Fuga dalla Siria

(di Andrea Gaspardo)
27/12/18

L'annuncio è arrivato inaspettato e ha colto tutti di sorpresa. Il 19 dicembre, attraverso un video allegato ad uno dei suoi “tweet” quotidiani, il presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, ha annunciato che gli Stati Uniti hanno sconfitto l'ISIS e che in un arco temporale di 60-100 giorni tutte le truppe americane verranno ritirate dalla Siria (e dall'Iraq). Inoltre, una volta completato il ritiro, termineranno pure le sortite aeree nell'ambito dell'operazione “Inherent Resolve”, attiva dal 15 giugno 2014, che in 4 anni e mezzo ha portato le forze aeree degli Stati Uniti e dei loro partners internazionali a condurre a termine 24.000 attacchi aerei, per complessive 170.000 sortite che hanno cagionato alle forze militari dell'ISIS oltre 80.000 perdite e la distruzione di più di 32.000 obiettivi terroristici. Tuttavia, l'impegno militare americano ed internazionale nei cieli e sul terreno nella lotta per sconfiggere l'ISIS ha comportato un prezzo politico che, alla lunga, gli Stati Uniti non si sono dimostrati capaci di accettare: il deterioramento delle relazioni tra la Turchia e la NATO.

Invero, l'irrigidimento delle relazioni politico-diplomatico-militari tra la Turchia da un lato e gli Stati Uniti, Israele, la NATO e l'Occidente in generale dall'altro, può essere fatto risalire già al 2002, anno dell'ascesa al potere del partito AKP in Turchia. Tale “rottura” poi, non è avvenuta in maniera istantanea e traumatica come nel caso della Rivoluzione Iraniana, ma è stata un evento progressivo ma non meno inarrestabile.

La scintilla che ha segnato il fatidico “punto di non ritorno” è stato l'intervento militare americano ed occidentale contro l'ISIS nell'ambito della “Grande Guerra Mediorientale” che ha spinto gli Stati Uniti ed i loro partners occidentali a stabilire un'alleanza di fatto con i Curdi di Siria, già da tempo nel mirino di Ankara perché ritenuti niente più che una succursale locale del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, con il quale Ankara è in guerra esattamente da 40 anni.

Purtroppo la leadership politica e lo “stato profondo” americano, sia nel corso della presidenza Obama che di quella Trump, hanno costantemente fallito nel valutare il grado di animosità, quando non di vera e propria “fobia” che l'intero “sistema paese Turchia” (dagli alti vertici della politica fino all'uomo comune della strada) ha sempre nutrito nei confronti dei Curdi e delle loro istanze autonomistiche ed indipendentistiche. Ecco perché non è stato difficile per il presidente turco Erdogan raccogliere all'interno del paese il consenso necessario per lanciare ben due operazioni militari entro i confini della Siria (l'operazione “Scudo dell'Eufrate”, tra il 24 agosto del 2016 ed il 29 marzo del 2017, e l'operazione “Ramoscello d'Ulivo”, tra il 20 gennaio ed il 24 marzo 2018) che, seppure piuttosto dispendiose in termini economici ed umani, hanno permesso alle forze armate turche di prendere il controllo di una vasta “fascia di sicurezza” nella zona settentrionale della Siria, espellendo centinaia di migliaia di Curdi ivi residenti e sradicando completamente le strutture militari delle YPG (forze di autodifesa curde) locali.

Il successo delle operazioni militari “Scudo dell'Eufrate” e “Ramoscello d'Ulivo” ha consegnato agli Stati Uniti una situazione assai scomoda, dovendo scegliere tra un alleato potente ed inaffidabile come la Turchia, dalla cui “benevolenza” dipende il funzionamento dell'intero dispositivo di basi ed infrastrutture che garantiscono la viabilità dell'intervento americano ed occidentale in Medio Oriente, e uno leale ma assolutamente irrilevante sul piano geostrategico più alto come le Forze Democratiche Siriane (SDF, acronimo-paravento sotto al quale si nascondono le formazioni politiche e militari dei Curdi di Siria).

L'indifendibile situazione tattico-strategica delle SDF si era già presentata in tutta la sua chiarezza nella prima metà del 2018, quando i Curdi avevano fallito nell'obiettivo strategico di creare un unico corridoio territoriale che unisse tutto il nord della Siria, dalla provincia di al-Hasakah fino alla costa mediterranea, isolando la Turchia dal resto del territorio siriano ed acquisendo così una posizione non aggirabile in sede negoziabile. Invece, malgrado le operazioni militari anti-ISIS spalleggiate dagli Stati Uniti e dalla coalizione internazionale abbiano permesso alle SDF di sbaragliare la maggior parte del dispositivo dello Stato Islamico al di là del fiume Eufrate e di spingersi in profondità nel territorio della cosiddetta al-Jazira (la zona desertica alla destra dell'Eufrate e a cavallo tra la Siria e l'Iraq), da un punto di vista geostrategico, le conquiste territoriali ottenute a duro prezzo dalle SDF sono assolutamente indifendibili.

Seppure la zona del Rojava (cosi viene definito tutto il territorio nelle mani delle SDF) comprenda oggi oltre il 27% del territorio siriano e garantisca ai Curdi il controllo delle principali zone di produzione agricola (provincia di al-Hasakah), delle risorse idriche (alto corso del fiume Eufrate con relative dighe) e di una buona parte di quelle petrolifere, oltre che una percentuale non trascurabile della popolazione siriana, l'impossibilità di avere accesso ai mercati e al credito internazionale ed il fatto di confinare con potenze ostili assolutamente non propense a riconoscere questa situazione di “secessione di fatto” e pronte a bloccare in ogni momento tutte le arterie stradali e fluviali da e verso il Rojava, fa sì che i Curdi non siano in grado di costituire un'entità statale stabile, sicura e che possa “marciare da sola” senza la perenne presenza delle forze armate americane e dei loro alleati.

I Turchi hanno da tempo mangiato la foglia e sanno altresì che, esaurita l'arma economica (periodo di turbolenza nei mercati finanziari nel periodo pre-elettorale ed attacco speculativo estivo contro la lira turca), gli Stati Uniti non hanno altre armi di pressioni nei loro confronti (per altro, pensare che bastasse una tempesta finanziaria passeggera per abbattere il governo di un uomo che è sopravvissuto ad un colpo di stato come quello del 2016, dimostra una sicumera ed un'imbecillità niente affatto scusabili!). Alla luce delle rinnovate pressioni turche, messo in difficoltà sul fronte interno dai non esaltanti risultati delle elezioni di “mid-term” e, probabilmente, conscio del fatto che una nuova crisi economica mondiale sia alle porte, minacciando di precludere qualsiasi sua possibilità di rielezione, Trump ha ceduto di schianto optando per il “piano B” che molti presidenti americani prima di lui hanno disinvoltamente messo in pratica dal Vietnam all'Iraq, passando per l'operazione “Artiglio dell'Aquila” (crisi degli ostaggi in Iran) e la Somalia: la fuga!

E che si tratti di un vero e proprio “si salvi chi può” lo dimostra sia il terremoto ai verti politico-militari in seno all'amministrazione americana (dimissioni del Segretario alla Difesa James Mattis e dell'inviato speciale per la Siria Brett McGurk), sia gli strali provenienti dagli alleati (in Medio Oriente, ma anche altrove) letteralmente “terrorizzati” dal fatto che tutte le alleanze faticosamente concluse con gli Stati Uniti d'America nel corso di numerosi decenni si rivelino ora niente più che “pezzi di carta” facilmente stracciabili da un tycoon ossessionato solamente dalla necessità di “sopravvivere politicamente” alla guerra che lo “stato profondo” gli ha mosso e assolutamente non disposto a farsi manipolare nell'agenda politica da centri di potere militare ed economico-finanziario non pienamente allineati a lui e non in grado di impattare positivamente e nell'immediato nella sua ricerca di consenso. Detto altrimenti: se le alte sfere del Pentagono, del Dipartimento di Stato, della CIA ed i loro amici Israeliani pensavano veramente che Trump avrebbe accettato la “necessità storica” di rimanere impantanato indefinitamente in Siria solamente per insidiare da vicino i piani dei Russi e degli Iraniani sacrificando al contempo risorse economiche e preziosissimi punti percentuali di consenso elettorale in vista delle elezioni presidenziali del 2020, hanno decisamente fatto un buco nell'acqua!

Gli eterni sconfitti di questa drammatica “partita a poker” sono i Curdi che, per l'ennesima volta, hanno visto manipolare le loro istanze autonomistiche ed indipendentistiche da alcune grandi potenze che prima hanno dirottato i loro progetti politici a proprio uso e consumo ed ora, esurito il loro compito, li stanno crudelmente abbandonando al loro destino.

(foto: U.S. Army / U.S. Air Force / Türk Silahlı Kuvvetleri / U.S. DoD)