America ed Asia: due continenti, le medesime difficoltà

(di Enrico Magnani)
16/06/22

La visita del ministro degli esteri cinese, Wang Yi, che nella seconda metà di maggio ha toccato diversi piccoli stati del Sud Pacifico, si è conclusa con risultati positivi assai minori di quelli attesi da Pechino (e temuti dagli altri stati della regione). Infatti solo East Timor ha concluso un accordo con la Cina, oltretutto di impatto limitato in merito alle politiche economiche e di sicurezza. Questo campanello d’allarme ha dato ultriore forza ai timori di molti stati della regione, a cominciare dagli USA, per la pressione cinese nell’area, che se ha trovato un piccolo arresto, non diminuirà.

A fare fronte alla pressione di Pechino, il presidente Biden, nel corso di una visita di cinque giorni in Asia (in realtà Corea del Sud e Giappone solamente) ha lanciato una nuova iniziativa di tipo economico, ma che indirettamente dovrebbe avere influenza anche sulle architetture di sicurezza della macro regione Indopacifica.

Washington ha lanciato l’IPEF (Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity, usando anche una terminologia che dovrebbe trovare attenzionei nei partners locali) un "partenariato multilaterale per il 21° secolo", dovrebbe aiutare "le economie a sfruttare la rapida trasformazione tecnologica, anche nell'economia digitale, e ad adattarsi alla prossima transizione energetica e climatica".

La spinta per un nuovo patto economico in Asia in funzione anticinese è diventata una priorità per Biden, che il 23 maggio ha annunciato l'adesione all’IPEF di 13 nazioni, che con gli USA, rappresentano il 40% del PIL mondiale (Australia, Brunei, Corea del Sud, Figi, Filippine, Giappone, India, Indonesia, Giappone, Malaysia, Nuova Zelanda, Singapore, Thailandia, Vietnam, mentre UE, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna sarebbero interessate a farne parte anche se nulla di ufficiale è ancora emerso in merito).

Una area così vasta e articolata vede differenti risposte; Giappone, (Taiwan, partecipante fantasma, ma molto importante) e Corea del Sud vogliono lavorare con gli Stati Uniti, in particolare su questioni emergenti come l'economia digitale e contribuire a stabilire uno standard per le attività future. Anche l'India ha reagito favorevolmente all’inizativa; Australia, Nuova Zelanda, Singapore sono facili aderenti, mentre per Vietnam, Filippine, Thailandia, Cambogia e Indonesia il contesto sarà più difficile visto che sono nel pieno della transizione ambientale. Come ha notato il coordinatore Indo-Pacifico della Casa Bianca Kurt Campbell, l'impegno economico è "un'area in cui gli Stati Uniti, in effetti, devono intensificare il loro gioco".

Sfortunatamente per Washington, questa idea sembra improbabile che abbia un impatto significativo. Mentre i partner in Asia sembrano ansiosi di aderire a qualsiasi iniziativa economica guidata dagli Stati Uniti come scudo anticinese, il quadro proposto da Washington manca degli incentivi che le economie della regione stanno cercando. Infatti, non offre ai partner un maggiore accesso al mercato negli Stati Uniti o riduzioni tariffarie (e l’amministrazione Biden, sebbene agli antipodi ideologici di quella Trump, che ha smantellato la rete di accordi economici bilaterali e multilaterali della regione, non sembra per nulla intenzionata a tornare indietro per le preoccupazioni che il ritorno alla globalizzazione avrebbe sulla economia e il mercato del lavoro USA).

Il piano non tiene nemmeno conto dell'effetto che la Cina ha sulle catene di approvvigionamento regionali e sembra focalizzato su ciò che gli USA possono ottenere unilateralmente invece di trovare vantaggi reciproci per tutti i potenziali membri.

Mal progettato in questo modo, c’è il rischio che l’iniziativa resti lettera morta.

La spinta indo-pacifica di Biden manca di forza e di visione strategica

Oltre alla intenzione di proteggersi dalla Cina, molte nazioni asiatiche vogliono legami economici più stretti con gli Stati Uniti. Ma se gli alleati degli Stati Uniti sono critici nei confronti della mancanza di incentivi e ambizioni nel quadro economico indo-pacifico, restano dubbiosi sulle inizative di sicurezza, che sebbene più numerose (AUKUS, ANZUS, RIMPAC, Shangri-La Dialogue, Quad, diverse intese bilaterali), sembrano scollegate dalla dimensione economica e quindi rendono l’azione di Washington non efficace come l’amministrazione Biden auspica. Le perplessità dei partners regionali, al di là della adesione (atto formale che deve essere riempito di contenuti) sono anche dovute al fatto che grandi accordi regionali stanno già funzionando senza la partecipazione degli Stati Uniti come il CATTP e RCEP. (nota)

L’IPEF si articola intorno a quattro pilastri: (1) catene di approvvigionamento, (2) infrastrutture ed energia pulita e (3) tasse e anticorruzione, (4) e pilastro del commercio equo e solidale, ma dato che l’accordo non è un accordo commerciale, non ci sarà alcuna negoziazione di riduzioni tariffarie, cosa che invece i partners chiedono insistentemente.

Mentre i dettagli di questi pilastri sono ancora in fase di negoziazione, la Casa Bianca vuole standard elevati, in particolare nelle disposizioni in materia di lavoro e ambiente. Poiché molte economie avanzate in Asia si stanno già impegnando a combattere il cambiamento climatico e dispongono di solide tutele del lavoro, soddisfare questi standard elevati non dovrebbe essere difficile. Tuttavia, data la quantità di investimenti politici che l'amministrazione Biden ha investito per ripristinare le relazioni diplomatiche americane, questi standard potrebbero rendere difficile l'adesione di alcune economie in via di sviluppo. E l'amministrazione Biden preferirebbe avere quanti più membri possibile per presentare, nella tradizione statunitense, una crociata globale contro il male, in questo caso, la Cina.

Per fare fronte a questi problemi, l’IPEF è una struttura aperta e à la carte; infatti, per essere considerato quale aderente, uno stato può aderire in almeno uno dei quattro pilastri dell’iniziativa.

Un grande successo potrebbe essere un accordo commerciale digitale. Il CAPTPP - con Giappone, Australia, Vietnam, Nuova Zelanda e Singapore come aderenti - ha già un capitolo digitale in vigore. Gli Stati Uniti e il Giappone hanno un accordo simile e Singapore e l'Australia hanno un accordo sull'economia digitale separato. Anche Singapore ha sostenuto il suo accordo di partenariato per l'economia digitale. Questo argomento si rivelerà probabilmente una delle poche aree di successo dell’IPEF.

Come accennato, la difficoltà legate alla effettività è che i paesi dell'Indo-Pacifico vogliono parlare di accesso al mercato (USA) e riduzione delle tariffe, cosa che come suaccennato, Washington non vuole discutere. Rimuovere le barriere normative è positivo, ma può avere un impatto limitato nel grande schema delle catene di approvvigionamento.

Oltre alla mancanza di ambizione che i partner statunitensi vedono nel quadro, ci sono anche preoccupazioni e scetticismo sulla sua architettura funzionale, visto che la gestione dell’IPEF è condivisa tra il Dipartimento del Commercio e l’Ufficio del Foreign Trade Representative (organismo minuscolo, con meno di 500 funzionari), mentre il Dipartimento di Stato ha un ruolo, sinora, secondario.

Il quadro potrebbe sembrare più una vittoria diplomatica che economica da questo risultato. Nel frattempo, è improbabile che tutti i membri dell'ASEAN (come la Cambogia, considerata un protettorato cinese, ma si tratta di una economia piccola) si uniscano all’IPEF, data la loro incapacità di soddisfare gli standard più elevati o la loro animosità nei confronti degli Stati Uniti. Naturalmente, è dubbio che la Cina sarà invitata ad aderire.

Una ambiguità di fondo, valida per tutti

Queste righe, che sottolineano la complessità della scena internazionale e i legami strettissimi tra economia e sicurezza (intesa come insieme delle politiche estere e di difesa), richiamano anche una serie di elelementi di analisi e riflessione; oltre alla volontà degli USA di mantenere la leadership globale e pan regionale, vi è una ambiguità di fondo che coinvolge tutti gli aderenti alla IPEF, Washington inclusa. Se tutti hanno timore della pressione cinese, sia essa politica, militare, economica, allo stesso tempo vi sono dei dubbi nel ridurre il legame economico o commerciale con partner di tale peso e, che in alcuni stati, come l’Australia (una delle nazioni più preoccupate per la spinta di Pechino) rappresenta una percentuale di grande importanza del GDP nazionale.

Quindi, se Washington aspira che i suoi partners della macro regione indopacifica applichino il ‘decoupling’ con la Cina, per se stessa, vuole esserne una eccezione e mantenere un dialogo, alle sue condizioni.

Pechino è ben consapevole di queste ambiguità, e nonostante le non piccole difficoltà interne/esterne (rallentamento economico, riconversione ambientale, impatto della pandemia, un congresso del PCC che si annuncia difficile, relazioni con la Russia, situazione di Hong Kong e diritti civili) gioca tutte le sue carte con spregiudicatezza, a cominciare dal fatto che è proprietaria di una parte considerevole del debito pubblico statunitense, in questo aiutata, incosapevolmente, proprio dalla debolezza strutturale dell’IPEF.

L'altro capo del filo

Questa situazione si presenta in termini assai simili anche nell’emisfero occidentale. Anche qui gli Stati Uniti sono arrivati a mani vuote al IX Summit of the Americas di Los Angeles; ora Washignton è superata da una Cina che oggi è il primo partner commerciale di Brasile, Cile e Perù, e il secondo di Argentina e Colombia e questo fa meditare quanto tempo è passato dalla Dottrina Monroe e da quella di Theodore Roosevelt.

Nel dicembre 1994, Bill Clinton aveva riunito 33 capi di stato e di governo dal Canada al Cile, tutti, tranne Cuba, per il primo Vertice delle Americhe a Miami. Il contesto sembrava favorevole al raggiungimento degli obiettivi fissati da George H. W. Bush nella sua cosiddetta Initiative of the Americas, soprattutto la più ambiziosa: la creazione di un'area di libero scambio dallo Stretto di Bering in Alaska allo Stretto di Magellano in Patagonia. I progressi democratici e la liberalizzazione economica in America Latina e nei Caraibi hanno generato aspettative di maggiore e duraturo consenso politico ed economico, perché la fine della Guerra Fredda prevedeva anche la fine del modello cubano per la sinistra e delle dittature militari per la destra.

Si trattava però di una sepoltura chiaramente prematura, come rivelano le difficoltà dell'amministrazione Joe Biden ad avere la presenza di diversi capi di stato del continente, dove la spaccatura tra molti paesi dell'America Latina e gli Stati Uniti era evidente.

La decisione degli Stati Uniti di non invitare Cuba, Venezuela e Nicaragua ha portato i presidenti del Messico e dell'Honduras a rimanere a casa per protesta, mentre i presidenti di El Salvador, Bolivia e Guatemala hanno rifiutato di partecipare per altri motivi.

La polarizzazione era evidente anche nel forum della società civile del vertice. Molti attivisti locali si sono lamentati della mancata opportunità di chiedere che i governi si impegnino in modo produttivo con le rispettive opposizioni e garantiscano elezioni libere ed eque. I gruppi locali che lavorano con i migranti hanno anche chiesto che l'attenzione non si concentri solo su coloro che arrivano al confine degli Stati Uniti, ma piuttosto sui milioni di rifugiati venezuelani e altrove che sono fuggiti in altri paesi della regione. Anche qui Biden ha presentato una specie di clone dell IPEF, a cui si aggiunge il pillar del controllo delle migrazioni (tema scottante per gli USA e per l’impatto che potrebbe avere sulle dinamiche politiche interne, sempre più polarizzate in un duro confronto ideologico democratici-repubblicani). Ma la situazione è persino peggiore, infatti anche se molte nazioni, sebbene governate da leadership di sinistra sarebbero state disposte a rafforzare i legami economici con Washington, e avere accesso ai mercati USA, ma l’offerta è debole e incerta (come riconosciuto, privatamente, da alti dirigenti statunitensi) e si scontra con la presenza cinese che sta accelerando, con massicci investimenti in progetti infrastrutturali.

Sinora, le pressione cinese è meno forte nell’ambito della sicurezza, ma si nota un incremento di tentativi di infiltrazione, soprattutto attraverso la lotta al traffico di droga e controllo della pesca illegale (sic) proponendo l’utilizzo della guardia costiera di Pechino in aiuto alle forze locali. Queste offerte sinora non hanno ricevuto risposte positive, ma per il futuro è difficile scommettere, visto che si stanno riproponendo vecchie dinamiche, come la disponibilità del Nicaragua alla presenza militare russa, appena espressa.

Conclusioni

Nonostante una vulgata elogiativa, dovuta sopratutto al rigetto di quanto smantellato e reso conflittivo dall’Amministrazione Trump, l’azione di quella di Biden resta complessivamente non all’altezza per diverse ragioni, a cominciare dalle priorità delle politiche interne (economiche e sociali) per lasciare quelle esterne dominate dall’approccio securitario, con tutte le debolezze di una visione settoriale a fronte di problemi globali.

Nota

Il Trans-Pacific Partnership (TPP), o Trans-Pacific Partnership Agreement, era un accordo commerciale proposto tra Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e Stati Uniti firmato il 4 febbraio 2016. Poi, dopo essere entrato in carica, il neoeletto presidente Donald Trump ha ritirato gli USA dal TPP nel gennaio 2017 ; di conseguenza l'accordo non ha potuto essere ratificato come previsto e non è entrato in vigore. I restanti paesi hanno negoziato un nuovo accordo commerciale chiamato Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPATPP), che incorpora la maggior parte delle disposizioni del TPP ed è entrato in vigore il 30 dicembre 2018. Il TPP è iniziato come un'espansione dell'Accordo di Partenariato Economico Strategico Transpacifico (TPSEP o P4) firmato da Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore nel 2005. A partire dal 2008, altri paesi si sono uniti alla discussione per un accordo più ampio: Australia, Canada , Giappone, Malesia, Messico, Perù, USA e Vietnam, portando a dodici i paesi impegnati nel negoziato. Come accennato, nel gennaio 2017, gli Stati Uniti si sono ritirati dall'accordo. Gli altri 11 paesi TPP hanno concordato nel maggio 2017 di ripristinarlo e hanno raggiunto un accordo nel gennaio 2018. Dopo la ratifica da parte di sei di essi (Australia, Canada, Giappone, Messico, Nuova Zelanda e Singapore), l'accordo è entrato in vigore per quei paesi il 30 dicembre 2018. La Gran Bretagna ha fatto doamdna di Adesione al CPATPP nel 2021; Taiwan, Filippine, Colombia, Thailandia, and Indonesia, Bangladesh, India Corea del Sud, Sri Lanka e Cina (sic) hanno espresso interesse ad aderire al CATPP.

Il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) è un accordo di libero scambio tra le nazioni dell'Asia e del Pacifico di Australia, Brunei, Cambogia, Cina, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Laos, Malesia, Myanmar, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia , e Vietnam. I 15 paesi membri rappresentano circa il 30% della popolazione mondiale (2,2 miliardi di persone) e il 30% del PIL globale (29,7 trilioni di dollari), rendendolo il più grande blocco commerciale della storia. Firmato nel novembre 2020, RCEP è il primo accordo di libero scambio tra le maggiori economie asiatiche, tra cui Cina, Indonesia, Giappone e Corea del Sud. L'RCEP è stato concepito al vertice dell'ASEAN del 2011 a Bali, in Indonesia (su inizativa giapponese), mentre i negoziati sono stati formalmente avviati durante il vertice dell'ASEAN del 2012 in Cambogia. L'India, che ha preso parte ai negoziati iniziali ma in seguito ha deciso di rinunciare, è stata invitata ad aderire al blocco in qualsiasi momento. Qualsiasi altro paese o territorio doganale separato della regione può aderire al patto a partire da 18 mesi dalla data di entrata in vigore del patto i. e. dal 1 luglio 2023. Il trattato è stato formalmente firmato il 15 novembre 2020 al vertice virtuale dell'ASEAN ospitato dal Vietnam. A partire dal 17 gennaio 2022, sette dei dieci firmatari dell'ASEAN e tutti e cinque i firmatari non ASEAN hanno depositato i propri strumenti di ratifica dell'RCEP presso il Segretario generale dell'ASEAN. Per i primi dieci paesi ratificanti, il patto commerciale è entrato in vigore il 1° gennaio 2022. L'RCEP include un mix di paesi ad alto, medio e basso reddito e prevede di eliminare circa il 90% delle tariffe sulle importazioni tra i suoi firmatari entro 20 anni dall'entrata in vigore e di stabilire regole comuni per il commercio elettronico, il commercio e la proprietà intellettuale.

Foto: U.S. Air Force