunificazione, notevoli pressioni militari, evocando, quale estrema ratio, al momento dell’accertata inutilità dei tentativi diplomatici, il ricorso alla forza.

Dall’altra parte Washington, che ha aggiornato impegni ed aiuti a supporto di Taipei, ma che non ha mai apertamente rinnegato la propria ambiguità strategica fondata sull’assunto politico della One China e sulle clausole delle tre dichiarazioni congiunte Cina-USA.

Se la Russia rappresenta il rischio immediato, Pechino è quello planetario e di lungo periodo; la postura politica verso la Cina sta informando tutta la politica estera americana: il recente viaggio mediorientale del presidente Biden si è proposto, tra i propositi di maggior rilievo, di arginare l'espansione cinese tra i paesi arabi.

Quanto sono serie le minacce cinesi? Non poco, e comunque non sono sottovalutabili. Secondo il Financial Times, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, è contrario al viaggio della Pelosi per il rischio di un’escalation nello Stretto di Taiwan; interessante al proposito la valutazione compiuta dall’ International Institute for Strategic Studies, per il quale ..nel breve e medio termine è molto più probabile che un conflitto a Taiwan si verifichi più per caso che per volontà. Un’ipotesi da considerare ritiene che Pechino, senza fondamento, è certa che Washington stia coordinando la visita a Taiwan perché Potus e Speaker sono ambedue dem, senza rammentare che il Congresso è indipendente e che Biden non può vietare il viaggio, benché il Pentagono reputi l’iniziativa controproducente, perché vista solo come un pericoloso sostegno all’indipendentismo, e nonostante Biden abbia qualificato il momento prescelto per la visita come decisamente sbagliato.

Nel frattempo, Xi può essere tentato dall’apertura di un fronte esterno per indurre i cinesi a non soffermarsi sulle difficoltà del Paese, puntate sul rallentamento economico1, sul sostanziale insuccesso della politica dello Zero Covid, sulla crisi del real estate, dove ogni punto di crescita in meno porta ad un milione di disoccupati in più, sulle difficoltà rappresentate dal rapporto con il Cremlino.

Cosciente della fragilità del sistema sanitario, Xi cerca di preservare gli ospedali dai ricoveri da Covid, confinando milioni di persone per (relativamente) pochi contagi. La stabilità sociale è a rischio, e l’opinione pubblica è stremata: migliaia di borghesi piccoli piccoli stanno boicottando il pagamento dei mutui sugli appartamenti non ancora terminati a causa della mancanza di credito che attanaglia i costruttori; migliaia di risparmiatori reclamano il loro denaro congelato dalle banche in sofferenza; in alcune zone i dabai2, gli operatori sanitari che gestiscono in strada la politica Covid Zero, stanno scioperando per la mancata corresponsione dei salari.

E allora perché l’alta tensione attuale? Probabilmente perché Xi si appresta a raggiungere Beidaihe, la località marina dove i principi rossi tengono annualmente i loro incontri, durante i quali si giudica l’operato del governo, del Politburo e del segretario generale. Se Xi vuole il rinnovo del suo mandato quinquennale in autunno, deve dimostrare di non aver subito l’iniziativa americana; un’umiliazione indebolirebbe la sua posizione alla vigilia del XX Congresso del Partito.

La tensione peraltro non si limita solo a Pechino, ma coinvolge tutta la regione intorno Taiwan dove ci si sta preparando al conflitto, mentre il Giappone è convinto che il confronto armato sia soltanto una questione di tempo. Se fino a poco tempo fa si riteneva che difficilmente la Cina intendesse innescare un’escalation, ora si crede che Pechino potrebbe rispondere con forza a quelle che vede come minacce alla sua sovranità.

Diversi analisti ritengono che, sebbene Xi cercherà di evitare qualsiasi problema ante congresso, quasi sicuramente risponderebbe con le armi in caso di crisi, visto che deve comunque guardarsi dal fuoco amico.

Quel che rende giustizia alla serietà del quadro è di fatto la valutazione negativa compiuta dallo stesso Pentagono che prevede una risposta aggressiva ad una visita che, peraltro, crea ulteriore caos in un contesto reso ambiguo dalla politica estera americana, anche in questo quadrante spesso scomposta.

Washington dal 1972 riconosce il principio della politica di una sola Cina, ma senza dimenticare, dal 1979, il contemporaneo riconoscimento della Repubblica Popolare tuttavia accompagnato dal Taiwan Relations Act, che preserva le relazioni con Taipei, per arrivare nel 1982 alla risoluzione Six Assurances, con cui gli USA non avrebbero riconosciuto la sovranità cinese su Taiwan.

Nel 2021, Washington ha asserito di aver concordato con Pechino il rispetto del principio una sola Cina, senza riconoscere ufficialmente Taiwan. Modernizzazione e ampliamento delle forze armate cinesi hanno poi indotto Taipei a cercare sostegno nell’alleato americano.

Se è vero che Biden ha affermato che gli USA avrebbero difeso Taiwan, è altrettanto vero che l’intento di Nancy Pelosi ha determinato una frattura tra Congresso e Casa Bianca da un lato, e Pentagono dall’altra, con la Pelosi che, minimizzando, ha affermato che, per quanto riguarda l’indipendenza, spetta solo ai Taiwanesi decidere (come se fosse facile). Insomma, dichiarazioni e decisioni portano ad un rimpiattino che varia di volta in volta lo status quo, secondo un paradigma che vede venir meno la credibilità dei due contendenti, in particolare quella di Washington, ancora memore della debacle afghana. Quel che è certo è che l’ex segretario di stato Mike Pompeo ha dichiarato che sarebbe lieto di accompagnare la speaker, affermazioni decisamente forti per un più che potenziale concorrente alla prossima corsa alla Casa Bianca del 2024.

Tra (disastrose) Primavere arabe ed ambiguità politiche a vario titolo, l’America deve decidere ora cosa voler fare da grande calcolando tuttavia con attenzione le conseguenze delle sue mosse, ricordando che l’essere impero comporta precise responsabilità.

Se Biden o il generale Milley riusciranno a dissuadere la Pelosi dal suo viaggio, alimenteranno due convinzioni: fragilità politica ed esigua motivazione nel difendere Taiwan; ovviamente, la soluzione contraria porterebbe ad un inasprimento dei toni, con la possibile apertura di una crisi parallela a quella ucraina.

Tenuto conto che la telefonata del 28 luglio tra i due capi di Stato non ha portato a nulla, non si può non notare una frattura politica interna alla realtà USA, ed una faglia più ampia che oltrepassa i confini nazionali e che vede USA e Cina intrappolate in un gioco vischioso, che non può non tenere conto né delle proiezioni sulle elezioni di mid term, né dell’impossibilità di giungere ad una soluzione simbolica che salvi la faccia ad entrambi gli attori. Insomma, dire che il Pentagono è contrario, è stata una leggerezza imperdonabile; questa volta il presidente americano avrebbe fatto meglio a tacere, mantenendo una credibile poker face, e convincendo la speaker a non partire.

Che potrebbe accadere in caso di reazione cinese che impedisse l’atterraggio degli aerei americani a Taiwan? Auspicabilmente giungere a non più del richiamo dell’ambasciatore americano e non oltre un pacchetto di sanzioni economiche. L’ipotesi del casus belli, pure incombente, trasformerebbe l’Indo Pacifico in una bolgia, con la Cina lanciata alla rapidissima conquista di Taiwan.

Conclusione: tenuto conto che il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune3, le paure del presidente americano ed il dibattito politico a Washington testimoniano una crisi d’identità dell’impero statunitense.

1 Il secondo trimestre 2022 ha segnato solo +0,4% di incremento del Pil, rendendo impossibile l’obiettivo pianificato del 5,5% .

2 Grandi bianchi

3 A. Manzoni

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