La storia può essere vista da molteplici angolazioni; se per Churchill l’agosto del 1948 segna, perdendo l’India, l’inizio del ridimensionamento storico-politico inglese, per Nehru costituisce l’appuntamento col destino, il momento che di rado la storia concede, quello in cui un popolo esce dal passato per fare il proprio ingresso nel futuro..; il momento che fa tornare alla memoria di Lord Mountbatten H.G. Wells ed il suo l’uomo che faceva i miracoli1; l’attimo che sprofonda nell’angoscia Ciryl Radcliffe, suo malgrado responsabile di una spartizione foriera di errori tragici. È la storia di un uomo, Gandhi, simbolo di un’impossibile utopia rifiutata dai musulmani e da quota parte di indù sentitisi traditi, ignaro che il suo Paese aveva iniziato un suo programma nucleare già nel 19442; è la storia di un Paese cresciuto tra le contraddizioni dello smiling Buddha3 atomico, delle guerre contro Cina e Pakistan, delle migliaia di vittime del disastro di Bhopal, degli slum di Calcutta, malgrado tutto per alcuni la città della gioia, delle pire ardenti dei morti di Covid, irrisi da un Paese, la Cina che, mai come ora, in un post pandemia che ha frenato l’apparato politico economico azionato dalla BRI, dovrebbe guardare al proprio tormentato ed antistorico cortile.
L’India, per anni nel superficiale immaginario occidentale, ha rappresentato l’alternativa snob per abbienti imbarcati sullo yellow submarine, è stata espressione di una società incapace di scorgere i lineamenti di politiche che, affibbiata senza troppi rimorsi un’improduttiva e puerile trascendenza al Mahatma, tra le vette del Kashmir musulmano hanno stigmatizzato i conflitti deflagrati e latenti con Pakistan e Cina, e sull’Oceano Indiano stanno ora delineando i contorni della guerra prossima ventura. Un conflitto che non potrà non infiammare il terzo specchio d’acqua del pianeta circondato da passaggi chiave4, ricco di risorse energetiche, minerali ed alimentari, un mare che, dopo la guerra fredda, ha ritrovato la sua verve geoeconomica e geopolitica in funzione della spiccata rivalità tra Delhi e Pechino, accomunate, su un mare a lungo trascurato per le SLOC atlantiche, dalla difesa delle lifelines/lifeblood5 che le spingono a guardare ad occidente, ai giacimenti del Golfo Persico, e verso la costa africana.
Durante l’ultimo decennio, tra gli Oceani Indiano e Pacifico, con il consolidamento del concetto marittimo ed il contestuale incremento del peso politico asiatico, è andata in scena una sovrapposizione di interessi politico-economico-militari, che ha ridefinito equilibri di potenza e rapporti di forza, causata dall’assertiva ascesa del Dragone che, ora alle prese con la prima vera crisi politica, punta a tracciare i confini di una nuova mappa concettuale caratterizzata da un unico arco di continuità.
L’India, pro mari suo, desidera controllare direttamente il suo oceano che, a dispetto della denominazione geografica, è al momento estensione controllata dagli americani per via delle basi in Kuwait, Gibuti, Bahrein, Oman e Singapore da cui sorvegliano l’accesso ai principali stretti.
A fronte del progetto cinese di delineare un nuovo ordine internazionale, il Giappone, attento alle oscillazioni politiche americane, l’Australia, l’India e gli USA, questi ultimi avvinti all’essenziale valenza strategico logistica dell’isola di Diego Garcia, rimangono antagonisti di Pechino, ponendo l’Indo Pacifico al centro di una politica estera polarizzata ed ideologizzata, incentivando una visione integrata politico economica delle relazioni d’area, rilanciando connettività e promozione della libera navigazione, anche alla luce della pandemia che ha costretto i governi a riconsiderare le priorità sanitarie ed i destabilizzanti effetti collaterali.
Indo Pacifico è termine politico, non geografico, ed il suo perimetro muta in funzione degli assunti strategici: per gli USA l’area si estende dalle Hawaii all’India, mentre per il Giappone giunge a toccare le coste orientali africane; sta di fatto che i Paesi usi all’esercizio egemonico, UK, Germania e Giappone non stanno lesinando attenzioni e presenza nell’area6. Se per Mackinder la regione compresa tra Europa Orientale ed Asia Centrale costituiva il pivot geografico per il controllo dell’Eurasia, oggi l’Oceano Indiano può influenzare altrettanto incisivamente la distribuzione del potere; interessanti le osservazioni di Spykman, in The Geography of Peace (1944), dove ha sostenuto l’importanza del Rimland, cioè della regione comprensiva delle terre dell’Ovest, del MO e delle regioni marittime asiatiche che, permettendo l’accesso sia al mare che alle zone interne, ha giustificato l’assunto geopolitico per cui “..who controls the Rimland, rules Eurasia; who rules the Eurasia, controls the destinies of the World”.
Attualmente Russia e India si trovano su posizioni distanti, con Mosca intenta ad interpretare il ruolo dell’ago della bilancia geopolitica, concentrata sul sogno della grande Eurasia, lontana dall’Occidente, sempre più vicina a Pechino, e con l’India incastonata nel diadema anti-cinese a guida USA.
L’India, per Mosca, rappresenta la tessera essenziale del mosaico dell’Eurasia secondo la visione di Evgenij Primakov, teorico del tridente sino russo indiano, mitigatore dell’egemonia americana; un’idea utile al disegno indiano che aprirebbe uno spazio strategico autonomo per Mosca rispetto a Pechino, e che potrebbe consentire l’accesso indiano anche verso le risorse artiche del Cremlino.
L’interesse sino indiano verso l’acquisizione di una proiezione marittima di potenza riflette il pensiero di Mahan, che assegnava il dominio asiatico alla potenza in grado di controllare l'Oceano Indiano quale area entro cui decidere i destini del XXI secolo. Delhi, che ha tenuto a lungo l’Oceano al margine dei suoi calcoli strategici, e che rimane dipendente dalle importazioni di idrocarburi specialmente dopo la pandemia, forte della sua posizione geografica, a partire dagli anni 90 struttura ufficialmente la sua prima dottrina marittima. Una teorizzazione che richiama sia alla difesa di ZEE e SLOC, sia al contenimento della presenza di Pechino, pronta a rievocare la sconfitta inflitta nel 1962, una debacle che suggerisce a Delhi di implementare le forze navali d’altura e quelle subacquee7.
Sullo sfondo il Pakistan, avversario dal 1947, ed avvinto a Pechino da progetti infrastrutturali utili a garantire i corridoi fra lo Xinjiang ed il porto di Gwadar, un’alternativa terrestre alle rotte provenienti dal Golfo Persico, senza contare il sostegno all’Afghanistan, elemento strategico anti indiano ed oggetto di mire che non puntano solo a miglioramenti infrastrutturali ma che riguardano l’accesso a terre rare e minerali valevoli oltre 1 trilione di USD; per compensare lo svantaggio geografico, Pechino non può che puntare a sostenere la propria logistica a lungo raggio.
La posta indo pacifica è altissima, e presuppone il mantenimento del controllo americano su stretti e rotte, secondo dinamiche che hanno ridato vita al QUAD8 e hanno indotto Delhi ad assumere atteggiamenti più assertivi che non possono non considerare l’opportunità di realizzare sistemi d’arma strategici nucleari9 tollerati dagli USA, impegnati al contempo con il JCPOA iraniano. In tema va ricordato che, in caso di una guerra convenzionale come quella del 1971 tra India e Pakistan, la superiorità asimmetrica indiana consentirebbe la celere sconfitta di Islamabad, aspetto questo che ha indotto il Pakistan, reduce dalla perdita dei territori occidentali poi divenuti Bangladesh, ad intraprendere il cammino atomico; se Delhi ha ottenuto la deterrenza nucleare basata su missili balistici a raggio medio e intermedio e su Slbm lanciati dal mare, il Pakistan ha sviluppato una triade atomica in grado di rivaleggiare con quella indiana, con l’adozione peraltro di una filosofia d’impiego diversa e che non esclude il first strike10 alla luce della sua superiorità nelle armi nucleari tattiche di corto raggio e miniaturizzate.
Quanto sono coperte le spalle di Narendra Modi?
I fronti interni aperti sono molteplici: dal malcontento degli agricoltori, timorosi di cadere in balia delle imprese private, alla privatizzazione di più della metà delle banche pubbliche del Paese, con la minaccia rappresentata dall’aumento dei crediti in sofferenza, alla possibile adozione di una criptovaluta nazionale che tuttavia limiterebbe la crescita del mercato finanziario. Modi sta tentando di trasformare l’India in una potenza guida, legittimata a chiedere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza ONU, ed a puntare ad un primato regionale capace di proporla quale modello alternativo a quello cinese.
Particolare interesse rivestono i rapporti tra India e Israele, che condividono una liaison caratterizzata da una diplomazia pragmatica; al di là degli interessi condivisi, esiste un potenziale cooperativo per le questioni nucleari civili, per cui Israele coltiva valide motivazioni strategiche volte ad impedire il trasferimento di tecnologia dal Pakistan ai paesi del MO. Non a caso fino agli anni 90 l’India era esclusa da qualsiasi negoziazione di livello; la rilevanza attribuita al termine Indo-Pacifico sta dunque a significare quanto e come sia variato il quadro, con Delhi divenuta attore inamovibile nelle dinamiche regionali.
Dalla sua elezione nel 2014 Modi ha tentato di compensare l’ascesa cinese con ogni tipo di strumento, potenziando il Look East di Narasimha Rao del 1993 poi Act East, che vuole contenere l’influenza cinese collegando l’India con il Sud-Est asiatico attraverso investimenti in diplomazia economica, rafforzando le relazioni con USA ed attori regionali, contrastando il soft power di Pechino accusato di mirare allo sfruttamento della leva finanziaria grazie alla trappola del debito. L’iter politico rimane comunque impervio, data l’alleanza Cina-Pakistan-Turchia che, appoggiate da Iran e Qatar, supportano formazioni jihadiste in India, secondo una strategia che vuole ingenerare una sindrome da accerchiamento tra Nepal, Kashmir pakistano e Ladakh cinese, cui Delhi ha reagito creando un nuovo ufficio interno al Ministero degli Esteri, la Oceania Division, riguardante la zona Indo-Pacifica, del Sud Est Asiatico, delle Isole e dei paesi tra Thailandia ed Australia, area dove la Cina è quasi ovunque coinvolta in contenziosi marittimi.
Il Kashmir evidenzia poi un’ulteriore rilevanza per le azioni compiute da Jaish-e-Mohammad11, le cui dinamiche sono direttamente collegate all’Afghanistan, dato che il ritiro NATO ha permesso al gruppo di tornare nella sua zona d’origine; al tema jihadista va aggiunto il gruppo combattente qaedista AQIS12, nato con il proposito di portare il verbo di al Zawahiri in India, Bangladesh e parte del Pakistan.
Tenuto conto che senza ambizione non si può nemmeno immaginare una possibile competizione, specialmente nel secolo protezionista della BRI, va rammentato che Delhi, che si percepisce quale erede della potenza navale britannica tenuta al controllo delle marine regionali emergenti, è potenza atomica con un’economia destinata a seguire il percorso ascendente di una demografia esplosiva.
Anche la politica estera ha beneficiato di un nuovo impulso, che ha sfruttato l’onda portata dalle necessità regionali di espansione economica e geopolitica, secondo una strategia che tocca la sicurezza energetica, commerciale ed industriale. Tre i settori chiave: l’implementazione delle relazioni regionali13, l’Act East Policy14, un nuovo ruolo marittimo nell’Oceano Indiano cui associare il Sagarmala Project, programma infrastrutturale che intende modernizzare sei dei maggiori porti indiani sviluppando trasporti ed aree industriali collegate.
Dato il quadro geopolitico continentale particolarmente cangiante, tra espansionismi cinesi, ondivaghe linee politiche USA, lo spostamento dell’interesse russo da Washington a Pechino, per l’India è fondamentale non subire gli eventi, anche a costo di negoziare con il sanzionato Iran per poter godere degli approvvigionamenti di greggio15, comunque vincolati alla forca caudina non aggirabile di Hormuz, altrimenti assicurati dai sauditi.
In ogni caso l’attrito sino americano per Delhi rimane pericoloso, visto che, dopo la Cina, gli USA sono il primo partner commerciale, e che la Cina è la detentrice, per l’India stessa, del più alto deficit commerciale; da un lato Pechino è dunque responsabile del disavanzo commerciale indiano, dall’altro Washington garantisce il surplus che compensa il disavanzo cinese. Forte della sua appartenenza al Movimento dei Paesi non allineati, l‘India non ha stretto alleanze formali né con russi né con statunitensi, cosa che ha favorito la propensione ad intrattenere, a differenza della Cina, un’ampia cooperazione con l’occidente senza soggiacere ad alcuna preclusione verso le iniziative multilateraliste SCO16 e BRICS; di fatto, se non è stato Modi ad aver indotto un diverso atteggiamento geopolitico questo è da ricercarsi nell’aggressività di Pechino, sodale di Islamabad.
Pur non intravvedendosi effettive possibilità di trasformazione dei legami in alleanze vincolanti con le democrazie occidentali, presto o tardi l’India è destinata ad entrare a far parte della schiera dei Paesi con relazioni stabili a carattere anticinese con gli USA, cosa che conferma che, a differenza di quanto avveniva durante la guerra fredda, non è più possibile isolarsi seguendo una terza via.
Personaggio navale indiano rilevante è stato K.M. Panikkar, continuatore ideale di A.T. Mahan e della teoria del command of the seas, che ha spinto la dirigenza indiana a programmare l’allestimento di una world-class Navy volta ad una politica imperniata sul rinnovamento infrastrutturale a terra e su significativi allestimenti operativi, grazie ai quali proporsi a garanzia della sicurezza in tutto l’Oceano Indiano17. Va tuttavia ricordato come le difficoltà di bilancio influiscano su consistenze ed operatività, motivo per cui è stato già annunciato che, nel 2027, invece delle previste 200 navi, l’Indian Navy ne avrà solo 175, e con una pregressa carenza di elicotteri accompagnata da un tasso preoccupante di incidenti18. A tal proposito è opportuno rammentare come, tra Isole Andamane e terraferma, a nord est dell’Oceano Indiano giaccia il Golfo del Bengala, con il centro di Visakhapatnam dove operano il Comando navale orientale, la prima base per sottomarini e dove, poco più a est, insistono le installazioni per i test missilistici.
Ma quanto pesa il non allineamento? Non poco, visti comunque gli incauti FONOP19 di Washington, con cui comunque è stato stretto dal 2016 un accordo logistico navale, e che potrebbero raffreddare non poco gli entusiasmi per le possibili liaison diplomatiche verso un Paese che, peraltro, non ha sottoscritto l’UNCLOS, accordo non del tutto recepito per norme interne nemmeno dall’India.
Che Delhi sia partner da preservare è comunque testimoniato dall’attività diplomatica del CNO20 americano, ammiraglio Gilday, che ha voluto rimarcare il livello di cooperazione tra le due nazioni, forte anche dell’accelerazione impressa dalla Presidenza Biden a seguito del ritiro afghano che, con la vicenda AUKUS21, ha accompagnato l’ascesa del pivot indo pacifico, l’ingenerarsi di dubbi circa l’affidabilità statunitense, la contestuale perdita di rilevanza dei partner europei, a loro volta oggetto di severo esame americano per i rapporti con la Cina. Proprio AUKUS ha indotto il presidente Macron a prendere contatto con il premier Modi per ristabilire una rilevante posizione politica francese in ambito diplomatico, economico e militare, cui non è estranea la fornitura di aerei da combattimento Rafale. Non c’è dubbio che sarà necessario seguire le evoluzioni legate alle decisioni statunitensi circa le possibili sanzioni22 comminabili all’India e conseguenti all’acquisto del sistema di difesa russo S-400, che potrebbe variare sensibilmente la deterrenza pakistana che, squilibrata, potrebbe essere indotta ad effettuare un attacco di decapitazione atto a superare le difese antimissile nemiche.
Interessante la realistica politica del doppio forno da parte di ambedue gli antagonisti sino americani che, impegnati in ambiti complessi, non possono sganciare il quadro economico da quello strategico-militare, dato che, peraltro, le strategie in essere non sembrano essere tutte integrate e coerenti23.
La convergenza tra USA e India si fonda innanzi tutto sul contenimento cinese, visto che nessuno dei due Paesi ha una visione indo pacifica condivisa, relativamente più contenuta quella americana, più estesa quella indiana. La strategia di Delhi punta ad una difesa delle SLOC, necessarie ad assicurare i rifornimenti energetici, con una domanda che compendia una prevista crescita e che giustifica la geopolitica del look West e look East, legato all’Act East, che lambisce l’area estesa tra Hormuz ed i choke points di Malacca, Sunda e Lombok con un’intensa attività di naval diplomacy. Pechino percepisce dunque la minaccia del look East indiano che, da Port Blair nelle isole Andamane, potrebbe interrompere le linee di comunicazione cinesi verso Malacca; tramontata l’ipotesi dello scenario della India-China-Russia chimera, persiste il conflitto d’interessi sino-indiano che, nella sua latenza, giustifica la corsa agli armamenti navali, nucleari, o comunque con gruppi da battaglia oceanici che devono considerare la presenza del soggetto politico più potente, gli USA24.
In sintesi, la relazione sino indiana potrebbe caratterizzare il futuro geopolitico in Asia; al momento l’UE è assente da queste dinamiche, non intendendo rischiare gli interessi commerciali con la Cina. Laddove dovesse deflagrare un conflitto di breve durata, la Cina non ne riceverebbe particolari danni, date scorte e capacità belliche, per cui l’India, sovrastabile per via convenzionale e nucleare, potrebbe trovarsi impegnata su due fronti, il terrestre sulle vette settentrionali e quello anche più pericoloso sull’Oceano, pur se la geografia non agevola il Dragone coprendo le carenze indiane occultate dalle deterrenze coltivate dal 1962.
Al momento l’Indian Navy non può bloccare il traffico nel Mar Cinese Meridionale e nemmeno impedire l’accesso cinese nell’Oceano Indiano; rimangono dunque di fondamentale importanza catene montuose ed estensione oceanica per provare a garantire la sicurezza. Il bilanciamento indiano delle capacità cinesi, oltre che sulla deterrenza militare, deve puntare sul lavorio diplomatico, sfruttando il fatto che Pechino, per il momento, sembra aver optato per l’inopportunità dell’impiego di forze combattenti al di fuori delle zone di immediato interesse, garantendo tuttavia una presenza costante, capace di dissuadere politiche pericolose, come l’eventuale appoggio talebano agli uiguri.
Più realisticamente, Modi sta puntando ad un sistema di rapporti formali e informali utili a mantenere un equilibrio di potenza; in questo senso i rapporti sino indiani rientrano nel congagement, un bilanciamento fluido tra contenimento e cooperazione.
Anche l’Italia ha manifestato l’intenzione di accedere all’area indo pacifica, tentando di associare India e Giappone in un partenariato dove la dimensione marittima è fondamentale; è tuttavia fondamentale non restringere la querelle in un ambito commerciale, dato che l’accezione militare in chiave geopolitica è fondamentale, come dimostra la costante presenza di Marine Nationale, Iraniani ed Israele. Non a caso Pechino ha attuato un’immediata strategia per contrastare l’AUKUS, esercitando pressioni sul Messico per la sua offerta di aderire a un accordo commerciale Asia-Pacifico.
È evidente che i sottomarini AUKUS, in quanto nucleari, non sono destinati solo alla difesa australiana, ma sono indirizzati ad operazioni tali da giustificare, in quanto a tempi e distanze, l’uso di un reattore.
In ogni caso, la globalizzazione impone anche all’Italia, laddove intendesse rimanere un hub commerciale, di guardare all’Oceano Indiano ed ai suoi passaggi. Il problema rimane dunque politico, con una perdurante carenza di voglia di incidere senza la quale risulta impossibile preservare l’indispensabile equilibrio di potenza e gli interessi nazionali.
1 Storia di un inglese che per un giorno veniva investito del potere di fare tutto ciò che desiderava
2 Guidato da Homi Bhabha
3 Nome in codice della prima bomba atomica indiana
4 Capo di Buona Speranza, Stretti di Bāb al-Mandab, Hormuz, Malacca e Lombok
5 linee di comunicazione marittima
6 Londra ha destinato la HMS Queen Elizabeth”, Berlino la fregata Bayern.
7 L’SSK nucleare Chakra, noleggiato dall’India dal 2012, è stato restituito alla Russia in anticipo. Secondo fonti indiane il motivo consisterebbe nella “crescente inaffidabilità all’impianto propulsivo ed in problemi di manutenzione”.
8 Quadrilateral Security Dialogue, accordo strategico diplomatico militare tra USA, India, Giappone, Australia, in risposta all'incremento di potere cinese. Pechino ha reagito con proteste diplomatiche formali.
9 Vd. l’Arihant, primo sottomarino a propulsione nucleare di costruzione nazionale, armato di missili balistici nucleari (SSBN)
10 Recentemente è stata confermata l’esistenza della dottrina “Cold Start” indiana che consisterebbe in un inizio a freddo in caso di escalation degli attriti con il Pakistan. Convenzionalmente le forze indiane verrebbero impiegate sfruttando la superiorità tecnica e quantitativa, per disabilitare la capacità nucleare pakistana.
11 Esercito del Profeta, organizzazione estremista islamica sunnita con sede in Pakistan che conduce principalmente attacchi terroristici nella regione amministrata dall'India del Jammu e Kashmir con l’intento di indurre al ritiro le forze indiane per porre il Jammu Kashmir sotto controllo pakistano.
12 Al-Qaeda in the Indian Subcontinent
13 Bhutan, Sri Lanka, Bangladesh, Myanmar
14 Corea del Sud, Mongolia e Giappone
15 L’India è il terzo più grande acquirente di petrolio al mondo; importa l’85 % di ciò che consuma, oltre al 34 del gas naturale.
16 Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco). Nata come meccanismo per favorire la risoluzione di dispute territoriali tra i sei paesi aderenti – Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. L’Iran è di prossima entrata
17 la strategia indiana nel "Mare Indicum" contiene le tre colonne geografiche portanti della teoria mahaniana: a) costruzione di una blue water navy dotandosi anche di sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare; b) sostegno logistico funzionale alla protezione delle linee di approvvigionamento; c) controllo delle Sea lines of communication, ostacolato dalla strategia cinese del filo di perle.
18 L’India mira a disporre di almeno 3 portaerei e fregate evolute sviluppando allestimenti autoctoni
19 Freedom of navigation operations
20 Chief of Naval Operations
21 Se è ora comprensibile il risentimento francese per la perdita della commessa del secolo, dovrebbe tuttavia essere analogamente comprensibile il precedente risentimento degli altri possibili competitor esclusi dall’appalto
22 Countering America's Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA)
23 Pechino ha dato vita autonomamente nel 2020, all’accordo commerciale Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) – che include (per un totale di 15 membri) alleati fondamentali per gli USA, come Giappone ed Australia
24 Da considerare in proposito il Maritime information sharing technical arrangement (Mista), che stabilisce i protocolli per lo scambio di intelligence in tempo reale migliorando in modo significativo il livello di cooperazione tra la marina indiana e quella USA, e gli accordi di “white shipping” con 21 Paesi per migliorare la consapevolezza della situazione nella regione dell’Oceano Indiano con scambi dinamici di informazioni sulle navi commerciali.
Foto: Indian Air Force / Cremlino / Government of India / U.S. Navy / Indian Navy