E pluribus multi

(di Gino Lanzara)
03/12/19

Romanticamente parlando il nostro continente potrà anche essere vecchio, ma certamente non ha nel suo DNA il gene della stabilità. Formata da realtà politiche, culturali e storiche antitetiche, l’Europa, mentre sta ancora pagando il conto delle guerre del 900, è ancora in un quadro geopolitico caratterizzato dalla ricerca di un ordine frantumato dalla dissoluzione degli Imperi successivi alla caduta napoleonica; due guerre mondiali calde ed una guerra fredda, indirizzate alla conquista egemonica, hanno trovato il loro compimento in armistizi senza consentire un esito condiviso tra vincitori e vinti.

Uniti nella diversità, il motto dell’UE, specie dopo la Brexit, non sembra attagliarsi ad una realtà composita e differenziata, in cui aggregazioni neanche troppo circoscritte di Stati concorrono alla realizzazione di obiettivi politici peculiari, con una caratteristica comune: la formazione di coalizioni finalizzate ad avere rilevanza nel gioco delle compensazioni politiche. In molti casi, dunque, gli Stati europei puntano a liaison in chiave extra comunitaria, tentando di privilegiare gruppi di interesse capaci di influenzare la politica continentale.

A fronte degli accordi franco tedeschi, dal nord est e lungo l’asse nord – sud, giungono chiari segnali di un’evoluzione che, in termini geopolitici, non può non destare interesse: al Gruppo di Visegrad, che ha origine nel momento storico post sovietico degli anni 90, si deve associare sia un raggruppamento di soggetti politici baltici e settentrionali che, rifacendosi alla tradizionale Lega Anseatica, propugnano una linea rigorista e liberista, sia un altro insieme di Paesi, componenti il Trimarium, che mirano alla coesione dell’Europa centro-orientale, area storicamente sottovalutata dagli imperi di cui ha fatto parte. Pur non trattandosi di alleanze propriamente dette, la sovrapposizione a quelle formali permette di prendere, e più spesso bloccare, le decisioni più rilevanti, specie dal 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha esteso l’ambito delle materie interessate al voto a maggioranza qualificata, e ha ufficializzato la minoranza di blocco, per cui per esercitare il diritto di veto una proposta deve essere respinta da almeno quattro Stati membri che rappresentino al minimo il 35% della popolazione dell’UE.

Grande assente il nostro Paese, penalizzato da una politica estera eterea se non di difficile comprensione, e dunque non rientrante in nessuna delle alleanze paganti1. L’avvicinamento italiano ad esecutivi con target strategici differenti (es. Visegrad), posto al di fuori della consueta prassi procedurale indirizzata alla formazione di alleanze in ambito comunitario, non ha tuttavia condotto ad alcun utile risultato concreto, come evidenziato dal mancato appoggio alle posizioni nazionali in tema economico – finanziario.

Il principio delle lesson learned imporrebbe una riconsiderazione della tattica della ricerca del consenso, ed una condotta politica priva di scarti repentini volta al consolidamento di alleanze stabili; la lezione è stata impartita, sul suo apprendimento non rimane che attendere l’evoluzione politica dei risultati della tornata elettorale.

Tante facce, stessa medaglia

Geograficamente, le alleanze e gli accordi stretti tra i Paesi che compongono Visegrad2, il Trimarium3 e la cosiddetta Nuova Lega Anseatica4, delineano un fronte che, partendo dal Mar Baltico, tocca il Mar Nero ed arriva sino all’Adriatico interessando tutto il Centro Europa. I tre soggetti politici non hanno una chiara e definita connotazione istituzionale, tuttavia presentano caratteristiche che, in termini politici, esprimono una valenza che non può essere trascurata. Il populismo, caratteristico del panorama contemporaneo, sostenuto dalle asperità economico sociali cui gli esecutivi social - democratici non sono riusciti a porre rimedio, si è riflesso in elettorati non confidenti nel progetto europeista, considerato non in grado di gestire le contingenze ricorrenti e scosso da crisi di legittimità.

Visegrad simboleggia l’intolleranza verso l’accettazione di direttive percepite quali indebite intromissioni lesive della sovranità; la revanche nazionalista costituisce dunque la conseguenza di crisi identitarie provocate prima dalla costrizione sovietica delle pulsioni nazionali, poi dal transito dal socialismo reale al liberismo. Il nazionalismo del Gruppo Visegrad, che dalle crisi migratorie del 2015 ha perduto la sua accezione eminentemente tecnica, si fonda sulla non sempre coerente combinazione tra datate rivendicazioni territoriali, legami con la Chiesa, ed una rinnovellata insofferenza per le minoranze etniche, secondo un principio conservatore che si oppone all’idea di un’Europa federale e, soprattutto, sovranazionale.

Due temi rimangono fondamentali: l’economia, fondata sulla crescita basata su consumo interno, forza lavoro a costi contenuti, capitali europei erogati in misura superiore a quanto corrisposto all’Unione, una produzione indirizzata soprattutto verso la Germania, ed il controverso e disomogeneo rapporto con la Russia, ritornata prepotentemente in quello che ha sempre considerato il suo cortile di casa, e che non si è fatta scrupoli nell’impartire severe lezioni come alla Georgia nel 2008, o nell’utilizzare l’arma dell’energia a danno di vicini turbolenti (Ucraina 2006 e 2009), fino a giungere al ricorso alle destabilizzanti comunità russofone ed ai servizi segreti. Le problematiche, quindi, non sono né poche né irrilevanti; le dinamiche macroeconomiche, pur in presenza di una crescita comunque condizionata dall’adesione della sola Slovacchia all’area euro, comportano delle incognite che fanno paventare finanziariamente una sindrome ellenica, unitamente ad un’immigrazione bianca che ha condotto circa 2 milioni di ucraini al di fuori dei loro confini nazionali verso Paesi che, a loro volta, soffrendo di crisi demografiche ed avendo assistito alla dipartita della loro migliore e più preparata gioventù, si oppongono all’ingresso di etnie ritenute non assimilabili e potenzialmente foriere di fanatismi estremisti.

Il problema, per Visegrad, riguarda le modalità con cui sostenere le proprie ragioni, cercando di evitare di ricadere in ambiti geopolitici di scarsa rilevanza, sia alla luce delle accuse formulate dalle istituzioni europee a carico di Polonia ed Ungheria e che potrebbero determinare punitivamente l’entità dei fondi di cui poter fruire in relazione alla valutazione della buona condotta nazionale, sia per la formalizzazione di un’Unione a più velocità economiche ed a geometria variabile, capace di relegare in secondo e terzo piano i Paesi non in grado di competere con la locomotiva franco tedesca.

Visegrad non è che una cornice entro cui la cooperazione può variare in relazione al grado di coesione; se da un lato per la Difesa comune si è potuto procedere alla costituzione di un Battlegroup, una forza di intervento formata da più di 3.000 militari dei 4 Paesi, dall’altro Cechia e Slovacchia stanno iniziando a soffrire la scarsa empatia generata da Polonia ed Ungheria, anche in virtù degli sforzi diplomatici tedeschi di frazionare il blocco regionale di cui fanno parte. Ma se Visegrad incontra difficoltà, l’entità geopolitica denominata Trimarium5 punta con ancora maggior forza a stimolare un proficuo coordinamento in merito a rapporti politici, economici, energetici e securitari tra i dodici Paesi che la compongono, un’alleanza regionale antirussa ma che mira anche ad emanciparsi dalla tutela tedesca.

Stando alle indicazioni più concrete relative al Trimarium, sembra di poter affermare che quest’ultimo non sia volto a puntellare l’unità continentale, ma ad avvalorare il riconoscimento dell’esistenza effettiva di un’Europa a doppia velocità, ed a permettere all’Ungheria di rendere più solida la regione geografica di appartenenza esaltandone le specificità rispetto al fronte occidentale e prevenendone una possibile marginalizzazione. L’intento è dunque quello di sviluppare legami tali da trasformare i Paesi interessati in soggetti politici attivi e non semplici e passivi recettori di iniziative occidentali; attualmente il Trimarium raccoglie circa 105 milioni di cittadini con un PIL complessivo di quasi 3 trilioni di euro, e con i Paesi che lo compongono che garantiscono l’un l’altro stabilità politica e sicurezza per gli imprenditori; in più si somma una proficua contiguità geografica e conseguenti minori oneri per i trasporti già potenziati fra est ed ovest ed ora prossimi ad esserlo lungo la direttrice nord sud, con i quattro Paesi di Visegrad e la Croazia quali nucleo fondante: l’area presenta dunque tutte le potenzialità atte a permetterle di divenire una sponda economica appetibile sia per l’UE sia, potenzialmente, per la Cina.

L’ultima entità, ma non per importanza, è la cosiddetta Nuova Lega Anseatica, non ufficializzata né istituzionalizzata, ma che è indice della riorganizzazione dell’Europa settentrionale a seguito della Brexit, con una spiccata connotazione liberista avversa a qualsiasi intervento statale a supporto delle economie altrui.

In sintesi, la Lega costituisce sia una reazione all’uscita di scena del grande protettore Britannico, sia un’opposizione alle politiche francesi, sia una (interessata) sponda ai progetti tedeschi a seguito della mal tollerata esternalizzazione delle attività della Commissione a favore di Francia e Germania.

Alla luce dell’intendimento transalpino di spostare il baricentro a sud ovest lontano dall’area tedesca, la Germania può servirsi della Lega per respingere le proposte francesi ma senza doversi esporre.

Quale via per il futuro? Laddove gli Anseatici si coalizzassero potrebbero disporre di un peso notevole in termini demografici e di PIL, anche se il trend attuale non fa intravvedere intendimenti politici comuni se non quelli tesi ad operare ostruzionismi basati sulla ricerca di coalizioni variabili ed estemporanee che non favoriscono l’emersione di soggettività leaderistiche, dato anche l’atteggiamento neerlandese mai benevolo nei confronti dei Paesi ritenuti presuntuosamente inferiori.

Quel che rileva, in sintesi, è il favore con cui la Germania guarda alla nascita di un ulteriore ed influenzabile polo economico stanziato su uno stabile Mediterraneo Nordico, utile all’assorbimento del proprio surplus.

Geopolitics, I presume

Uno dei compiti della geopolitica consiste nell’individuazione degli aspetti più durevoli delle dinamiche politiche, valutandone a lungo raggio le possibili evoluzioni. Da un lato il Presidente Macron ha più volte richiamato l’attenzione verso il raggiungimento di una cooperazione economico politica rafforzata, ma senza considerare i rischi connessi ad un approfondimento delle faglie conseguenti all’istituzionalizzazione delle diverse velocità. Se si è ritenuto indispensabile il controllo della conformità legislativa di Visegrad rispetto all’acquis communautaire, dovrebbe essere ritenuto ugualmente opportuno comprendere le ragioni per le quali l’UE non è più considerata un partner affidabile; il non farlo potrebbe condurre al consolidamento di blocchi concorrenti capaci di influire sulle dinamiche politiche regionali. Che piaccia o meno, l’inclusione politica dei Paesi più scettici rappresenta una necessità, soprattutto ora che la Russia ha ripreso a calcare le scene con maggiore assertività.

A fronte della rilevanza conferita alla finanza, sarebbe quanto mai necessario tornare a fare politica, offrendo progetti e direzioni comuni vicendevolmente convenienti, rammentando tuttavia la consistenza dei fondi a suo tempo erogati. A fronte dell’ottusa rigidità adottata da Paesi sì più ricchi di denaro ma colpevolmente manchevoli in termini politici, sarebbe forse più saggio considerare come, in tempi difficili, il carattere nazionale temprato da precedenti durissime esperienze, e lo stato di necessità, possano attrarre più delle vuote formalità.

1 Vd. Il mancato inserimento italiano nel Gruppo del G3, ed in cui è stata preferita la Spagna

2 Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia

3 Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria

4 Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Estonia

5 Tre Mari: Mar Adriatico, Mar Baltico, Mar Nero

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