I vaccini cinesi nel giardino di casa USA

(di Andrea Forte)
12/07/21

Il virus Covid-19, come i vaccini che lo combattono, riguardando la vita e la morte delle persone, coinvolgono massimamente la potenza. Produrre vaccini efficaci e usarli come arma diplomatica sono tutti segni della potenza di un Paese.

Le tre principali potenze del pianeta: gli Stati uniti, la Cina e la Russia, hanno tutte prodotto e stanno esportando vaccini. Ma tra la potenza globale e le altre è emersa una differenza nella prima fase di disponibilità vaccinale. Gli Stati Uniti hanno distribuito all’inizio numeri di vaccini insufficienti, lentamente e praticamente solo ai propri alleati, e hanno vaccinato in massa prioritariamente i propri cittadini, il loro fattore umano in senso stretto, base della loro potenza.

Opposto è stato l’atteggiamento di Cina e Russia, da subito impegnate in una campagna di diffusione mondiale dei loro vaccini, anche a costo di comprimere la disponibilità domestica dei medesimi.

Gli Usa, non coltivando i propri satelliti (soprattutto i Paesi dell’Unione europea) con numeri di vaccini da “attacco”, hanno accettato un danno d’immagine, una crepatura del proprio soft power di protettori del benessere del loro campo di forze.

Perché? Domanda tanto più urgente, se si pensa che una delle area di diretta diffusione dei vaccini antagonisti a quelli statunitensi è stata proprio la regione latino-americana. Ovvero il giardino di casa degli Stati Uniti. Apparentemente massima provocazione, se non addirittura massima minaccia.

Apparentemente. Gli Stati Uniti sono già dominus globale, non hanno bisogno di sfidare, ma necessità di mantenere il proprio dominio, e per farlo hanno ritenuto più funzionale corazzare il proprio fronte sanitario interno, e solo dopo andare ad aiutare in massa i “propri” spazi d’influenza (sempre Europa in primis), cercando di recuperare il proprio soft power. I presupposti della disponibilità statunitense a farsi far male dai rivali strategici sta nella loro convinzione che la partita dei vaccini abbia il fiato corto, tattico, non strategico. Ovvero non cambia la sostanza delle dinamiche geopolitiche in corso.

È utile a far conquistare qualche beneficio d’immagine, ma la loro produzione arriverà a miliardi e miliardi di dosi, e la loro stessa disponibilità, sempre più mondiale e meno urgente, renderà la loro portata geopolitica più limitata.

Gli stessi competitor degli Usa sembrano saperlo. In particolare la Cina, che sta sì cercando di insediarsi anche in America latina, ma non è pronta a competere davvero ora con gli Usa.

Inviare vaccini proprio nel loro cortile, è una provocazione più millantata che reale, perché le vere crepe del potere nordamericano nel continente, che sono Venezuela e Cuba, servono alla Cina più che altro a due motivi, raccogliere conoscenze e isolare Taiwan.

Primo punto. L’idea cinese è acquisire conoscenze sanitarie utili ad un fronte sanitario interno, cinese, non così robusto, soprattutto in termini esperienza del personale, dimostrandolo proprio a Cuba, dove è la Cina ad aver chiesto, in cambio di risorse e logistica, di poter collaborare nella creazione di un vaccino (il Pancorona). Il tutto per acquisire un know how a fine interno e specializzarsi al punto da sfidare gli Usa nel campo sanitario mondiale, per definire i parametri della sanità futura.

Che l’obiettivo sia raccogliere conoscenze lo dimostra anche quanto sta avvenendo in Venezuela, dove, prima ancora dei vaccini, vale quanto avvenuto con il Carnet de la patria venezuelano (un incrocio tra carta di identità elettronica e carta di accesso ai servizi) che il Venezuela rilascia ai cittadini. Per produrlo il Venezuela si è avvalso di Zte, gigante tecnologico cinese che, tramite questo documento, ha modo di esercitarsi nel controllo elettronico dei propri stessi cittadini, addestrandosi con quelli del Venezuela. Anche qui, l’obiettivo è controllare meglio il fronte interno cinese, non così solido. Solidità necessaria, in vista di una futura sfida più calda con gli Stati Uniti.

Il vero salto geopolitico la Cina lo farebbe se riuscisse a rendere Cuba nella sua totale disponibilità geopolitica, ma la Cina non può né vuole farlo. Innanzitutto Cuba è piantata nel “Mediterraneo” americano, è un accesso all’Atlantico e quindi alla loro proiezione. Inoltre è appunto la Cina che ha necessità dell’aiuto in termini di conoscenza vaccinale cubana.

Gli Stati uniti permettono alla Cina la penetrazione economica (la Cina è il secondo partner commerciale per Cuba), perché sanno che non sono per ora in grado di andare oltre. Se mai la Cina riuscisse invece a insediarsi a Cuba geopoliticamente, vorrebbe appunto dire fare un salto e volere lo scontro diretto con gli Usa. È invece più Cuba che cerca di replicare la propria politica di vassallaggio ad un dominus anti statunitense, che la rifornisca di risorse, l’Urss prima, il Venezuela di Chavez poi, quello di Maduro sempre meno, in cambio di medici e anche qui conoscenze sanitarie. La Cina non accetta attualmente il corteggiamento cubano proprio perché avrebbe quel significato aggressivo suddetto.

Secondo punto. Con la leva vaccinale in America Latina i cinesi hanno cercato di rendere tossico (geopolitico) il proprio aiuto in una regione dove ci sono nove dei quindici stati che riconoscono Taiwan, l’isola stato, difesa dagli Usa, che si disputa con la Repubblica popolare cinese la legittimità a considerarsi Cina e che la Cina comunista mira a riconquistare.

A dimostrazione che l’America Latina non ha valore in sé per la Cina in questo momento, come attacco al dominio statunitense, ma vale come carta per liberarsi dalla strozzatura nordamericana alle sue porte, per riuscire ad avere il pieno dominio del suo mare, innanzitutto isolando l’isola almeno dai satelliti usa.

L’aggressività vaccinale cinese conferma quindi più la debolezza e il gioco in difesa della Cina che la sua forza. Quale ascesa sarebbe mai possibile senza il dominio del proprio impianto geografico prossimo?

In questa seconda fase della campagna vaccinale invece, gli Stati Uniti, in via di immunizzazione diffusa della propria popolazione, hanno iniziato una battaglia ideologica anti cinese, che sotto la bandiera della ricerca della verità sull’origine del virus in Cina (replicando strumentalmente un’accusa già fatta da Trump) sta cercando di recuperare il livello di soft power pre-Covid.

Gli Usa perseguono così diversi obiettivi. Dire ai loro alleati che, a prescindere da quanti vaccini la Cina diffonda, rimane lei ad aver generato il virus. Secondo, ottemperano alle promesse della loro stessa propaganda, l’essere una superpotenza dei diritti dell’uomo, compresa la ricerca della verità. Gli Usa sono infatti sostanzialmente un impero, e riescono ad esserlo perché non è solo la pura forza ad allineare i satelliti, ma la loro convinta adesione al senso che gli Stati Uniti dicono di attribuire ad essa, ovvero la libertà, la democrazia, i diritti, compreso il diritto alla ricerca della verità sull’origine del virus, rafforzando la certezza degli alleati che far parte del mondo imperiale statunitense sia meglio che starne fuori. Tradotto geopoliticamente, un impero regge finché regge la fede nella sua missione.

Rinvigorire il senso della propria missione significa annichilire l’eventuale propaganda dell’impero cinese, rispetto ad una sua eventuale missione. I vaccini cinesi servivano infatti a
veicolare l’idea di una "solidarietà sanitaria" di contro all’egoismo americano. Ma anche se la Cina ci riuscisse, i vaccini rimangono mezzo circostanziale per un’emergenza, non missione sempreverde.

Tradotto geopoliticamente, la Cina una missione non ce l’ha, è dinamica economicamente, ma più perché trae ricchezza dagli altri, invece che crescere con loro. E i vaccini confermano che servono ad usare, più che aiutare.

Da ultimo, ribadire l’origine cinese del virus significa colpire proprio l’immagine di colosso tecnologico. Nessun detentore di primati è incapace di controllare un virus in laboratorio. I cinesi, sostengono così gli Usa, prima ancora che nocivi, perché ambiziosi e avversari, sono nocivi perché incapaci e pericolosi.

Se gli Usa riusciranno in questi obiettivi, potrebbero forse permettere alla stessa Europa di decidere se acquisirli o meno, sapendo che a quel punto non lo farebbero.

Foto: State Council of the People’s Republic of China