Il destino dei migranti alla mercè dei giochi diplomatici europei

(di Ivano Fiorentino)
07/10/16

Dopo sei mesi dall’implementazione dell’accordo con la Turchia, il fenomeno migratorio verso il cuore dell’Europa continua a caratterizzare le cronache dei quotidiani e infiamma il dibattito politico nazionale e internazionale. A causa della sempre maggiore sovrapposizione del tradizionale flusso dei migranti con quello dei rifugiati, la movimentazione di individui verso l’Europa ha ormai raggiunto caratteri inquietanti.

Di fatto la polarizzazione di mixed migrants verso le aree a maggior tasso di sviluppo troverebbe in parte una sua giustificazione nei principi base della società capitalistica, come d’altronde teorizzato dallo stesso A. Smith. Oggigiorno, tuttavia, l’aspetto drammatico e paradossale della vicenda è rappresentato dal fatto che questa mobilità del fattore lavoro non è più solo l’espressione di un fenomeno “naturale”.

Le guerre e le crisi economiche vengono sempre più identificati quali principali push factors che spingono verso le coste italiane e greche centinaia di persone al giorno. Una massa di disperati, con un passato da dimenticare e quasi certamente senza un futuro, che ha messo a nudo le lacune dell’Unione Europea.

Nel corso degli ultimi otto anni si stima che oltre due milioni di persone in stato di bisogno, regolarmente registrati, hanno raggiunto l’Europa (di cui circa un milione solo nel 2015). Dall’analisi dei dati dell’International Organization for Migration (IOM) si evince chiaramente che il corrente flusso dei migranti lungo la rotta centrale del Mediterraneo verso l’Italia risulta in linea con l’andamento stagionale degli anni precedenti. Dall’inizio del 2016, nonostante gli sforzi della Comunità Internazionale (per esempio con le operazioni: UNSMIL, EUBAM Libya e EUNAVFORMED), il volume complessivo annuo di sbarchi in Italia ha superato ancora una volta quota 130mila.

Parimenti, il quadro situazionale nella terra ellenica non appare certamente più incoraggiante. Senza ombra di dubbi le statistiche ufficiali sembrano avvalorare l’efficacia dell’accordo EU-Turchia, eppure ci sono due aspetti da evidenziare. Prima di tutto, dopo il golpe estivo in Turchia il numero di sbarchi giornalieri sulle coste greche mostra una tendenziale crescita. A ciò va aggiunto che dopo la chiusura della rotta balcanica, oltre 70mila mixed migrants in attesa di una risposta dall’Europa sono bloccati in Grecia. Tale situazione contribuisce ad aumentare le tensioni interne e gli incidenti, come quello dell’isola di Lesbo (19/09/2016), dove un centro di accoglienza è andato a fuoco. Anche se le cause sono ancora in fase di accertamento, ciò costituisce un evento da non sottovalutare, perché anche in altri Paesi (non solo europei), fenomeni simili alimentati dalla psicosi xenofoba possono significativamente aumentare. 

In termini generali, il caso greco e quello italiano in questo particolare momento storico presentano molte similitudini. Ma un aspetto che richiede ulteriore attenzione, e che l’Europa (coi suoi centri di early warning e assessment) deve prudentemente valutare, è rappresentato dal crescente numero di richieste di asilo in Italia nel corso del primo semestre del 2016. Le cause di detto fenomeno sono da ricercare nelle limitazioni lungo le alpi e nelle restrizioni imposte ai migranti nella maggior parte dei principali Paesi del nord Europa. E pertanto, alla luce dei dati attuali e confermando gli andamenti degli ultimi due anni, in linea col progressivo aumento di persone in stato di bisogno provenienti principalmente dall’Africa subsahariana, si stima che per la fine dell’anno l’Italia riceverà almeno altri 30 – 40 mila mixed migrants. Numeri che metteranno ulteriormente a dura prova il sistema di accoglienza nazionale, che già ospita oltre il doppio dei volumi greci (secondo le stime ufficiali oltre 160 stranieri).

L’Italia rischia di essere messa sotto pressione. Non solo fronteggiare con slancio solidare la crisi dei migranti, ma contestualmente affrontare con rigore la stabilità economica. E’ uno scenario inquietante, alimentato peraltro dall’atteggiamento bigotto e paradossale dell’Europa. In realtà, mentre nei principali summit e consessi internazionali, l’Europa e i suoi membri hanno unanimemente sposato la causa di affrontare in modo risoluto e comprehensive la piaga della migrazione, sul piano pratico invece vengono adottate politiche individualistiche (come la costruzione di muri lungo i confini). Azioni che inevitabilmente penalizzano gli altri Stati, e nello specifico quelli frontalieri.

In questo accenno di patogenesi delle complicanze associate alla migrazione e soprattutto i rischi per l’Italia, sembra sempre più evidente che il fenomeno migratorio verso l’Europa non è un’opportunità di sviluppo. Tenendo conto dei risvolti politici, essenzialmente di carattere regionale, la migrazione diventa invece uno “strumento strategico”. Un’arma che potrebbe essere utilizzata/sfruttata da attori statuali (e non) per consolidare i propri interessi sovranazionali/nazionali.

Addirittura, in questi ultimi mesi il tema della migrazione assume sempre più un ruolo determinante negli esiti elettorali. A seguito del crescente rischio di attentati nel cuore dell’Europa e dopo la BREXIT, quasi certamente per opportunismo politico, la Germania e la Francia sembrano prendere maggiormente le distanze da politiche a favore dei migranti in campo regionale.

In questo quadro di riferimento, l’assenza di misure attagliate per i principali Paesi origine e l’ottusità dell’Europa nel porre in essere e in modo credibile azioni concrete (vedasi in primis il piano di ridislocazione dei richiedenti asilo fermo ad una soglia del 3% di implementazione) sono elementi che alimentano inevitabilmente un cocktail pericolosissimo che prima o poi porterà l’Italia ai margini dell’Euro zona.

Per questo motivo, le recenti mosse del Premier italiano in campo internazionale, in materia di migranti, appaiono non solo coerenti, ma soprattutto giustificate. In linea con le dichiarazioni del summit europeo di Bratislava, anche nel corso di quello di New York per migranti e profughi, Renzi ha incentrato il suo intervento sulla necessità da parte dell’Europa di fare di più, anche per il continente Africano. Per di più, in situazioni estreme, l’Italia si è detta pronta ad agire da sola a favore dell’Africa! A questo punto come deve essere interpretata detta inequivocabile presa di posizione? Potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo braccio di ferro in campo diplomatico? O al contrario l’inizio di una nuova epoca di feconda collaborazione per sviluppare azioni concrete in ambito europeo?

A supporto della posizione italiana ci sono poi le considerazioni e proposte sviluppate nel rapporto del Overseas Development Institute. Con dati alla mano, viene posto in evidenza che la politica europea per gestire la crisi dei migranti, incentrata su deterrenza e chiusura dei confini, non solo risulta molto costosa (oltre 17 miliardi di euro negli ultimi due anni) ma al tempo stesso si è rivelata anche inefficace. Le organizzazioni criminali riescono ad adattarsi e trovare nuove vie per movimentare centinaia di persone su base giornaliera verso i confini europei. Basti pensare che in Egitto il numero di migranti è aumentato nel corso dell’ultimo semestre, e il recente incidente al largo delle coste egiziane (con oltre 600 morti) sostanzialmente lo confermerebbe.

In questo scenario dalle tinte tenebrose, inderogabilmente si avverte l’esigenza di rafforzare una strategia condivisa e di lungo termine per affrancare le root causes del circolo vizioso della migrazione ai tempi della globalizzazione. Ma affrontare questa problematica, significa richiamarne altre, come: le aree di crisi nelle regioni del Medio Oriente e Nord Africa, a cui sono associate le tematiche del terrorismo internazionale e dei foreign fighters. Ecco dunque che oggigiorno la vera sfida è rappresentata dallo scontro / armonizzazione di due principi. Da un lato quello umanitario dell’accoglienza e dall’altro la difesa territoriale e delle identità nazionali.

Per concludere, alla ricerca di immagini di sintesi di questa odissea dei mixed migrant polarizzati verso l’Europa, può essere utilizzata la “zattera della Medusa” (del pittore Géricault). Dopo due secoli, col suo realismo, drammaticità e soprattutto simbolismo, è possibile capire come il destino di migliaia di uomini, donne e bambini in stato di bisogno è sostanzialmente alla mercé delle decisioni politiche e dei rapporti diplomatici in campo europeo. Ne consegue, dunque, che le ambiguità diplomatiche, le negligenze o anche solo un ritardo nelle decisioni, significa inevitabilmente condannare ad un infausto destino questi migranti, al pari di quello che fu per l’equipaggio della “Medusa” nelle acque al largo delle coste occidentali dell’Africa. 

(foto: "La zattera della Medusa", Théodore Giscault, Louvre)