Il Piano B di Savona e gli scenari dell’Europa di domani

(di David Rossi)
13/07/18

Pacta sunt servanda? Si, certamente: però, quando vi sia un minimo di lealtà anche dall'altra parte. Ed invece, noi italiani abbiam sempre osservato i patti, i tedeschi mai. Insomma, la nostra lealtà non fu mai contraccambiata. Noi non saremmo, in ogni caso, dei traditori ma dei traditi”. Le parole del memoriale difensivo di Galeazzo Ciano suonano sinistramente familiari, alla luce del riferimento alla teoria del “Cigno nero” fatta dal ministro Paolo Savona: “Potremmo trovarci in una situazione nella quale non saremo noi a decidere, ma saranno altri. Per questo dobbiamo essere pronti a ogni evenienza”. Durante il processo di Verona, Ciano risponde alle accuse relative all’implementazione dell’Ordine del giorno Grandi, “Piano B” del Gran consiglio del fascismo: dopo poche ore, Mussolini si trova circondato e trasferito a forza dal Quirinale a Campo Imperatore sul Gran Sasso. E dall’ex palazzo dei Papi parte l’ultima parte della nostra disamina in tre articoli.

Nei nostri precedenti scritti ci siamo soffermati sulle conseguenze politico-economiche e sui casi analoghi di rottura di unioni di stati seguendo la trama della famosa “guida pratica per uscire dall’Euro” scritta dall’attuale responsabile dei rapporti con l’Europa e abbiamo sottolineato a più riprese la mancanza di un’analisi seria dei rapporti istituzionali: ora, in quest’ultimo articolo, prima di approfondire l’analisi del fenomeno “Italexit”, chi scrive invita il lettore a porsi nello studio del presidente della Repubblica al Quirinale, ad ammirare la scena che gli si para di fronte, al momento in cui - avendo mantenuto efficacemente la segretezza e essendo riusciti a vergare dei decreti legge allo scopo di portare l’Italia fuori dall’Eurozona tra il venerdì sera e l’apertura dei mercati il lunedì mattina - alla fine i leader salgono sulle auto di rappresentanza e chiedono di incontrare il capo dello Stato. Già, perché serve la sua firma: senza questa formalità, i pezzi di carta faticosamente predisposti dalle massime autorità economiche e politiche del Paese, valgono quanto la carta su cui sono scritti.

Eccoci, disposti lungo le pareti, lo scrivente e voi lettori, tutti ammirati dagli stucchi e dagli affreschi: sentiamo i passi trafelati dei massimi esponenti del Governo picchiettare sui marmi, mentre il presidente1, cercando di mantenere l’aplomb data l’ora tarda e ignaro su cosa sia preparato in segreto2 per il Paese, li attende. Ecco i suoi ospiti entrano, madidi di sudore: qualcuno vuol indugiare nei saluti, qualcuno vuol arrivare al sodo; alla fine, il presidente si ritrova tra le mani i decreti. Forse non digiuno di cultura classica, il padrone di casa del Quirinale comprende quale sentimento filo-repubblicano animasse Bruto e Cassio, incapaci di immaginare che la Storia ne avrebbe fatti i simboli del tradimento. Lo stesso fuoco arde evidentemente dentro costoro. Ora, sta a lui: diventerà l’ultimo dei cesaricidi dell’Euro? Chi scrive e il lettore sono ancora lì e con ogni probabilità osservano un rifiuto: anche solo per il fatto di non essere stato coinvolto e di doversene assumere ora la responsabilità politica e morale, il presidente non ha interesse a intingere il dito nel sangue. Ce lo immaginiamo traccheggiare, porre questioni di lana caprina come Don Abbondio davanti a Renzo, chiedere di consultare tizio e caio, mettendo a rischio il segreto e il progetto… Insomma, un conflitto personale e politico degno di quello nell’animo di Vittorio Emanuele III davanti a Benito Mussolini nel luglio del 1943! E pensiamo che la storia finisca per ripetersi: forse non con duecento carabinieri a prelevare i malcapitati… ma per lo meno con un rifiuto per forza di cose tragico per una delle parti. E per il Paese.

Abbiamo celiato il lettore, perché vogliamo provare, come in questo caso, a fare alcuni passi insieme, stavolta fuori dai saloni, dai cortili e dai giardini del Palazzo del Quirinale, immaginando in quali condizioni si possa uscire dall’Euro, ponendoci di volta in volta in panni diversi, perché l’uscita dall’Euro non è una cosa per tutte le stagioni! Faremo riferimento a tre semplici scenari su quattro possibili:

  • Uscita dall’Eurozona per gravi motivi interni all’Italia

  • Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni periferici

  • Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni centrali

Il quarto scenario, l’uscita senza gravi motivi, non ci pare serio da considerare: chi si sottoporrebbe volontariamente a una chemioterapia essendo scientemente sano?

Lo faremo incrociando ciascuno scenario con uno stato diverso dell’economia in Italia: essendo, chi scrive, fortemente anti-marxiano e non considerando il quadro economico come centrale, è importante considerare questo “stato dell’economia” come riflesso anche di aspetti politici, demografici, culturali ecc. Per semplificare, abbiamo individuato tre “stati”:

  • Lo scenario britannico (o svizzero): l’Italia ha relazioni economico-politiche internazionali tali da poter prescindere in gran parte dai partner e clienti dell’Unione Europea: come il Regno Unito, ha relazioni di successo con Stati Uniti, Cina, India… e un vero e proprio network di “soci” ed “ex soci”; come la Svizzera, ha una solidità finanziaria da grande potenza e l’abitudine a resistere in condizioni di assedio contro gli interessi strategici del Paese.

  • Lo scenario della media potenza decadente: è più o meno quello che conosce chi ha vissuto la stagione iniziata nel 1992. Chi scrive lascia al lettore l’immaginazione dei dettagli…

  • Lo scenario greco (o cipriota): l’Italia ha una crisi interna di eccezionale gravità in corso. Il sistema politico e quello economico-industriale non riescono a trovare una soluzione, mentre istituti di credito di dimensioni sistemiche sono di fatto falliti. Le relazioni internazionali sono marcate da una sfiducia ormai cancerogena.

Ora proviamo a incrociare gli scenari…

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi interni all’Italia essendo il Paese in uno scenario britannico (o svizzero)

Dopo anni di sviluppo travolgente, con le riserve valutarie ai massimi di sempre, si innesca una crisi economica che coinvolge una o più delle maggiori istituzioni del Paese. Chi scrive, pur non essendo euroscettico, ritiene che la classe politica si trovi, in questa foto, come i leader del Pentapartito alla fine dei rutilanti anni Ottanta: incapace di rinnovarsi e di prendere decisioni persino per la propria conservazione. Il Paese da decenni ha l’abitudine di cancellare con una mano quello che ha scritto con l’altra: è uno scenario da Italexit affrettata e, purtroppo, somiglia molto a quanto fatto nel 1992, quando il governo e la Banca d’Italia, guidati da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, fanno scempio delle riserve valutarie in Dollari della banca centrale, bruciando quasi il 5% del PIL in pochi giorni per resistere alla speculazione. Diverso è il caso di un’uscita ragionata o della negoziazione di condizioni di “most preferred” pur di lasciarsi trattenere nell’Eurozona: non dimentichi il lettore la premessa del network di relazioni internazionali già costruito e della buona salubrità finanziaria di fondo.

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi interni all’Italia essendo il Paese in uno scenario di media potenza decadente

Chi legge, ignori gli ultimi punti dello scenario precedente: in questo scenario non abbiamo amici potenti ma siamo nella melma, anche se ancora con la testa fuori. È quanto abbiamo sperimentato, almeno in parte, nel 2011-12, all’epoca della crisi dei debiti sovrani. Probabilmente, è il teatro ideale per lo psicodramma politico di cui sopra: una classe dirigente euroscettica o convertita all’euroscetticismo che rigetta un’operazione di tipo “Troika” e preferisce accreditarsi come liberatrice del Paese dal Leviatano di Bruxelles. Chi scrive accompagna di nuovo il lettore sulla soglia dello studio dove si fronteggiano il capo dello Stato e il governo dell’Italexit e lo invita a mettersi ora nei panni dell’uno, poi in quelli degli altri. Nel primo caso, dopo aver tentato ogni ragione, si trova al bivio: per capire di cosa si parli, il lettore deve solo ora calarsi nei panni dei “cesaricidi” dell’Euro. Ecco, il presidente è inamovibile: anzi, sta probabilmente per annunciare al Paese e al mondo il suo “rifiuto”, provocando non il fallimento dell’operazione stessa, ma senz’altro quello personale e politico dei suoi protagonisti, che il Paese giudicherà con stima o con odio come è successo in Spagna ai leader indipendentisti catalani. Ma il lettore, ancora bardato da leader, ha una carta da giocare: può aver predisposto la sostituzione del capo dello stato col presidente del Senato3, magari più amico. Ma questo è uno scenario da “guida pratica per un colpo di stato”, per il quale rimandiamo all’edizione in lingua turca del 2016, non ancora tradotta in Italia…

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi interni all’Italia essendo il Paese in uno scenario greco (o cipriota)

“Dove è il cadavere, ivi saranno gli avvoltoi”. Senza disturbare il Vangelo, ci pare che questo scenario renda l’idea di una guerra perduta. Probabilmente, è il Cigno nero di cui parla il ministro Paolo Savona. Ce n’è abbastanza da spezzare il Paese in più parti o per vedere duecento carabinieri fare irruzione a Palazzo Chigi mandati in modo preventivo dal presidente, per fermare un complotto foriero di scatenare una guerra civile. Che Dio ce ne scampi…

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni periferici essendo il Paese in uno scenario britannico (o svizzero)

Premessa: Paesi periferici sono quelli, per così dire, non core dell’Eurozona: Portogallo, Grecia, Slovacchia ecc. Hanno economie piccole, ma saturano le istituzioni finanziarie dei Paesi “centrali” con i loro titoli e derivati. Questo scenario può essere la vigilia di una crisi delle potenze leader, se non controllato da Bruxelles (e da Berlino). Avendo un quadro economico invidiabile, possiamo con libertà decidere come collocarci in merito alla solidarietà europea: una crisi locale non ci tocca (a meno che non riguardi un “cliente”), così come potrebbe non costituire una minaccia strategica l’allargamento della stessa al “nocciolo” dell’Unione Europea. Roma da del tu a Pechino, Washington, Londra e New Delhi: come gli Alleati nel 1938, possiamo prender tempo e decidere di non morire per Praga e Vienna… Che bella cosa deve essere vivere come gli Svizzeri, governare un Commonwealth ma abitare in Italia!

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni periferici essendo il Paese in uno scenario di media potenza decadente

Stavolta non siamo stati noi, ma qualcuno se la prende lo stesso con l’Italia: siamo uno dei PIGS anche se le nostre famiglie e imprese sono tra le meno indebitate d’Europa. Dato che siamo permalosi, decidiamo di uscire dall’Eurozona per fargli vedere i sorci verdi di prodiana memoria. Il lettore ci raggiunga di nuovo nello studio del presidente e si prepari a assistere alla scena dell’uscita dei protagonisti…con le loro gambe e soprattutto, senza i duecento carabinieri al seguito. Già, perché alla fine l’Italia non sta affondando: il tentativo di imporre l’Italexit al presidente fallisce, ma con un compromesso alla buona; cioè, che il presidente non annuncerà il suo rifiuto ma si dovrà cominciare un dibattito politico nel Paese, a partire dal giorno dopo. I leader, un po’ scornati, già ponzano sulle impennate della loro popolarità per tutto il tempo della campagna anti-Euro.

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni periferici essendo il Paese in uno scenario greco (o cipriota)

Se Atene piange, Sparta non ride. Due scenari fa, dicevamo che una crisi localizzata ma periferica potrebbe espandersi a un Paese core. Ecco, l’Italia è il primo candidato, in questo scenario, a venire attaccata dagli untori. E come tutti i potenziali malati, può reagire ritenendosi già spacciata e cercando in ogni modo di fuggire a tale triste destino “svignandosela” dall’Europa. Ma per andare dove? E con quali mezzi? Siamo “centrali”, ma già in condizioni critiche. Il presidente, in questo scenario, non si fa scrupoli di ridicolizzare i gagliardi euroscettici: come ricordano i libri sull’armata italiana in Russia, non si combatte una guerra con gli stivali di cartone e le pezze sui calzoni. Nemmeno la gloria drammatica dei duecento carabinieri…

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni centrali essendo il Paese in uno scenario britannico (o svizzero)

Il lettore ricorda che un ex segretario dei DS intento a vantarsi che il suo partito ha una banca. Ecco, ci sono almeno tre Paesi core in Europa dove alcuni banchieri possono vantarsi di avere una nazione. Peccato che non tutte queste banche con sede nel nocciolo dell’Unione siano modelli di salute finanziaria. Immaginiamo che all’improvviso la Fortuna chieda loro conto di investimenti in derivati che valgono 5, 10 o 15 volte il PIL della Francia o della Germania. O di entrambe insieme. L’Italia se ne sta sorniona, come Re Salomone in trono: il lettore crede che Roma conosca il significato di “solidarietà europea” in un simile frangente? O piuttosto rielaborerà la teoria del “coltello nella schiena”? Il lettore e chi scrive immaginano, probabilmente, il presidente intento a leggere un paio di volte i decreti “Italexit”, giusto per essere sicuro di porre il sigillo su una cesura ben fatta. Altro che cesaricidi: che aspettavate a venire prima?

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni centrali essendo il Paese in uno scenario di media potenza decadente

Il lettore e lo scrivente dimentichino il sapore dolce dello scenario precedente. Qui, ci sono lacrime e sangue: probabilmente, i partner europei si trovano di fronte a più di un dubbio sul futuro dell’Eurozona e iniziano a trattare circa un backup option. Chi scrive ritiene che, in questo scenario, il presidente si sieda a leggere i decreti, ma non li firmi. Non è mai stato nello “stile” dell’Italia spengere per prima una fiammella ammosciata: troppa responsabilità.

Uscita dall’Eurozona per gravi motivi esterni centrali essendo il Paese in uno scenario greco (o cipriota)

Siamo stati noi a contagiare il nucleo? O un Paese periferico? Fatto sta che le sensazioni devono essere le stesse di Vienna e Budapest nel novembre 1918 o di Mosca nella seconda parte del 1991. È la fine dell’Euro e dell’Unione come li conosciamo. Scenario imprevedibile in cui comunque rischieremmo di fare la figura del vaso di coccio tra i vasi di ferro. Di nuovo, vale l’antico principio del non assumersi troppe responsabilità senza vantaggi immediati: il presidente, davanti al nostro sguardo trepidante, non firma di certo i decreti. Ma la paura di finire travolti dal crollo di Eurolandia è tale che qualcuno inizia a sfogliare il manuale del golpe, pur di non venire travolti. Scenario da 8 settembre…

In conclusione, i costi e i rischi di un’uscita dall’Euro, come analizzati nel nostro primo articolo, possono essere gestiti al meglio solo in due scenari: quelli in cui l’Italia è una potenza regionale con un solido network di relazioni e un quadro economico-finanziario positivo, con una crisi importante in atto nel cuore o nella periferia della costruzione europea. In tal caso, possiamo parlare di un’uscita per opportunismo. In tutti gli altri casi, l’Italexit appare come un intollerabile salto nel buio o, addirittura, come un passo non naturale per il nostro popolo e la sua cultura politica.

   

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1 Nessun riferimento a Sergio Mattarella o altri politici: chi scrive non si rivolge a personaggi della cronaca.

2 Il capo dello Stato non risulta nell’elenco delle personalità indicate come aventi causa nell’implementazione del Piano B.

3 Non parliamo dell’attuale, senatrice Alberti Casellati.

(foto: web / Arma dei Carabinieri)