Draghi in Algeria: una lezione di geopolitica

(di David Rossi)
18/07/22

Draghi e una folta delegazione di ministri - una mezza dozzina - si apprestano a concludere un gran numero di accordi - di enorme importanza geopolitica - fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Democratica Popolare d’Algeria.

Quella dei rapporti fra Roma e Algeri è una storia di relazioni importanti cominciata ancora prima della fine della guerra di liberazione. Già fin dal 1955 nelle pagine di molti giornali (incluso “Il Popolo” della Democrazia cristiana) i “rivoltosi” algerini erano definiti “patrioti”: d’altronde, nel 1957 Fehrat Abbas, che di lì a poco sarebbe diventato premier algerino, in un’intervista a “Il Tempo” affermò che i nazionalisti del suo Paese si ispiravano al Risorgimento italiano.

Non è un caso che, una volta esploso nel 2018 il caso dell’ampiamento arbitrario della Zona economica esclusiva da parte delle autorità della nazione del Magreb, il governo locale abbia risposto alle proteste italiane (e spagnole) assicurando, almeno sulla carta, “completa disponibilità a partecipare sforzi congiunti per trovare, attraverso il dialogo, una soluzione equa e reciprocamente accettabile per quanto riguarda i limiti esterni della zona economica esclusiva dell'Algeria e dello spazio marittimo d'Italia, in conformità con l'articolo 74 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare”. Ma è inutile nasconderlo: a noi in questo momento dell’Algeria non interessa l’amicizia, ma il gas. Algeri, infatti, ha una delle più grandi riserve di gas naturale nel mondo a Hassi R’Mel: scoperta nel 1955 e avente riserve pari a circa 2.000 miliardi di metri cubi di gas naturale recuperabile, è collegata all’Italia da un gasdotto di 2.220 km, di cui 370 km in Tunisia, 380 km sono sul fondo del mare e 1.470 km in Italia.

Una nuova linea, dei primi anni Novanta, corre in gran parte parallelamente al gasdotto originale completato nel 1983. Il punto di arrivo in Italia del gasdotto Transmed, anche intitolato all’ex (compiantissimo) presidente dell’ENI Enrico Mattei, è a Minerbio, vicino a Bologna, nella Pianura Padana, dove il gas entra nel sistema di distribuzione nazionale del gas.

Ormai, l’Algeria è il nostro primo fornitore, in attesa che l’installazione di impianti di rigassificazione, prima di questa emergenza osteggiati da Cinque Stelle e Verdi, ci permetta di diversificare ancora di più le forniture.

Diciamolo: non ci sentiamo sicuri, perché proprio la geopolitica ci ricorda della guerra civile in Algeria negli anni Novanta, delle repressioni di quella che di fatto è una dittatura militare laica e del fatto che attorno all’Algeria bruciano molte crisi, fra cui la guerra civile libica, le tensioni fra Algeri e Rabat e la perenne instabilità della Tunisia. Per non parlare dell’Africa subsahariana… Tuttavia, non possiamo fare troppo gli schizzinosi: per decenni abbiamo lasciato nel terreno il metano presente nelle acque e nel sottosuolo della Penisola. E non abbiamo nemmeno tratto energia dal principale prodotto delle famiglie e delle imprese italiane: i rifiuti. Per non andare a cercare in Austria o in Nord Europa, basti dire che l'impianto di Brescia è capace di trattare più di 500.000 tonnellate di rifiuti, su tre linee di incenerimento indipendenti, da cui si ricava calore sufficiente a riscaldare oltre 30.000 abitazioni allacciate alla rete di teleriscaldamento. L’energia elettrica prodotta dall’impianto, fino a 85 MW, può far fronte al consumo energetico annuo di circa 130.000 famiglie.

Chiedete agli Italiani del Centro Sud a che punto sono col “waste-to-energy”… Evidentemente, ci fa schifo vivere meglio. E ci fanno schifo pure gli Algerini. Ma quando mai saremo capaci di fare il nostro interesse invece che andare dietro, come banderuole, a chi dice sempre e solo no? Abbiamo aspettato che i carri armati russi calcassero le strade dell’Ucraina per capire che dipendere da un solo fornitore - che per giunta ti impone prezzi politici - e da un solo idrocarburo è un suicidio. La geopolitica dovrebbe insegnarci che ci sono interessi nazionali e non solo piccoli egoismi privati, ma tant’è…

“Vogliamo la pace o il condizionatore acceso?” Parole di Draghi ad aprile. A sentire gli stessi che fanno e hanno fatto per decenni la guerra ai termovalorizzatori e alla diversificazione dei fornitori, vogliamo i condizionatori, i monopattini elettrici, le auto “alla spina” e quant’altro. Basta che non vogliamo gli interessi del nostro Paese…

Foto: presidenza del consiglio dei ministri