Fine del Trattato sui Cieli Aperti?

(di Andrea Gaspardo)
15/07/20

Il 21 maggio 2020, con uno dei suoi numerosi annunci ad effetto che lo hanno reso famoso in ogni dove, il presidente degli Stati Uniti d'America, Donald John Trump, ha annunciato che il suo paese si ritirerà dal cosiddetto “Trattato sui Cieli Aperti” (Open Skies) citando come causa diverse violazioni del trattato stessa da parte della Russia, uno degli altri stati firmatari. Tuttavia, per gli addetti ai lavori, la mossa di Trump non costituisce una vera sorpresa perché fa eco alle parole pronunciate ad ottobre del 2019 dal segretario di Stato Michael Richard “Mike” Pompeo e dal Segretario alla Difesa Mark Thomas Esper. La stessa Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti d'America aveva per altro pubblicato già mesi fa diversi documenti che sostanzialmente spianavano la strada alla successiva decisione presidenziale.

Ma in che cosa consiste veramente il “Trattato sui Cieli Aperti”, e quali sono le poste in palio nel caso di una sua decadenza? Per capirlo è necessario innanzi tutto fare un salto indietro nel tempo.

Nel 1955, nel corso del cosiddetto “Vertice di Ginevra” convocato dai “Big Four” (Stati Uniti, Regno Unito, Francia ed Unione Sovietica) per cercare di allentare le tensioni della “Guerra Fredda”, l'allora presidente degli Stati Uniti d'America, Dwight David “Ike” Eisenhower propose ai “pesi massimi” della delegazione sovietica (il primo segretario del Partito Comunista Nikita Sergeevič Chruščëv, il premier Nikolaj Aleksandrovič Bulganin ed il ministro degli Esteri Vjačeslav Michajlovič Molotov) la creazione di un regime di mutui sorvoli militari che avrebbero permesso alle grandi potenze da un lato di scambiare informazioni militari e di sicurezza e dall'altro di aumentare il grado di fiducia reciproca. Inutile a dirlo, la proposta di Eisenhower era a quel tempo assolutamente rivoluzionaria ed impensabile per cui venne immediatamente rigettata da una leadership sovietica ancora in piena paranoia da sicurezza nazionale. Tuttavia nel 1989, nel corso degli incontri diplomatici tra il presidente George Herbert Walker Bush ed il primo segretario del Partito Comunista Mikhail Sergeevič Gorbačëv tale iniziativa venne riproposta e questa volta accettata, dando così il via a quello che sarebbe diventato il “Trattato sui Cieli Aperti”, firmato ad Helsinki, capitale della Finlandia, il 24 marzo del 1992 ed entrato in vigore il 1 gennaio del 2002 una volta che la Russia e la Bielorussia ebbero completato il processo di ratificazione.

Originariamente pensato come un accordo riguardante i paesi membri della NATO e del Patto di Varsavia, il “Trattato sui Cieli Aperti” si è successivamente allargato anche a paesi non inizialmente parte di queste due alleanze o addirittura neutrali, finendo per coinvolgere attualmente 34 paesi situati in Nord America, in Europa e nello spazio post-Sovietico. Tuttavia l'adesione non è stata affatto unanime dato che, nelle aree geografiche sopra menzionate: Irlanda, Svizzera, Austria, Serbia, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord, Albania, Cipro, Moldavia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan hanno deciso di non aderirvi. C'è poi il caso particolare del Kirghizistan il quale ha sì firmato tale accordo ma non lo ha ratificato, rimanendo perciò in una sorta di limbo. In base agli accordi raggiunti nel corso dei vari summit diplomatici, i paesi firmatari del trattato si impegnano a consentire alle parti di portare a compimento un certo numero di voli di ricognizione all'anno mediante una serie di velivoli specialmente equipaggiati per tale compito e che hanno essenzialmente il compito di raccogliere quelle che verrebbero definite “informazioni di intelligence”.

I velivoli utilizzati per tale scopo differiscono da paese a paese, tuttavia le sofisticare apparecchiature elettroniche delle quali sono dotati vengono scrupolosamente controllate e vagliate dagli altri partner del trattato allo scopo di verificare che non ci sia qualcuno pronto a “giocare sporco”. Alcuni paesi hanno poi deciso di “mettere in comune” i propri voli al fine sia di ridurre i costi sia di creare delle “sub-sinergie a geometria variabile”. È il caso, per esempio, del Canada, il quale utilizza per le proprie missioni un esemplare di Lockheed C-130 Hercules appositamente modificato con suite elettronica dedicata e dotato di un pod da ricognizione denominato “SAMSON”. Mentre il velivolo è in forza alle forze aeree canadesi, il pod è stato messo a punto da un consorzio di paesi che oltre al “paese dei castori” comprende: Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia. Va da sé che in questa maniera i suddetti paesi possono suddividersi i costi delle missioni e beneficiare dei risultati della ricognizione d'intelligence che viene in questo modo condivisa. Altri paesi invece, come gli Stati Uniti e la Russia, ma anche la Svezia, hanno scelto di procedere da soli.

La scelta degli Stati Uniti per la loro piattaforma operativa è ricaduta sul Boeing OC-135B Open Skies (foto) del quale ne sono stati prodotti 3 esemplari nei primi anni '90, ed assegnati al “24th Reconnaissance Squadron” basato alla base aerea di Offutt, situata a sud di Omaha, nel Nebraska, anche se da allora 1 di essi è stato ritirato e posto in riserva.

Dal canto suo, la Russia ha per anni utilizzato alcuni esemplari di Antonov An-30 (foto) rincalzati da un certo numero di Tupolev Tu-154M-ON, però in anni recenti il Cremlino ha preso la decisione di sostituire gli esemplari dei tipi sopra menzionati con dei nuovi velivoli Tupolev Tu-214ON, due dei quali, dotati di codici di registrazione RA-64519 e RA-64525, sono già in servizio e apparentemente sono dotati di un nuovo modello di suite elettronica tra i più avanzati al mondo. E pare che siano stati proprio questi velivoli il pretesto ufficiale per la rottura tra Washington e Mosca, dato che le autorità della “potenza a stelle e strisce” hanno accusato Mosca di “giocare sporco” e di approfittare dell'esistenza di tali voli liberi e non soggetti a restrizioni (le parti contraenti NON possono infatti usare la carta della “sicurezza nazionale” per impedire il sorvolo) per ottenere addizionale materiale d'intellicence; accusa che, prevedibilmente, è stata rispedita al mittente dalle autorità moscovite.

Tuttavia, analizzando la situazione nel suo complesso, si comprende che, al di là dei singoli velivoli e degli screzi diplomatici di sorta, la verità sul terreno è ben diversa. In un mondo che, da alcuni anni, sembra aver irrimediabilmente preso la via di una sorta di “Seconda Guerra Fredda”, il “Trattato sui Cieli Aperti” sta semplicemente cadendo nel dimenticatoio rimanendo vittima della nuova realtà di fatto della rinnovata tensione globale. Aggiungendo poi che negli ultimissimi anni le principali potenze, tra le quali vanno annoverate senza dubbio gli Stati Uniti e la Russia, si stanno sfidando in una serrata lotta per raggiungere il predominio nel campo delle cosiddette “armi super-veloci” si capisce che, a Washington come a Mosca (ed altrove) le gerarchie politico-militari non sono più tanto ansiose di trovarsi degli “spioni” che scorrazzano liberamente sui cieli di casa alla caccia dei loro “sporchi segreti”.

Come ultimo passaggio, dobbiamo infine chiederci, quali sono i pericoli connessi ad un'eventuale fine del trattato? In realtà la risposta potrebbe essere “tutti e nessuno” allo stesso tempo. Non è infatti il trattato in sé e per sé a costituire il vero problema. Il trattato semmai dovrebbe funzionare da strumento di garanzia per tutelare l'equilibrio politico-militare raggiunto, ma se tale equilibrio rimane scosso fin dalle fondamenta da una nuova realtà geopolitica che appare ineludibile, allora non c'è trattato che tenga ed anche il “Trattato sui Cieli Aperti” rimarrà vittima della nuova era della tensione globale, con buona pace di tutti coloro che, tra il 1989 ed il 1991 parlavano in maniera improvvida di “Fine della Storia”.

Foto: U.S. DoD / MoD Fed. Russa