Ci siamo riusciti: è ufficiale la Turchia si è installata militarmente in Libia

26/08/20

Sebbene la notizia sia passata in sordina sulle reti televisive italiane un fatto gravissimo, di cui nel tempo dovremo subire le conseguenze da un punto di vista geopolitico e economico, è avvenuto il 17 agosto 2020 a Tripoli. I responsabili della difesa turco Halusi Akar e e quello del Qatar Khalid al Attyha hanno firmato un accordo con il premier di Tripoli Fayez Al Serraj grazie al quale parte del porto di al-Khums verrà trasformato in una base navale turca con una concessione di 99 anni. In base allo stesso accordo l'aviazione militare turca potrà utilizzare la base aerea di al-Watya nella Tripolitania Occidentale. Il Qatar, invece, gestirà la ricostruzione e la riabilitazione di tutti i centri di sicurezza e di Tripoli distrutte o danneggiate durante l’ultima guerra inclusa la riorganizzazione dell'esercito. Naturalmente in simbiosi con le forze turche.

Interessante una voce non confermata che centri di addestramento saranno anche collocati in Qatar dove, a Doha, sarà realizzato un quartier generale per i militanti del GNA. Stando alle fonti della tv libica, sarebbe stato altresì concordato di istituire un centro di coordinamento tripartito (qatarino, turco e libico) che si riunirà mensilmente a Misurata al livello di capi di Stato maggiore.

Una sconfitta politica italiana

Con la firma di questo accordo la Turchia ha di fatto messo a segno il suo obbiettivo di allargamento nel Mediterraneo al fine di garantirsi lo sfruttamento un’area nord africana e marittima di grande importanza. La Libia è infatti un paese ricco di riserve di petrolio e gas che confina con importanti rotte commerciali del Mediterraneo. Un Paese di importanza strategica per il Mediterraneo con una lunga e tormentata storia alle spalle in cui i destini di Turchia e Italia si sono incontrati più volte. Storicamente la Tripolitania venne governata dall'Impero ottomano dal 1551 al 1912; impropriamente detto Regno di Tripoli dal 1711 al 1835 in realtà fu una provincia ottomana guidata da un pascià (governatore), sempre membro della dinastia Karamanli. Oltre al territorio centrale della Tripolitania, la regione della Cirenaica fu anch’essa parte del dominio di Tripoli in quanto governata dallo stesso pascià.

Fu con lo scoppio della guerra italo-turca (1911) che la Tripolitania e la Cirenaica furono annesse all'Italia (insieme ala regione interna del Fezzan) con regio decreto del 5 novembre 1911, annessione poi legittimata con il Trattato di Losanna che fu firmato il 18 ottobre 1912 tra l’Impero ottomano ed il Regno di Italia.

In quegli anni era famoso un brano musicale patriottico “Tripoli bel suol d’amore” scritto da Giovanni Corvetto nel 1911 poco prima dell'inizio della guerra italo-turca e composto per propagandare l'imminente guerra del Regno d'Italia contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia. Note ormai dimenticate, soffiate via dai venti impetuosi di levante.

All’epoca la Libia era considerata un territorio fertile in cui si sarebbe potuto coltivare grano e frutta, ricco di giacimenti di zolfo, ed uno sfogo per arginare la grande emigrazione verso oltreoceano. Gli Italiani ci andarono, colonizzarono la terra che non fu arida di risultati. ma non ne scoprirono la vera ricchezza del sottosuolo, il petrolio. La sua storia recente la conosciamo: dall’avvento di Moammar Gheddafi, la cacciata degli italiani, la politica visionaria del leader massimo fino alla sua rovinosa caduta che ha portato il Paese nel caos.

Cosa sta succedendo ora in Libia?

Dopo oltre cento anni, l'accordo di Tripoli del 17 agosto 2020 ha di fatto ritrasformato la Tripolitania in un protettorato sotto il controllo della Turchia e dei suoi alleati, vanificando i deboli sforzi europei di creare zone neutrali a Sirte e nell'aeroporto di Jufra, occupati dalle forze del generale Khalifa Haftar e dai suoi alleati. Questo evento storico è la conseguenza della attiva politica di Ankara, presente nel territorio libico già ai tempi del dittatore Gheddafi. La Turchia negli ultimi mesi ha fornito sostegno al governo di accordo nazionale (GNA) sia attraverso accordi di cooperazione (con un volume degli investimenti stimato in diversi miliardi di dollari USA), sia militare per opporsi all'avanzata dell’esercito nazionale libico di Khalifa Haftar che gode del sostegno di diversi Paesi politicamente non vicini alla Turchia.

In quel tormentato Paese stiamo assistendo alla lotta tra due fazioni, mirata ad accaparrarsi le ingenti risorse che, sotto Moammar Gheddafi, avevano forse trovato una possibilità di un più equo sfruttamento. Un bottino troppo ricco che di sicuro faceva gola ad alcuni Paesi che, caso strano, dopo aver contribuito alla caduta del dittatore e portato il Paese nel caos attuale si ritrovano ora schierati nei due blocchi. C’è chi vede anche l’esistenza di una motivazione politica tra i due schieramenti in quanto la Turchia, che sostiene il GNA, ha da sempre appoggiato gruppi libici vicini ai Fratelli musulmani durante la guerra civile che portò alla caduta di Gheddafi. Dall’altra parte il sostegno a Khalifa Haftar proviene invece dall'Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti e dall'Egitto che considerano i Fratelli Musulmani una forte minaccia per la loro stabilità. Un pasticciaccio che vede dalla parte di Haftar anche la Russia che, dopo essersi assestata militarmente in Siria, può ora contare su una potente flotta mediterranea supportata da una base navale efficiente, ed una sempre presente, anche se spesso ambigua nei suoi comportamenti, Francia da sempre interessata ai pozzi petroliferi.

Ma questo indubbio successo politico di Ankara non è legato solo alla machiavellica politica turca ma anche ad un demerito politico del Governo italiano che, pur essendo in possesso di una Marina Militare importante (una delle più importanti nel Mar Mediterraneo) ne ha declassato il ruolo (almeno nel suo impiego) a Forza Armata di supporto. Una mancanza decisionale o un attendismo non comprensibili in una situazione sensibile come quella che stiamo vivendo nel Mediterraneo ormai da anni. Uno schieramento navale di deterrenza nelle acque cipriote in sostegno alla nave della SAIPEM avrebbe chiarito immediatamente la nostra politica a protezione dei nostri interessi petroliferi nel Mediterraneo orientale, mitigando le pretese degli Alleati turchi. Lo stesso sarebbe potuto avvenire con una politica più decisa sul territorio libico, applicando, senza molta fantasia, la stessa politica di inserimento capillare usata da Ankara.

Da un punto di vista della cooperazione militare avremmo avuto il vantaggio di anni di collaborazione militare, svolta con corsi di addestramento per ufficiali, sottufficiali e soldati libici, e non ultime con attività a sostegno della popolazione come l’ospedale militare di Misurata. È disarmante apprendere dalla stampa che questo punto di riferimento sanitario militare italiano sia diventato improvvisamente scomodo in quanto troppo vicino alla prossima base navale turca e che siamo stati caldamente invitati a cambiare area concedendo spazio per i nostri sanitari (che a questo punto sarebbero stati utilissimi in Patria per l’emergenza COVID 19) in altri ospedali locali. Tutto questo sulla base di un accordo annunciato dal ministro Lorenzo Guerini il 5 agosto scorso, concluso al termine di un bilaterale con il presidente al-Sarraj. In quell’occasione Guerini affermò "C’è piena disponibilità da parte nostra a dar immediato avvio alle ulteriori iniziative di cooperazione definite oggi. In questi anni abbiamo profuso sforzi importanti per sviluppare una collaborazione civile/militare con le autorità locali che svilupperemo con rinnovato impegno".

Ci potremmo domandare quali siano queste attività importanti, se non altro per salvaguardare i nostri interessi? Con una certa apprensione leggo “attività di bonifica e sminamento degli ordigni improvvisati”, richiesta dalla Libia ai nostri specialisti, tra i più bravi del mondo. Un’attività certo importante per la ricostruzione ma… a vantaggio di chi?

I vantaggi sembrano ricadere solo sulla coalizione turco-qatariana che si ritroveranno aeroporti e strade pulite, mentre a noi alla fine di questo pasticciaccio non resteranno nemmeno le briciole se non la spina nel fianco di migranti che continueranno a trovare nelle assolate spiagge libiche un buon punto di partenza.

Andrea Mucedola (www.ocean4future.org)

Foto: presidency of the republic of Turkey / web / Anadolu Agency / ministero della difesa