Il vero senso della mediazione israeliana

(di Andrea Forte)
09/03/22

Continuare a monitorare se e quali satelliti delle grandi potenze si mobilitano per mediare nel conflitto in Ucraina resta un modo efficace di misurare la situazione. In questo senso è significativo il tentativo di mediazione di Israele, con il suo premier Naftali Bennet. Primo fattore di interesse è che il campo dei mediatori minori si allarga a livello extra-europeo. Vuol dire che si allarga anche il numero dei quadranti geopolitici che dovranno essere considerati nella risoluzione della partita in corso. Il giro da fare per capire il “fattore Israele” in questa crisi è uno dei più tortuosi, ma anche interessanti.

Cosa comporta la presenza di Israele? Che leve ha? È la storia, prima ancora che le potenze coinvolte, a convocare Gerusalemme. Quel buio delle persecuzioni culminate con l’Olocausto. Sia ebrei russi che ucraini furono allora sterminati, sia ebrei russi che ucraini vivono oggi nei Paesi in lotta (ebreo è lo stesso presidente ucraino Zelensky), sia ebrei russofoni (un milione) che ebrei ucrainofoni (250 mila) vivono in Israele, tutti motivi per cui Israele mantiene un’equidistanza strategica. La storia però non è solo numeri, è soprattutto profondità, in questo caso dolorosa. Gli ebrei non emigrarono, è più corretto dire che fuggirono. È la storia delle Aliyah (pellegrinaggio o salita), ovvero della fuga verso la Terra Santa a partire dalle stragi del 1882. Questi perseguitati sono chiamati in Israele olim hadashim (nuovi arrivati).

Giorni fa a Kiev i bombardamenti hanno colpito il memoriale di Babij Yar, che ricorda le 34.000 vittime ebraiche che tra il 29 e il 30 settembre del 1941 furono uccise dai nazisti e dai collaborazionisti ucraini (cosiddetto Olocausto dei proiettili). Ugualmente pochi giorni fa il presidente ucraino Zelensky ha fatto appello agli ebrei di tutto il mondo, affinché non rimanessero in silenzio di fronte all’invasione. Anche fosse solo per questo, Israele non poteva non farsi vivo, per dire ai propri cittadini e alle minoranze ebraiche dei due Paesi in guerra che questa volta la storia è diversa, perché nella storia c’è uno stato degli ebrei che li proteggerà.

Passiamo all’aspetto strategico dell’interesse di Israele nella partita. Il suo principale alleato sono gli Stati Uniti, il suo principale nemico nella regione è l’Iran, con la sua (velleitaria) minaccia di estinzione atomica di Israele. Ora, sia gli Stati Uniti che l’Iran si accingono a firmare un accordo sul nucleare a Vienna, che in sostanza sospenderà la dotazione dell’atomica iraniana in cambio della sospensione della sanzioni anti-iraniane. Quindi principale amico e principale nemico di Israele si stanno per accordare, e il nemico è geograficamente più vicino dell’amico. Tanto più considerando che il nemico è letteralmente ai confini israeliani, essendosi installato in Siria a sostegno del regime di Bashar Assad (e tramite gli Hezbollah dal Libano). Nemico assoluto, vicinanza assoluta, e rischio bomba annesso…per sintetizzare. Ampliamo però lo sguardo. In questa partita c’è anche la Turchia, pesante rivale strategico dell'Iran. Un accordo sul nucleare dunque, se avvantaggia l’Iran, svantaggia la Turchia, e se svantaggia la Turchia avvantaggia la Russia, che ne è il vero grande avversario. Ecco che compare indirettamente uno degli attori della crisi. Svantaggia la Turchia perché l’accordo reintrodurrebbe l’Iran nelle dinamiche mondiali con nuova legittimità e ne rafforzerebbe la stessa presenza in Siria, laddove Siria va tradotto con sud della Turchia. Non solo, nell'accordo sul nucleare anche la Russia deve dare l’ok. Qui si deve però prima evidenziare il fatto che per Israele la Russia non è solo un Paese lontano, “indiretto”. Anche la Russia confina con Israele, poiché anch’essa è in Siria e anch’essa tiene in piedi il regime di Assad insieme all'Iran, è quindi una presenza diretta, ma ha sempre permesso a Israele di attaccare l’Iran sul posto. Analoghi beneplaciti in Siria li dà alla Turchia contro i suoi avversari curdi. Dunque l’abilità della Russia è stata di installarsi nell’agognato Mar (caldo) Mediterraneo, in una zona fondamentale per sganciarsi strategicamente dal contenimento della NATO ai suoi confini europei.

Tradotto, Siria, in quanto sud Turchia, vuol dire anche sud della Nato. Il più grande risultato di Mosca in loco è quindi l’aggiramento del contenimento atlantista in Europa orientale… e in Ucraina! Eccoci arrivati anche all’Ucraina. Giro lungo, si gioca con più palloni e in più campi. Israele l’ha capito. Ora, Israele è consapevole dei suoi limiti e non ha più la forza di impedire la chiusura dell’accordo sul nucleare, ma questo non vuol dire che non possa piegarlo il più possibile a proprio favore. Poiché in un modo o nell'altro quest’accordo coinvolge la Russia, se vuole avvicinarla, deve inserirsi nelle sue dinamiche con la Turchia e l’Iran.

Innanzitutto Israele è una potenza minore, massimamente, ma non assolutamente, autonoma. Vuol dire che Israele non è mai solo Israele, Israele è anche Stati Uniti, nella misura in cui ne è gli occhi e magari l’esecutore in Medio Oriente. Se Israele riuscisse a far male a Mosca, indirettamente favorirebbe Washington. La Russia lo sa. Che di respiro statunitense si tratta lo testimonia anche il fatto che Israele si muove anche nel Caucaso russo. Ad esempio coopera nella difesa (di fatto antirussa) con la Georgia da prima della guerra russo-georgiana del 2008. Lo fa per motivi strategici, non contro la Russia in sé, vuole premere da nord l’Iran. Per farlo definitivamente però non basta Tblisi, perché questa non confina direttamente con Teheran. Serviva, per colpire l’Iran, l’unico dei due Paesi caucasici che ci confinasse davvero a nord e che gli fosse anche ostile (e cioè filo-turco). Serviva dunque l’Azerbaigian, non certo l’Armenia, che dalla Turchia ha subito il primo genocidio del Novecento. Israele ha quindi inviato i suoi droni e missili per sostenere l’Azerbaigian contro l’Armenia nella guerra dell’ottobre 2020. L’Azerbaigian è tante cose, sciita come l’Iran (valore minimo), etnicamente turco (valore medio), estero vicino del Caucaso russo (valore massimo). Se l’Azerbaigian vince sull’Armenia, alleata dei russi e anti-turca, allora c’è un rischio che il valore medio (e turco) suddetto surclassi il valore massimo. Per questo sono intervenuti alla fine i Russi, ma la vittoria azera, dunque turca, dunque del rivale dei russi, c’è stata. Anche grazie a un Israele… Ed eccoci nel Caucaso, cioè a sud della Russia ed ad est dell’Ucraina...

Ovviamente alla Russia non piace, tanto più che permette a Gerusalemme di bombardare il suo nemico numero uno in Siria, ma per Israele è troppo ghiotta l’occasione di vedere il Caucaso non come l’estero vicino russo, ma come l’occasione strategica di far male al nemico assoluto, come tetto dell’Iran, perciò utile a spostare la pressione direttamente ai suoi confini settentrionali, come quello lo fa con Israele dalla Siria. Facendolo inoltre Israele ha contribuito ad avvicinare ancor di più l’Azerbaigian alla Turchia, che vorrebbe disputare ai russi l’egemonia regionale.

Ricapitoliamo il successo di Israele. Si posiziona a nord del nemico iraniano e ne rafforza l’altro avversario, la Turchia, a est. Minimo sforzo, grande tenaglia. Perché questo conta per la partita che qui interessa, cioè russo-ucraina? Perché, lo si diceva, nord dell’Iran è sud della Russia, e Israele non è mai solo Israele, è il braccio degli Stati Uniti.

Se Israele sta diventando un problema, allora perché la Russia accetterebbe una mediazione israeliana? Ragioniamo in termini di potenza e rovesciamo il quesito. Cosa Israele può portare alla Russia nella mediazione?

Israele è uno dei bracci degli Stati Uniti ed è dunque anche a nome loro che va a parlare con Mosca ed eventualmente va a garantire una via d’uscita proprio dal colpo che gli stessi Stati Uniti stanno dando all’economia russa. Sul tavolo non c’è un ritiro israeliano dal Caucaso, troppo vitale per Gerusalemme, ma sembra esserci la possibilità di non inserire l’Iran nel gioco delle sanzioni economiche anti-russe, lasciando un foro di ossigeno economico, necessario anche all’Iran, dopo anni di embargo. È una cosa che gli Stati Uniti possono garantire, proprio perché hanno la possibilità di metterlo nel piatto dell’accordo sul nucleare, che l’Iran ha assoluta necessità di concludere. Ciò rafforza l’Iran, ma non tanto da indebolire Israele. Per questo Israele accetta di mediare. Un doppio sbocco a Russia e Iran azzoppa inoltre la portata della vittoria turca nella guerra del Nagorno-Karabach, riducendola a mera tattica. La Russia potrebbe così anche ribadire il suo dominio nel Caucaso, a dimostrando ancora a tutti che vale la parafrasi del detto, non svegliare il Caucaso russo che dorme. O meglio risvegliare, perché già nel 2008 la Georgia aveva provato ad alzarsi, ma la Russia l’aveva rimessa a letto e vedremo se dopo l’Ucraina vorrà finire con lei.

Conferma quanto detto il fatto che lo stesso giorno dell'avvio di questo tentativo il segretario di Stato americano Antony Blinken si è recato al confine polacco-ucraino a parlare con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Averlo fatto in contemporanea con la mossa israeliana sta dicendo una cosa molto importante agli ucraini, cioè che c’è un mandato americano a quella mediazione e che si può essere occidentali e stare nel campo occidentale, anche senza appartenere all’Unione Europea o alla Nato. Israele, che ha il massimo appoggio Usa senza stare nella Nato e nell’Ue, lo dimostra. Certo, non si può far entrare dalla finestra l’alleanza militare statunitense espunta dalla porta, ma partenariati, anche indiretti, possono esistere. Come a dire, in casa no, ma in giardino sì.

Ugualmente poi vanno fatte tutte le distinzioni del caso. Israele non confina con un grande impero che vorrebbe inglobarlo, ma non per questo subisce minacce meno esistenziali. Praticamente ogni guerra che ha combattuto fino a pochi decenni fa era finalizzata alla sua estinzione, confina con movimenti che hanno per statuto il medesimo obiettivo e deve relazionarsi con una potenza regionale, l’Iran, il cui scopo, per carità retorico (retorico?), è anch’esso quello di farlo sparire dalla carta geografica. Ovviamente qualunque possa essere la formula, questa mediazione non serve a trovarla. Questa mediazione serve a creare un’atmosfera. Svezia e Finlandia non possono essere esempi sostitutivi di Israele, perché di fatto, anche se non di diritto, sono nella Nato. Non è dunque la Finlandizzazione il tipo di proposta geopolitica concreta. Può essere invece la maschera giuridica di un’israelizzazione, intesa come occidentalizzazione, senza appartenenze ufficiali. Verranno comunque vagliate varie forme di neutralità a respiro occidentale, appunto modello finlandese, oppure austriaco…

A riprova di questa intenzione degli Stati Uniti verso l’Ucraina, c’è il fatto che il 7 marzo, Blinken ha incontrato il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid in Lettonia. Incontrarsi in Lettonia. I Paesi baltici sono i falchi estremi del contenimento antirusso. Che il mandante della mediazione e il mediatore si incontrino nel campo duro della Nato il giorno dopo l’incontro di Blinken con Kuleba, serve a dire all’Ucraina che magari il suo Paese non starà ufficialmente nelle case occidentali, ma che un sostegno, pur dietro formule magari di neutralità, è confermato. E tranquillizza i Baltici stessi che il contenimento continua. Che sul piatto ci sia quest’offerta lo chiarisce lo stesso governo ucraino a fine giornata del 6… “Formule non Nato possono essere prese in considerazione”. Tutto questo basta per essere decisivo? No, perché il problema non è solo il campo, ma l’identità. Siamo qualcosa? Abbiamo diritto a esistere? E a scegliere? Queste sono le domande degli ucraini, non a se stessi, ma agli occidentali e ai russi.

Si può allora affermare che il tentativo israeliano serve ad allargare le considerazioni ad altri quadranti, perché questa partita è talmente grossa che non sarà risolta in se stessa, ma tenendo conto che molte situazioni geopolitiche ne vengono scosse e bisogna prendere le misure di questo urto. Israele serve ad apparecchiare questi tavoli attorno al tavolo della trattativa sull'Ucraina.

La mediazione finale avverrà dunque in una sala da pranzo con tanti tavoli, tanti attori invitati, tanti camerieri e soprattutto tanti conti da pagare. Israele non serve a decidere, ma a decifrare per decidere nuovi equilibri. La variabile sono gli ucraini. Sia i nemici che gli amici cercano di capire quale parte fargli recitare, se invitati o piatto. Loro stessi lo sanno, e sanno che l’unica finestra che ne aumenta le chances è che se piatto dev’essere, che la Russia si strozzi in una massacrante guerriglia di resistenza.

Foto: archivio Cremlino