Intelligenza Artificiale e Dual Use nei programmi di Pechino

(di Antonio Vecchio)
24/09/18

Abbiamo già parlato dell'impegno cinese nel campo della Intelligenza Artificiale (IA) sia al livello sperimentale che in quello applicativo (v.articolo).

Un fenomeno favorito dalla governance rigidamente centralizzata di Pechino, che consente di fare piani a lungo e lunghissimo termine, come dimostrato da Made in China 2025, il programma che traccia il solco della rivoluzione tecnologica ormai alle porte.

I ricercatori militari cinesi sono sicuri che la IA introduca una “singolarità” in tutti i campi nei quali sarà applicata, e spingono, supportati dalla attuale dirigenza politica, per fare della Cina la nazione di riferimento globale entro il 2030.

Tra tutti, quello militare rappresenta l'ambito al quale è rivolta una particolare attenzione, soprattutto per le implicazioni che ne derivano sul ruolo di futuro player globale auspicato da Xi Jinping, secondo cui “la tecnologia e la scienza rafforzeranno il potere militare”.

Prima di vedere a che punto è lo stato dell'arte della dimensione militare, e come il pensiero militare cinese prevede di utilizzare la IA nelle operazioni future, è bene capire cosa i cinesi intendono quando parlano di intelligenza artificiale.

Il dizionario dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLA) descrive la AI come: “un’ arma che persegue, identifica, distrugge un obiettivo nemico, costituita da sistemi di raccolta e gestione dati, sistemi di knowledge based, sistemi di assistenza e supporto al processo decisionale, e da sistemi di esecuzione della missione”.

Una definizione ampia e onnicomprensiva, che trae origine dalla convinzione che il prossimo ambiente operativo cesserà di essere “informatized” come l'attuale, cioè caratterizzato da un uso massivo di Information Tecnology network, per trasformarsi in un qualcosa totalmente diverso, intelligented, nel quale l'IA rivestirà un ruolo così preponderante da sostituire addirittura l’agire umano.

La vasta letteratura cinese in materia immagina campi di battaglia futuri nei quali verranno impiegati sistemi, e sistemi di sistemi, “autonomi”1 e non autonomi, in grado di operare su più domini, con un ampio spettro di interventi in diversi settori, non ultimo quello della abilità deduttiva e dalla conseguente capacità decisionale.

L'introduzione dell’intelligenza artificiale in campo militare viene vista come una rivoluzione, al pari di quella introdotta nel XIX secolo col vapore e la elettricità, tale da comportare – rimanendo al campo militare - l’impiego di “sistemi intelligenti direttamente sulla ipotetica linea di contatto, con il compito di elaborare enormi volumi di dati informativi e di situazione, e così decidere autonomamente, e in tempo reale, le linee di azione da intraprendere2.

Si parla quindi di un processo a ciclo continuo, nel quale l’uomo - la “singolarità” cui si faceva cenno poc'anzi - non sarà più chiamato a svolgere, per lo meno a livello tattico, un ruolo diretto (in the loop), ma solo ad assicurare la supervisione sull'intero processo (on the loop).

Elemento, quest’ultimo, che marca una grande differenza di approccio rispetto alla controparte statunitense, che non pone mai l’uomo fuori dal loop per ragioni valoriali (rispetto della vita umana) e per le profonde implicazioni di natura legale (regole di ingaggio).

Al momento gli studi PLA nel campo della AI riguardano:

  • sistemi autonomi e intelligenti senza pilota;

  • fusione e elaborazione di dati;

  • elaborazione di informazioni;

  • capacità difensiva e offensiva in ambiente “info-warfare”;

  • simulazione, wargaming e combat training;

  • supporto al processo decisionale.

Nella continua ricerca di nuovi campi di impiego per l'AI, la competizione con gli USA ha un peso non secondario, per il timore di perdere la gara in corso per la futura “dominance” e non ripetere quanto accadde con la meccanizzazione e la successiva informatizzazione del PLA, che vide la Cina attestarsi ampiamente dietro gli USA.

È questa, probabilmente, la ragione che ha spinto i cinesi a partire dallo studio della Third Offset Strategy, il documento principale con cui il Dipartimento della Difesa USA delineò nel 2014 le capacità di difesa, da acquisire ricorrendo a un ampio uso di robot, di macchine miniaturizzate e droni, e allo sfruttamento di “big data” mediante lo sviluppo di adeguate capacità di calcolo avanzato.

Per avere un’idea dello sforzo intrapreso, basti pensare che nel periodo 2012-2017, gli investitori cinesi hanno speso 19 miliardi di dollari, in 64 differenti progetti di sviluppo legati ai soli campi della robotica e della realtà virtuale.

In questa politica di innovazione tecnologica, a differenza di quanto accade negli USA, dove il settore privato è restio a cooperare con quello della difesa per le possibili limitazioni allo sfruttamento commerciale dei prodotti, la Cina agisce come “sistema paese”, con un continuo scambio tra industria – grande ruolo è giocato dalle tre sorelle BAIDU, ALIBABA, TENCENT (BAT), – e comparto militare, sotto la regia della potente Commissione Centrale Militare guidata da Xi in persona.

BAIDU, il cui capo della ricerca viene da Google, è leader globale nel campo del riconoscimento facciale (con il programma Apollo) e in quello delle macchine senza pilota (programma Duer Os).

SENSE TIME, altro marchio big del settore, lo è nel settore del riconoscimento facciale, mentre IFLYTEK è leader in quello del riconoscimento vocale.

A questa collaborazione, tutta all’insegna del dual use, non è estraneo il mondo accademico.

La ricerca universitaria si sta infatti muovendo nel campo del Deep Learning, che consiste nella ricerca e applicazione di classi di algoritmi per l’apprendimento automatico delle macchine.

Anche quello dello Swarm Intelligence3, rappresenta un ambito di ricerca di grandi prospettive, essendo passati dall’impiego combinato e sincrono di 67 UAV nel 2016 a quello di ben 1000 macchine del 2017. Con enormi ricadute in campo civile e industriale, ma anche con il risultato di “decuplicare” possibili, future applicazioni in quello propriamente militare delle ricognizioni a lungo raggio, del disturbo (jamming) e dello “strike (uno sciame di UAV potrebbe colpire una portaerei con effetti devastanti).

  

1Un sistema si dice “automatizzato” quando agisce principalmente in modo deterministico, reagendo sempre allo stesso modo quando sottoposto ai medesimi input. Un sistema “autonomo”, invece, ragiona su base probabilistica: ricevuta una serie di input, elabora le migliori risposte. A differenza di quanto accade con i sistemi automatizzati, un sistema autonomo, a parità di input, può produrre risposte differenti.

Per saperne di più:

https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/publications/research/2...

3Wikipedia: la “swarm intelligence” (intelligenza dI uno sciame) è un termine coniato per la prima volta nel 1988 da Gerardo Beni, Susan Hackwood e Jing Wang in seguito a un progetto ispirato ai sistemi robotici. Esso prende in considerazione lo studio dei sistemi auto-organizzati, nei quali un'azione complessa deriva da un'intelligenza collettiva, come accade in natura nel caso di colonie di insetti o stormi di uccelli, oppure banchi di pesci, o mandrie di mammiferi. Secondo la definizione di Beni e Watt la swarm intelligence può essere definita come: Proprietà di un sistema in cui il comportamento collettivo di agenti (non sofisticati) che interagiscono localmente con l'ambiente produce l'emergere di pattern funzionali globali nel sistema. (Utile per “visualizzare” il concetto: https://www.youtube.com/watch?v=axxXz2BM0yw)

(foto: The Verge / MoD People's Republic of China / TechNode / web)