L’asse Ankara–Tirana

(di Gian Pio Garramone)
10/07/20

La Turchia è sempre più determinata a imporre il suo ruolo di stato ponte tra Europa e Medioriente. Nella regione è riuscita ad allacciare rapporti molto solidi, proiettando sempre più la sua influenza internazionale ed è molto presente negli stati balcanici. L’influenza turca sui Balcani non si limita a semplice appoggio politico su questioni d’interesse internazionale dei vari stati, bensì si concretizza con aiuti e trattati.

Ankara supporta molti stati balcanici ma soffermiamoci sui crescenti rapporti con la Repubblica d’Albania. Prendendo in considerazione gli ultimi mesi dello scorso anno e il primo semestre del 2020 noteremo l’intensificarsi delle relazioni tra Ankara e Tirana, complice anche il sisma verificatosi il 26 novembre scorso nella zona settentrionale, di magnitudo 6.5 e la recente pandemia ancora in atto. Gli interventi sono a tutto tondo e vanno dagli aiuti umanitari, alla ricostruzione, ai trattati di mutuo supporto.

In seguito al terremoto Ankara si precipita a mostrare vicinanza al popolo albanese: è tra i primi paesi a inviare squadre USAR (Urban Search and Rescue) e la TIKA ovvero l’agenzia di cooperazione e coordinamento del ministero della cultura e turismo invia e consegna 500 pacchi alimentari e altrettante coperte agli sfollati. I turchi non si sono fermati alla prima fase dell’emergenza, ma hanno proseguito con ulteriori gesti tangibili, dando inizio già nei primi giorni di gennaio 2020 alla costruzione di 500 case per i terremotati e alla moschea nella citta di Prezë.

In febbraio la UE offre 1,15 mld di dollari pro ricostruzione all’Albania, al contempo la sola Turchia dona 50 mln di dollari.

L’interesse turco per l’Albania non si manifesta solo nell’emergenza, infatti non fa mancare il supporto a questioni di natura politica, non limitandosi alla sola Albania bensì supportando anche altri stati balcanici. Tale interesse è confermato dai colloqui avuti dal ministro degli esteri turco in visita ufficiale in Albania, sul rapporto tra i due paesi, su questioni internazionali e regionali. In marzo il ministro, si complimentava per l’inizio dei colloqui di adesione alla UE di Albania e Macedonia del Nord dichiarando che questo atto porterà crescita e stabilita nella regione. Le dichiarazioni di stima e fratellanza sono reciproche, infatti il 23 aprile per la festa del centenario del parlamento turco erano presenti tra gli altri i leader di Albania, Macedonia del Nord e Kosovo, chiaro segno di vicinanza e appoggio.

Dobbiamo ricordare che i colloqui turchi per l’ingresso nell’Unione Europea sono ormai bloccati, questo e quanto emerge da una seduta del Parlamento europeo del 10 giugno 2015. Dal progress report 2014 emerge che dei trentatre capitoli negoziali aperti solo per quattro si è avuto l’allineamento secondo i parametri di Bruxelles, facendo praticamente arenare i colloqui. L’ultima riforma costituzionale avvenuta che sposta il baricentro politico verso un governo autocratico non ha certamente aiutato questo percorso.

La collaborazione tra Albania e Turchia è a tutto tondo e interessa anche l’aspetto militare e di low enforcement. Il 14 gennaio scorso l’ufficio di risposta rapido della polizia a Tirana, ha ricevuto in dono 6 mezzi corazzati, 10 fuoristrada e vari equipaggiamenti che doteranno le squadre di risposta rapida della Polizia albanese.

La cooperazione turca non ha tralasciato il settore strategico della difesa, infatti il 23 aprile scorso è stato siglato dal consiglio dei ministri albanese un accordo di cooperazione militare tra i due stati. L’accordo di cooperazione tra gli omologhi ministeri della difesa consiste nello stanziamento di fondi per il riammodernamento delle forze armate albanesi. La firma del patto bilaterale è stata preceduta nel mese di febbraio da un altro accordo, che vincola i due stati alla cooperazione alla difesa.

Neanche il covid-19 ha minato la volontà turca di essere uno stato protagonista nella regione, concretizzando un ingentissimo supporto a molti paesi. Lo stesso presidente Recep Tayyip Erdoğan si è impegnato a riportare a casa circa 25000 mussulmani, bloccati in vari stati per colpa della pandemia, cosi da fargli trascorrere almeno la fine del Ramadan nelle proprie case. L’operazione di evacuazione è stata realizzata con ponti aerei della Turkish Airlines, coordinati del ministero della salute e l’agenzia AFAD ovvero l’autorità turca per la gestione delle catastrofi e dell’emergenze del ministero degli interni. Oltre al ponte aereo Ankara si è impegnata attraverso i suoi organi governativi a gestire la sicurezza sanitaria, effettuando tamponi e periodi di quarantena. I rimpatri hanno avuto inizio il 17 aprile e si sono conclusi il 27 ed hanno interessato anche l’Albania. Se è vero che il 27 aprile si concludeva questa grande operazione aerea di evacuazione, è anche vero che lo stesso giorno la Turchia inviava a 57 paesi (dei 100 che ne avevano fatto richiesta), compresi Inghilterra, Italia e Spagna, tonnellate di aiuti sanitari per la gestione della pandemia. Tonnellate di aiuti sono stati inviati anche a tutta la penisola balcanica, ovvero Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro e Kosovo. In maggio la Mezza Luna Turca ha preparato e inviato tramite voli militari atterrati all’aeroporto di Skopie, aiuti sanitari indirizzati alla Macedonia del Nord e all’Albania.

La crescente opera di politica internazionale che Ankara sta mettendo in atto sul versante balcanico, impegnandosi attivamente come abbiamo visto nei confronti dell’Albania, ma in generale verso molti paesi balcanici, è sicuramente frutto di una visione politica di espansione di influenze nell'area. È chiaro che la Turchia sta cercando di conquistare un’area di influenza sempre maggiore, non solo in Africa (Libia, Somalia,...) e Medio Oriente (Siria) ma anche in Europa. Questo è anche determinato dalla ormai staticità nei negoziati con l’Unione Europea, con la conseguente possibilità di ingresso ormai molto remota.

Ankara esercitando una politica d’influenza su paesi limitrofi, rilancia il proprio ruolo di protagonista regionale per permettere una eventuale ripartenza dei colloqui con l’Unione. O più semplicemente potrebbe essere un modo per batter cassa, come gia avvenuto in passato sulla gestione dei flussi migratori via terra.

Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri / web / facebook