Dalla Siria alla Libia, (ri)emerge il braccio di ferro tra Mosca e Ankara

(di Paolo Lolli)
16/01/25

Un’antica faglia, mai effettivamente sopita, riaffiora dalle acque del Mediterraneo orientale, nel Nordafrica, nella regione meridionale del Caucaso, la Ciscaucasia, con potenziali ricadute fino al cuore dell’Asia centrale. Sebbene negli ultimi anni la Federazione Russa e la Repubblica di Turchia si siano avvicinate sensibilmente, tanto da alimentare i malumori di Stati Uniti e soci, non si possono cancellare secoli di rivalità e scontri - specialmente per popoli attaccati alla memoria collettiva quali quello russo e turco - con un’intesa meramente tattica. Insomma, il futuro fra questi due imperi è tutt’altro che roseo.

Gettando uno sguardo al passato è possibile scorgere la natura dei rapporti fra Mosca e Ankara. Dalla liberazione delle popolazioni slave dal dominio tataro-mongolo nel XV secolo, fino alle successive espansioni imperiali russe verso l’Asia Centrale, il Caucaso, il Mar Nero e i Balcani, slavi e popoli turchici si sono affrontati in una competizione a somma zero in tutta l’Europa. Dove all’avanzata dell’uno ha sempre corrisposto l’arresto dell’altro.

L’impero Russo, desideroso di affermarsi come potenza europea emergente, aveva nella Sublime Porta un ostacolo naturale. Dal XVI al XIX secolo, le varie dispute accesesi fra russi e ottomani originarono da diversi fattori quali: dominio territoriale, controllo delle principali vie commerciali e accesso ai mari caldi, quest’ultimo imperativo strategico russo dal XVIII secolo ai giorni nostri. Lo scontro si arricchì, da subito, pure di tinte messianiche, in protezione dei popoli cristiani finiti sotto il giogo musulmano, la Terza Roma si schierò contro la Seconda.

Solamente al termine della Grande Guerra, con l’implosione dell’Impero ottomano e la Rivoluzione d’ottobre, la debolezza contingente e l’estremo isolamento internazionale in cui precipitarono Ankara e Mosca costrinsero i due a stringere un’alleanza tattica. È con il “Trattato di Mosca”1 del 16 marzo 1921 che, bolscevichi e kemalisti, con l’esigenza di rispondere alle svariate criticità domestiche, decisero di mettere da parte secoli di antagonismo in nome dei rispettivi, inderogabili, imperativi strategici: sopravvivere.

L’inusuale amicizia perdurò per tutti gli anni Venti del secolo scorso e si consumò una volta che, al termine della Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica emerse minacciosamente quale potenziale egemone regionale alle porte della penisola anatolica. La pressione del gigante sovietico ai confini fu tale da spingere la giovane Repubblica turca ad aderire all’Alleanza Atlantica nel 1952. Per tutta l’era bipolare le condizioni che spinsero precedentemente Ankara ad avvicinare a sé Washington, allontanando contemporaneamente Mosca, non vennero meno. Solamente con l’implosione del gigante sovietico e la conseguente scomparsa della minaccia, i rapporti fra Repubblica di Turchia e Federazione Russa assunsero una nuova forma.

Da allora assistiamo allo sviluppo di una relazione senza precedenti. La Turchia del nuovo millennio, in cerca di una maggiore autonomia dal garante statunitense e desiderosa di alimentare la crescita interna, iniziò a adottare una politica multivettoriale. Fu così che Ankara cominciò a guardare con interesse alle immense risorse energetiche di Mosca per coprire il proprio fabbisogno.

Negli ultimi due decenni, fra i due si è creata una vera e propria interdipendenza energetica. Basti ricordare l’inaugurazione, nel 20032, del primo gasdotto fra i due Paesi, il Bluestream, seguito nel 20203 dal secondo, il Turkstream. Le infrastrutture in questione rispondono alle esigenze di entrambi i Paesi. Se Mosca, attraverso i due gasdotti, riesce a raggiungere la penisola anatolica e l’Europa meridionale senza transitare per l’Ucraina o altri Paesi potenzialmente ostili, Ankara si garantisce una linea diretta di approvvigionamento gasiero permettendosi di coltivare l’ambizione di assurgere a snodo energetico europeo.

Infine impossibile non citare il fiore all’occhiello della cooperazione russo-turca nel settore energetico, la centrale nucleare di Akkuyu. Quest’ultima dovrebbe essere operativa entro la fine del 2025 e diventare la prima centrale nucleare “turca”. In realtà, Rosatom, ha provveduto per più del 90% dei costi della costruzione dell’impianto4 e manterrà un’influenza rilevante anche nel prossimo futuro. Ciò ricalca la tattica moscovita della “diplomazia dell’atomo”, basata sulla penetrazione di mercati emergenti attraverso l’ampia esperienza e Know-How in campo nucleare.

I rapporti sono diventati ancor più intimi con l’impianto sanzionatorio occidentale ordito nei confronti della Federazione Russa a cui la Turchia non ha aderito, anzi, il 2022 ha visto crescere le importazioni turche dalla Russia di un 100%5 rispetto al 2021 e le esportazioni crescere del 80%6. Finora questa relazione sbilanciata, basti controllare la bilancia commerciale turca7, ma necessaria a entrambi, ha resistito anche se in vari contesti Mosca e Ankara si sono trovate negli anni su posizioni opposte, dal Nagorno Karabakh, alla Siria, alla Libia.

Oggi, però, i rapporti di forza fra i due stanno inesorabilmente mutando, provocando così un effetto domino sulle rispettive sfere d’influenza.

La fulminea vittoria militare dell’Azerbaigian in Nagorno Karabakh nel settembre del 20238 e la recente caduta del regime alawita di Basar al-Assad in Siria9 sono eventi collegabili. In entrambi i casi, Ankara, sfruttando la distrazione di Mosca in Ucraina, ha saputo volgere a proprio favore dei dossier di rilevanza cruciale sapendo di non poter incorrere nella rappresaglia moscovita. In Siria ancora non è certa la futura presenza russa, soprattutto nelle importanti basi di Tartus e Hmeimim. Sebbene, più volte, la TASS abbia riportato come la questione sia al centro delle trattative fra le nuove autorità siriane e i colleghi russi fin dal 9 dicembre10, un accordo ancora non esiste. Dal 13 novembre Mosca ha sospeso le esportazioni di grano verso Damasco11 a dimostrazione di come le trattative, al di là dei proclami di ambo le parti, non stiano procedendo per il verso giusto. Come se non bastasse, l’Ucraina, nelle più classiche delle manovre di disturbo, si è inserita nella diatriba. Il 30 dicembre scorso il Ministro degli esteri ucraino Sibyha, insieme a una delegazione di funzionari e ministri, ha incontrato la nuova leadership siriana per ristabilire i legami fra i due Paesi12. Kiev ha così ripreso a rifornire di cereali e farine Damasco13 in nome di una ritrovata amicizia.

Il rischio, per la Federazione Russa, è che ciò si ripeta anche in Libia. Il Paese nordafricano è stato investito dalle conseguenze della caduta di Assad. Mosca, per mitigare la propria dipendenza dalle basi siriane, ha cominciato a trasferire parte del personale e dei mezzi dislocati nel Paese levantino in Cirenaica. Questi spostamenti stanno avvenendo sia tramite un ponte aereo14 fra la base aerea siriana nella provincia di Latakia e la base aerea libica di Al Kadim, a Est di Bengasi, sia attraverso l’utilizzo di unità navali, come dimostrato dal caso della nave “Orsa Maggiore”15. Contemporaneamente, le forze armate sotto il controllo del generale Haftar hanno preso il controllo di diversi siti militari nella cittadina di Ubari, situata nel Fezzan, a circa 700 chilometri da Tripoli. L’iniziativa a sorpresa, oltre ad allarmare le autorità della Tripolitania, intimorite che il generale possa violare l’accordo sul cessate-il-fuoco16, risulta propedeutica alla manovra russa. Mosca, infatti, sta ultimando la costruzione di una nuova base aerea nei pressi dei confini con Ciad e Sudan, a Matan as Sarah17. Il controllo della cittadina di Ubari, quindi, oltre a permettere agli attori politici libici dell’Est di rinsaldare il controllo nel Fezzan18, costituirebbe un corridoio logistico importante per le forze armate russe in loco e le loro attività nel Sahel.

Nonostante ciò, sia la Federazione Russa, tantomeno il rais della Cirenaica, dispongono attualmente delle risorse necessarie per tentare un nuovo assalto alla capitale libica. Piuttosto - qualora il Cremlino non trovi una via d’uscita dal conflitto in Ucraina - Ankara, come in Nagorno Karabakh, come in Siria, sarebbe pronta a raccogliere i frutti del proprio certosino lavoro, colmando i vuoti lasciati da una Federazione Russa provata e distratta da una guerra che rischia di trasformarsi in una vittoria di Pirro.

Russi e turchi, in nome di un decantato multipolarismo, hanno messo da parte secoli di rivalità, ma hanno ambizioni e interessi confliggenti.

18«القيادة العامة» تعلن «تأمين» جميع القطاعات الدفاعية بمنطقة سبها العسكرية

Immagine: sconfitta del passo di Šipka, uno dei momenti chiave della guerra russo-turca (1877-1878)