Gli inglesi hanno deciso chi vogliono essere

(di Gino Lanzara)
29/03/21

Nell’ora più buia, il coraggio inglese trovò in Winston Churchill un inimitabile interprete, un politico e, soprattutto, un uomo di certo non esente né da difetti né da colpe; ma chi, in quei momenti, avrebbe avuto il coraggio di pronunciare stentoreamente: “non ci arrenderemo mai”? Che il Regno Unito non abbia ceduto le armi è un fatto, come è un fatto che voce e volontà del re, con quelle del suo primo ministro, abbiano contribuito a sospingere Londra verso una vittoria che ha di fatto mutato la storia.

Di Churchill, geopolitico di razza che diceva “Abbiamo il nostro sogno e il nostro proprio compito. Noi siamo con l’Europa, ma non dell’Europa. Siamo collegati ma non mescolati. Siamo interessati e associati, ma non assorbiti” Kennedy, anni dopo, disse che “aveva mandato la lingua inglese in battaglia”; Boris Johnson, con i dovuti distinguo, e senza aedi pronti a cantarne le lodi, si è assunto la responsabilità di ridare lustro a Forze Armate onuste di gloria, ma drammaticamente povere di risorse, dando le ali ad una retorica che, al netto del nazionalismo conservatore, ha evidenziato come fosse ormai prossimo il punto di non ritorno. Sullo sfondo, la tempestosa uscita di scena dal proscenio dell’UE, per preventivo contrappasso a suo tempo a lungo interdetto da de Gaulle e britannicamente caratterizzato da un abrasivo pragmatismo contrapposto a formali sentimenti privi di pathos.

L’anglosfera è una concettualizzazione che di relativo ha poco, e che richiede la leadership americana, impegnata a non compromettere equilibri difficilmente ricomponibili. Idealmente lo Union Jack rievoca il potere marittimo oceanico, e si basa su fondamenta geopolitiche che non possono non tenere conto delle evoluzioni cui esse stesse sottendono. L’accordo siglato sul filo di lana a dicembre 2020, che sembra rendere difficile l’accesso britannico al mercato UE, e che verrà approvato entro il 2021 dal Parlamento Europeo, tutelando parzialmente i flussi mercantili ma non i servizi finanziari, e tentando di contenere un ulteriore caos dovuto all’assenza di regole più pervasive, lascia molte questioni irrisolte, date intensità e complessità dei rapporti economici intercorsi ed intercorrenti, come nel caso italiano1, e considerata l’incapacità comunitaria di plasmare le politiche estera e militare; un compromesso che, accettabile al di qua ed al di là della Manica, estende le possibilità di manovra con Washington, tuttavia volta, con l’irlandese Biden, alla preservazione del cosiddetto accordo del Venerdì Santo2.

Al momento la City risulta in affanno, superata da Amsterdam come maggiore centro di scambio finanziario europeo dopo che Bruxelles ha rifiutato di riconoscere alle società finanziarie britanniche autonomia sotto il profilo della supervisione e del controllo, ed è incalzata dalla Francia, beneficiata finanziariamente di una significativa lista di attività salpate da Londra a seguito del good bye inglese, e militarmente destinata ad assumere un ruolo centrale nello scenario della Difesa europea. Rimane al centro dell’attenzione la convergenza su regole condivise di level playing field3, sia per evitare una competizione al ribasso finalizzata a promuovere la competitività nazionale, sia per controllare il ricorso ad aiuti di stato.

Nel frattempo, l’uscita dal consesso comunitario ha consentito il recesso britannico dalle sanzioni contro l’americana Boeing, cortesia che ha indotto gli USA a sospendere i dazi su numerosi prodotti inglesi4. Insomma, molte questioni rimangono aperte, e molte altre sono prossime ad emergere, come quella che ha riguardato le difficoltà vaccinali europee anti covid che hanno visto un’Unione vincolata dai lacci di processi diplomatici e legali, e posta a paragone con la più celere azione governativa britannica, comunque nel mirino politico delle opposizioni interne, pronte a stigmatizzare qualsiasi defaillance.

Mentre ancora non è completamente chiaro come la Brexit muterà le relazioni internazionali, al di là del desiderato recupero di sovranità, attestato dall’accordo di libero scambio con il Giappone e con altri 29 Paesi, secondo James Barr5 è fondamentale comprendere l’attrito tra Regno Unito e USA in Medio Oriente post ’45, ovvero una contesa condotta dai britannici non solo contro l’URSS, ma anche contro l’alleato storico, specialmente in occasione sia dell’affaire di Suez del ’56, sia della guerra in Iraq, quando Londra ha compreso di non poter esercitare alcuna influenza diplomatica su Washington, peraltro ora contrariata dall’affaire 5G, che ha intaccato l’unità dei Five Eyes6, dopo la decisione di escludere Huawei dallo sviluppo della rete, ma solo dopo aver concesso 7 anni per rimuovere del tutto la presenza dell’azienda cinese; è evidente come Londra non intenda infrangere la liaison con gli USA, che l’hanno a lungo considerata – con l’antidiplomatico Obama - quale indispensabile passepartout per l’Europa, ma è ugualmente palmare come voglia tornare ad esercitare una maggiore ascendente soprattutto ad est di Suez, per il mantenimento delle relazioni con l’Oman, fondamentale per il controllo di Hormuz, per garantire la presenza diplomatica sia nei rapporti tra Arabia Saudita e Teheran, sia in quelli intercorrenti tra Asia e Medio Oriente.

In ottica Brexit, le vicende politiche europee riconducono l’attenzione all’incompiuta realizzazione di FA comunitarie, ineludibile passaggio intermedio verso l’ancóra più chimerico obiettivo di una comunità politica, un progetto inevitabilmente destinato ad entrare in concorrenza con quello Atlantico, forte di un fascino che non ha mai mancato di avvincere Londra, scettica e poco propensa a schierare le sue forze sul continente.

Per ciò che concerne l’aspetto securitario, a differenza di quello commerciale animato da interessi confliggenti, la collaborazione è nell'interesse generale, viste le risorse industriali e di intelligence inglesi, tanto da ipotizzare una forma istituzionalizzata di partenariato che lascerebbe ampi spazi cooperativi, ma che troverebbe il veto di diversi partner che non concederebbero alcun tipo di status privilegiato, optando per forme collaborative in gruppi ristretti ed extra acquis comunitario, con Francia e Germania che hanno ipotizzato la formazione di un Consiglio (circoscritto) di sicurezza europeo comunque aperto alla partecipazione britannica nell’ambito europeo delle relazioni internazionali.

Un proposito che potrebbe indurre gli Stati membri esclusi dal CSE, a considerare la mossa come un tentativo di rendere l'Europa più indipendente dagli USA, senza tuttavia dimenticare la volontà politica inglese che intende posizionare il Regno, anche per mancanza di valide alternative, quale più intimo alleato degli USA, egemonicamente portati ai rapporti bilaterali. Il post Brexit presenta dunque modelli securitari e di difesa sovrapponibili, cui aggiungere la componente nucleare, su cui l’Unione non esercita alcuna autorità; il fatto che la Francia rimanga l’unico paese UE con deterrente atomico non varia gli equilibri, dato che, in caso di comune interesse, non sarebbe escluso il concorso britannico.

Abbiamo accennato a sovranità da intendersi in senso positivo; non possiamo dunque non soffermarci sulla scommessa che il Gabinetto Johnson ha lanciato sulle FA, mai come ora bisognose di arrestare il declino iniziato al principio degli anni 2000. È di questi giorni la formalizzazione del più grande piano di investimenti bellici dalla fine della Guerra Fredda, con l’obiettivo puntato su spazio, intelligenza artificiale, droni, caccia di VI generazione, contenimento della minaccia delle armi ipersoniche, incremento dell’arsenale nucleare, riconfigurazione dell’Army, il più ridotto negli ulti 400 anni - in termini expeditionary e con nuovi reggimenti Ranger, malgrado i richiami del gen. Milley7 – e soprattutto sulla Royal Navy, l’Arma della Corona; Downing Street ha preso l'impegno di spendere 188 miliardi di sterline per la difesa nei prossimi quattro anni, con un aumento di 24 miliardi di sterline8, un investimento in funzione della vision proiettata al 2030; le FFAA riceveranno aumenti quadriennali, oltre a quelli già calcolati in base alla percentuale di inflazione maggiorata dello 0,5%; un piano che si inserisce tra quelli intrapresi dalle alleate Polonia, Francia, Grecia, oltre a quelli di Australia e Svezia, secondo un’ottica che intende mettere in guardia i russi ad est, i cinesi nell’Indo Pacifico, i Turchi nel Mediterraneo orientale.

Londra vuole tornare a contare, confermandosi quale prima investitrice europea per la Difesa, e seconda nella NATO, puntando peraltro su forti ritorni economici ed occupazionali; basti pensare al settore R&D9, che vedrà un aumento annuale di 1,5 miliardi di sterline, oltre ai previsti 5,8, ed all’incremento dei posti di lavoro creati nelle 4 nazioni del Regno, un’iniziativa che ha riscosso il plauso del neo Segretario alla Difesa americano, Cristopher Miller.

In linea con il programma satellitare Skynet 6 e con il progetto della creazione di un Comando Spaziale, Londra intende lanciare entro il 2022 il suo primo razzo; analogamente, è prevista la creazione di un’agenzia dedicata all’AI e l’istituzione di una National Cyber Force con lo Strategic Command volto a costituire la spina dorsale digitale contro gli attacchi informatici.

Nell’ambito della riorganizzazione della RAF, più di 1 miliardo di sterline verrà dedicato al caccia stealth di VI generazione Tempest10, sviluppato in sinergia con Svezia e Italia, aereo che, tuttavia, a differenza del FCAS franco tedesco non prevede versioni navali.

Ora la talassocrazia. Johnson intende riportare la Gran Bretagna alla posizione di prima potenza navale europea, con “nuove generazioni di navi che saranno costruite in tutto il Regno Unito”. Se, oltre all'arrivo della quinta generazione dei Carrier Strike Group con la HMS Queen Elizabeth e la HMS Prince of Wales, la Royal Navy riceverà le programmate otto fregate Type 26, le cinque Type 31, oltre che le fregate di nuova generazione Type 32, le nuove navi logistiche (Fleet Solid Support Ship), la nuova nave di sorveglianza oceanica multiruolo a protezione delle infrastrutture sottomarine, ed in previsione il nuovo destroyer Type 83, la Navy tornerà ad essere la prima marina continentale, davanti alla francese ed all’italiana con capacità proiettive oceaniche, sia pur a fronte di significative riduzioni del numero di F 35 imbarcati; i Royal Marines usufruiranno di un investimento di circa 200 milioni di sterline nei prossimi dieci anni per formare la Future Command Force, destinata a condurre operazioni di sicurezza marittima. Tuttavia, scommettere tutto sulle nuove tecnologie non appare privo di rischi, dato il precedente della Strategic Defence Review del 1998 di Lord Robertson, e visto che al fianco degli investimenti sarà necessario valutare, per ogni dominio operativo, il carattere della guerra del futuro11, compatibilmente con le effettive risorse disponibili, un possibile gap che, all’epoca, portò al fallimento o al ritardo diversi programmi, tra cui quello delle portaerei, e che ora potrebbe compromettere l’efficienza delle forze terrestri.

Last but not the least, l’investimento previsto di circa 1,3 miliardi per il miglioramento del Single Living Accommodation quale parte di una strategia di alloggio, e di 1,4 miliardi di sterline per l’assistenza alle famiglie dei militari.

In conclusione, al netto degli artifici retorici, sul percorso di questa long and winding road, vanno scissi i due livelli portanti, il politico ed il militare, dove l’utilità inglese per gli USA deve andare a continuare a rendere irrinunciabili gli accordi privilegiati.

Il rischio di rimanere isolati ai tavoli che contano, induce a fornire una chiave di lettura utile a comprendere il perché del proposto incremento delle testate nucleari, che porta ad innalzare il peso specifico della rilevanza strategica.

Quello inglese rimane un mercato relativamente ristretto, che richiede scelte strategiche con necessarie ricadute in house, visto che essere svincolati dagli obblighi valutari dell’euro non esenta dal trovare una compensazione tra spese belliche e dinamiche sociali interne. Le FA non sono estranee a queste dinamiche, tanto che il rafforzamento della Marina risulta indispensabile, in termini di gruppi navali associati, alla luce dell’entrata in linea delle 2 ultime portaerei, comunque destinate ad un periodo di sofferenza operativa data la riduzione degli F35.

Gli inglesi hanno deciso chi vogliono essere, allocando fondi in misura straordinaria, ma dopo più di un decennio di tagli sarà necessario attendere almeno un tempo equivalente per vedere i risultati di questa inversione di tendenza. Mentre il programma Tempest sta richiedendo tagli su altri progetti, l’industria inglese si trova nella necessità di essere rivitalizzata, con la Francia che spinge per occupare lo slot britannico rimasto vuoto; di fatto, la Gran Bretagna potrebbe trovarsi nelle stesse condizioni degli anni 60/70, costretta a guardare alla crescita relativa degli altri concorrenti, con una coperta politica corta e con la necessità di disporre di concrete sostanzialità, la cui mancanza è stata evidenziata dallo shock iracheno.

Tenuto conto che il carattere nazionale inglese non induce a pacifismi di moda, le decisioni di campo prese evidenziano le politiche talvolta ondivaghe degli altri attori; la Germania è ferma, la Francia morde il freno, la Spagna si appoggia a tedeschi e transalpini, la Grecia fa assegnamento sugli USA in chiave anti turca, l’Italia persegue l’impossibile ecumenismo internazionale.

Il Regno Unito ha palesato un preciso orientamento strategico volgendosi ad ovest, ed interdicendo a chiunque qualsiasi tipo di sindacato sul suo menage politico interno. Concedendosi una battuta, pur tra molteplici e pesanti difficoltà, è possibile dire che la Gran Bretagna, al pub, abbia deciso con chi condividere la sua pinta.

1 Un interscambio commerciale di oltre 30 miliardi di sterline nel 2019 e di oltre 26 miliardi nel 2020; un saldo positivo per l’Italia negli ultimi dodici mesi di 8,8 miliardi, dopo quello di 10,3 registrato nel 2019, cui va aggiunta la presenza di oltre 700mila cittadini italiani nel tessuto sociale e produttivo britannico.

2 Altresì denominato Belfast Agreement, firmato nel 1998, rappresenta uno dei più importanti sviluppi del processo di pace dell’Irlanda del Nord, mettendo fine alle violenze delle organizzazioni politiche e para-militari nazionaliste irlandesi e nord-irlandesi.

3 concorrenza leale

4 L'amministrazione Biden ha stabilito l'eliminazione delle tariffe su una serie di merci (importazioni di cashmere da 11 milioni di sterline; prodotti a base di carne di maiale (38 milioni) e formaggio (45 milioni); whisky, per cui le stime precedentemente pubblicate indicavano che i dazi avessero portato a un calo di 500 milioni di sterline nelle vendite di scotch.

5 A Line in the Sand: Britain, France and the Struggle that Shaped the Middle East sulla rivalità anglo-francese dopo il trattato Sykes-Picot (2011); Lords of the Desert: Britain’s Struggle with America to Dominate the Middle East (2018)

6 alleanza di intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. Questi paesi fanno parte dell'accordo UKUSA, un trattato di cooperazione congiunta in materia di intelligence dei segnali

7 Chairman of the Joint Chief of Staff - USA

8 Boris Johnson

9 Research and Development

10 Secondo l’A.S. Dario Giacomin, Vice Segretario Generale della Difesa, se TEMPEST E FCAS dovessero convergere, , il modello Euromale costituirebbe un esempio, visto che il Regno Unito resta membro dell’Occar.

11 Peter Roberts, Director military sciences del Royal United Service Institute (RUSI)

Foto: UK MoD / web / Royal Air Force / Royal Navy