Il trattato di Aquisgrana e la morte dell'Europa

(di Andrea Gaspardo)
05/03/19

Mentre il mondo attende con il fiato sospeso sia il compiersi di una ormai quasi inevitabile “Hard Brexit” sia le tanto temute elezioni europee del maggio 2019 che dovrebbero spalancare le porte dell'Europarlamento ai partiti euroscettici, un altro evento di portata non secondaria dovrebbe aggiungere ulteriore preoccupazione ai pensieri di tutti gli eurofili del nostro continente. Il 22 gennaio 2019 infatti, sullo sfondo della splendida cornice della città di Aquisgrana (Aachen in tedesco), alla presenza del presidente della repubblica francese, Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron, e della cancelliera federale della Germania, Angela Dorothea Merkel, é stato firmato il “Trattato Franco-Tedesco di Cooperazione ed Integrazione”, altresì noto come “Trattato di Aquisgrana” che, nelle intenzioni dei firmatari, dovrebbe completare il precedente “Trattato dell'Eliseo” del 22 gennaio 1963 firmato da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer.

Il nuovo trattato si compone di 28 articoli e si propone di approfondire ulteriormente le relazioni franco-tedesche in modo da accelerare il processo di integrazione tra le due potenze europee. Punti cardine della nuova intesa sono:

  • l'istituzione di un “consiglio di difesa e di sicurezza franco-tedesco” che dovrebbe coordinare le azioni di difesa comune in caso di aggressione militare esterna così come lo scambio di informazioni per agevolare le operazioni di lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata anche mediante una più stratta collaborazione nel campo dello scambio di informazioni d'intelligence e del coordinamento dei sistemi giudiziari;
  • la creazione di un “consiglio di esperti economici”, formato da dieci membri indipendenti che avranno il compito di gestire il coordinamento nei campi della politica estera e di quella economica. In particolare i membri di questo “consiglio” dovrebbero formulare le premesse per la creazione di un vero a proprio spazio economico franco-tedesco caratterizzato da regole comuni;
  • la costruzione di nuove infrastrutture sia fisiche che digitali le quali dovrebbero agevolare sia il processo di interazione economica che lo spostamento delle persone tra i due paesi, premessa per un'intensificazione anche dei rapporti culturali;
  • l'istituzione di una “assemblea parlamentare in comune” formata da cento deputati francesi e tedeschi che dovrebbero gestire tutto il lavoro connesso ai punti sopra citati.

Il sospetto legittimo è che le élite politiche delle due “potenze architrave” dell'Unione Europea abbiano deciso di “spingere l'acceleratore” sulla via dell'integrazione europea senza aspettare gli altri membri dell'Unione ormai in crisi profonda. Secondo questa interpretazione, la fuoriuscita del Regno Unito dalla casa comune europea, il risorgere prepotente dei nazionalismi e le pressioni provenienti dagli Stati Uniti di Donald Trump, desiderosi di sbarazzarsi di un pericoloso rivale commerciale come l'UE, avrebbero inferto negli ultimi tre anni una serie di colpi mortali ad una struttura politico-economico-diplomatica ormai non più in grado di auto-riformarsi. Di conseguenza, è meglio “salvare il salvabile” e preservare “l'Asse Franco-Tedesco”, magari successivamente allargato al Benelux, (sulle orme dell'antico Impero Carolingio) dando una nuova chance almeno al “nucleo irrinunciabile” dell'Europa.

Estremamente contraddittoria è stata la reazione delle autorità di Bruxelles; se il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha applaudito entusiasticamente all'iniziativa, il presidente del Consiglio d'Europa, Donald Tusk, si è legittimamente augurato che “tale progetto sia utilizzato a vantaggio dell'Europa Comunitaria e non contro di essa”. L'Italia, come al solito, non pervenuta.

Foto: Présidence de la République / Bundesregierung