Iran, disordine autarchico

(di Gino Lanzara)
13/07/20

Come sarà il mondo del 2021? Quale influenza eserciterà il Covid19 sul Medio Oriente? Il rallentamento delle dinamiche internazionali non ha inibito la ripresa dei trend ante virus, aspetto che consente di ipotizzare diversi scenari: quello rivoluzionario, in cui vi è un mutamento dei modelli antecedenti la pandemia con la configurazione di un ordine illiberale di stampo cinese; quello di rottura, in cui la struttura internazionale sprofonda nel caos con significativi sconvolgimenti in MO; quello della ricostruzione, in cui gli USA, reimpossessandosi dell’iniziativa, tagliano fuori la Cina.

Giochiamo quindi con il futuro, con una rosa di scenari ipotetici ma vincolati alle realtà strategiche mediorientali caratterizzate da concorrenza, globalizzazione ed evoluzione cibernetica secondo un paradigma che vede un costante indebolimento dell’ordine esistente.

Un quadro attendibile contempla sia gli USA, focalizzati sulle elezioni presidenziali, sia un aggravamento mediorientale dei problemi di governance, disoccupazione, corruzione, disuguaglianza, dipendenza da petrolio e da aiuti esterni, con una ripresa delle proteste popolari accompagnate, in Iran, da ambizioni di dominio regionale ed acquisizione di potere nucleare. Stravolgere l'ordine esistente condurrebbe dunque ad un caos conflittuale: la guerra Siriana nuovamente pronta a divampare; Hezbollah volto a riprendere il controllo del Libano; l’Iran scosso da scontri tra regime e popolo; la Jihad lesta a riappropriarsi di parti del Siraq, della Penisola del Sinai, di Libia, Yemen e Arabia Saudita.

Nel Golfo Persico/Arabico le monarchie, vista l’imprevedibilità USA evidenziata dalla mancata reazione agli attacchi alle infrastrutture saudite di Aramco ed alle petroliere emiratine prima, e dall’eliminazione del generale Soleimani poi, cercano di evitare lo scontro con Teheran, pur temendone le ambizioni, per evitare di trovarsi come Riyad, impantanata nello Yemen, inconcludente in Libano ed in cerca di un contatto strategico, anche indiretto, con Teheran attenta a coltivare azioni asimmetriche in un contesto politico interno sempre più connotato da elementi nazionalistici. La fusione ideale tra nostalgia imperiale ed animo sciita, esalta e conferisce un primato identitario iranico islamico modellando il concetto di resistenza anche al di fuori dei confini nazionali, e giustificando un’ambiziosa struttura politico – industriale - militare parallela, gli immortali del 2000, i pasdaran, dissuasori dei possibili colpi di stato organizzati da Artesh1.

Il concetto difensivo iraniano poggia su tre basi: sviluppo industriale bellico autosufficiente puntato su una missilistica in continua evoluzione e dotabile di testate nucleari; costituzione di un apparato difensivo capace di fronteggiare qualsiasi ipotesi di invasione; rete di alleanze regionali con entità che condividono l’avversione ad America ed Israele e che, rendendo insostenibile il costo di un attacco, assorbono però forti volumi finanziari2, come nel caso di Hezbollah, che comincia a scontare, fuori da Beirut, la sua duplice natura politico militare, che comincia ad essere oggetto di censure3.

Il Golfo è l’area geopolitica che separa l’Iran sia dagli altri Stati regionali sia dalle basi USA lì presenti, e rimane uno degli snodi inevitabili del commercio idrocarburico, tanto da indurre sia diversi Paesi a contrastare il peso di Teheran con specifiche missioni militari, sia i pasdaran a tenere condotte aggressive con tattiche di naval guerrilla e di swarming, ovvero l’uso di naviglio sottile armato con missili a corto raggio e proveniente da più direzioni, aspetti che hanno indotto gli USA a reagire con usuale pari vigore. Non a caso, i pasdaran hanno annunciato il proposito di realizzare, entro il 2021, una base navale permanente nell’Oceano Indiano capace di rispondere alle pressioni esercitate dagli USA sia con il Caesar Act che, sanzionando il regime siriano, intende riportare l’America al centro del MO, sia con il contrasto alle basi iraniane frequentemente battute dalle incursioni aeree israeliane. Le ultime esercitazioni balistiche navali condotte da Teheran, peraltro, giungono nel momento in cui gli USA si stanno adoperando per estendere l’embargo oltre ottobre 2020, sostenuti anche dalle sospette violazioni iraniane sul nucleare, e dopo l’incidente del 10 maggio, quando un cacciatorpediniere di Teheran ha centrato una propria nave supporto nel Golfo di Oman. Eventi e politica dimostrano inoltre l’errore americano nel ritenere Soleimani insostituibile, considerato che Pechino è stata attenta a non farsi invischiare nella querelle sia a livello globale che regionale data la sua voracità energetica e la necessità di preservare la BRI, e vista la resilienza asimmetrica iraniana che ha reso il generale più importante da morto che da vivo, anche alla luce della nuova politica che sta normalizzando l’agenda rivoluzionaria con un approccio più diplomatico, fatto di legge, diplomazia aggressiva e misure attive non violente; gli USA, tendendo a personalizzare i sistemi con cui si confrontano, non tengono conto che il potere, spesso, deriva dall’organizzazione presieduta e dallo stile di comando adottato, per cui si deve ritenere che l’azione di Esmail Qaani4 non intaccherà le direttrici politiche che punteranno, per compensazione, a pressare la presenza americana sia in MO sia nel cortile di casa, come avvenuto con i rifornimenti venezuelani di greggio, ma senza giungere a punti di non ritorno, non desiderati nemmeno dagli USA.

Nel frattempo il Covid ha colpito duramente l’Iran, infliggendo pesanti conseguenze economiche, in associazione con la crisi indotta dalle sanzioni USA, e suggerendo l’adozione di una gestione autarchica del disordine con un lockdown parziale, malgrado le raccomandazioni delle autorità sanitarie, che ha introdotto forme religiose alternative in formato drive in. Quel che appare certo, è che le casse statali sono in sofferenza di liquidità, data anche l’instabilità dei prezzi del greggio, tutti elementi che prefigurano un deficit di bilancio aggravato dalla difficoltà di accedere a linee di credito internazionali e dalla forte svalutazione del rial5.

Panorama interno. Se è vero che il potere teocratico, e soprattutto pasdaran, non sembra presentare elementi di frattura, è altrettanto vero che, socialmente, sta emergendo la generazione più giovane, priva di legami ideologici sia con l’esperienza khomeinista sia con quella bellica iraqena, molto sensibile all’immaginario nazionalista ed imperiale persiano, sfiduciata verso l’occidente, al momento non così soggetta a rigidi precetti islamici, ed attratta da modelli politici esterni al contesto istituzionale; se i risultati elettorali del 2020, ancorché condizionati dalla pandemia, sono lì a ricordare che la percezione di una gioventù riformista e contraria al regime può essere fuorviante, data la maggioranza conservatrice, d’altro canto l’avversione agli USA non deve trarre Khamenei in inganno nel presumere di poter godere di un incondizionato appoggio popolare.

Intanto, il fallimento del JCPOA6 ha vanificato i tentativi di Rohani di contenere l’IRGC7, un contropotere che si sta trasformando in Stato: la mancata normalizzazione dei rapporti con l’Occidente ha ridato slancio all’ala più intransigente, ai conflitti interni tra fazioni ed alle azioni esterne di disturbo del progetto nucleare, frenato dai recenti incendi divampati nel sito di Natanz, probabilmente oggetto di un attacco informatico dopo quello condotto contro il Porto di Bandar Abbas, susseguente all’attacco cyber iraniano portato contro la rete idrica israeliana.

Nel frattempo, dalle consultazioni elettorali, è spuntato un ex generale pasdaran, nonché ex capo della Polizia ed ex sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, da molti indicato quale possibile prossimo presidente della Repubblica, favorito da un astensionismo che non può che agevolare il campo conservatore, e sospinto da un elettorato deluso sia per le mancate promesse liberalizzatrici di Rohani, sia per la violenta repressione delle proteste sociali del novembre scorso.

Le elezioni parlamentari hanno terminato l’esperimento riformista di Rohani, penalizzato peraltro dalle censure del Consiglio dei Guardiani influenzato da Khamenei; entrambe le fazioni politiche, pragmatici-riformisti e conservatori, hanno dunque iniziato a prepararsi per le presidenziali, con i conservatori che hanno consolidato il controllo sui centri di potere, e con i riformisti, allontanati dalle posizioni di influenza.

La sfiducia popolare, alimentata dagli esiti della gestione del Covid e dall’abbattimento dell’airbus ucraino, influenzerà nuovamente l’affluenza ai seggi, ed è probabile che Khamenei eserciterà il suo ascendente per la formazione dell’elenco dei candidati. Come avvenuto per le parlamentari, anche le presidenziali presenteranno lotte interne tra conservatori, tra i centralisti e gli elementi più radicali, inclusi i sostenitori dell'ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, intenzionato a candidarsi malgrado l’avversione di Khamenei.

I pragmatico-riformisti affrontano la campagna elettorale con lo stigma del perdente, incapaci di dare risposte alle preoccupazioni popolari; coscienti dell’ascesa conservatrice, dovranno dunque decidere quale strategia adottare, o boicottando le elezioni o provando a gestire candidati indipendenti, in un quadro complessivo che contempla le dinamiche sottese alle previste annessioni territoriali israeliane, ed all’evoluzione dell’affaire nucleare, riacceso peraltro dal contenzioso innescato proprio dall’Iran in concomitanza con l’incidente occorso presso la struttura sotterranea di Natanz, dedicata all’arricchimento dell’uranio.

1 Forze Armate regolari

2 Lo Yemen ha dimostrato che un impegno finanziario inferiore rende possibile il fallimento di un conflitto.

3 La Germania ha cominciato ad identificare l’intera struttura Hezbollah come terrorista

4 Sostituto di Soleimani

5 22 giugno: 200.000 rial per dollaro

6 Joint Comprehensive Plan of Action

7 Corpo delle guardie della rivoluzione islamica

Foto: IRNA