Маскировка? Ovvero l’inganno russo in Ucraina

(di Antonio Li Gobbi)
12/02/22

Ormai i media ci forniscono dati estremamente precisi (?) sul massiccio ed “imminente” attacco russo all’Ucraina. Veniamo informati in tempo reale di tutto: forze schierate e loro articolazione tattica, nomi dei comandanti e loro background professionale, verosimili direttrici d’attacco, con indicazione di presumibili “sforzi principali” e azioni di disturbo che sarebbero state pianificate, stato degli approvvigionamenti (“sono arrivate le sacche di sangue e allora significa che sono pronti ad attaccare”), date dell’inizio dell’attacco (“il 21 febbraio, subito dopo la chiusura delle Olimpiadi, per rispettare la tradizione olimpica” anzi no “il 16 febbraio perché il ghiaccio si sta trasformando in fango”, anzi no, “prima…”).

L’intelligence USA sembra spifferare a getto continuo le proprie informazioni “top secret” all’intera stampa internazionale, corredandole con un’abbondanza di particolari tattici dei quali in genere i servizi di intelligence mi parevano particolarmente gelosi (ma sarò io che ricordo male).

La mia impressione della superpotenza USA è quella di quelle persone che dopo un alterco con un individuo violento e fisicamente più robusto di loro, dopo essersi accuratamente assicurati di essere saldamente tenute ferme dagli astanti, urlano “trattenetemi se no gli spacco la faccia”.

Intendiamoci, sotto il profilo geo-politico, quello militare e soprattutto quello economico, la parte forte sono gli USA e non la Russia.

Allora perchè questa mia strana impressione? Perché non sempre chi è “più forte” è anche disposto a rischiare l’uso della forza (sia essa economica, politica o militare).

La Russia di Putin mi pare un abile giocatore di scacchi, che per il momento non sembra sbagliare una mossa. Bisogna vedere se si trasformerà anche in uno spericolato giocatore d’azzardo (lanciando un’operazione militare in grande stile), perché quello potrebbe costargli caro. Ma personalmente dubito che ceda a questa tentazione.

Consentitemi qualche reminiscenza personale. Quando frequentavo il corso di Stato Maggiore (a fine anni ’80) ci facevano studiare con dovizia di particolari dottrina, ordinamento, tattiche e mezzi di quello che era ancora considerato il “nemico” potenziale, ovvero il Patto di Varsavia e in particolare l’URSS. Avversario che in virtù del politically correct ante-litteram veniva denominato “partito arancione” (non “partito rosso”, come si sarebbe potuto immaginare, per non offendere i partiti di sinistra nostrani).

Personalmente, trovavo quelle lezioni noiose e in fondo poco utili, perché non ci voleva Nostradamus per capire che il Blocco Sovietico era sul punto di implodere. Personalmente le seguivo senza particolare interesse. Chiedo venia ora per allora. Però c’era una cosa che mi ricordo bene della dottrina sovietica e che ammiravo: era la “Маскировка” (Maskirovka). Ovvero il ricorso all’”inganno” a livello tattico, operativo e strategico.

Noi normalmente immaginiamo che “l’inganno” sia finalizzato a non far capire che si attaccherà o a far immaginare che l’attacco sarà sviluppato lungo direzioni e con modalità diverse da quelle che sono state pianificate.

Ora è possibile che i generali russi abbiano totalmente dimenticato questo cardine della loro tradizione militare? La durata del rischiaramento di forze sul confine ucraino e l’entità delle forze schierate non può ormai lasciare molto all’immaginazione. Quindi, i russi non avrebbero per niente tentato di celare le proprie intenzioni bellicose?

Certo. L’esercito russo non è quello sovietico. Ma gli ufficiali russi sono frutto della medesima tradizione militare di quelli sovietici.

Allora mi chiedo, se non si tratti di un “inganno al contrario”: che ci si trovi di fronte ad una manovra ingannevole tendente a far credere che ci si stia preparando a condurre un’operazione militare che si vuole certamente minacciare, ma che i russi non hanno alcuna intenzione di condurre almeno con le modalità che il loro massiccio dispiegamento di forze indurrebbe ad ipotizzare?

Tentiamo di fare sinteticamente il punto della situazione.

La Russia dà l’impressione di giocare la “partita Ucraina” come il gatto con il topo. Fa di tutto per far credere di voler fare qualcosa (l’invasione dell’Ucraina) che a parole nega di voler fare.

Così facendo, comunque, finora Mosca ha conseguito una serie di risultati non indifferenti. Intanto ha ottenuto una fitta serie di colloqui a livello sia capo di stato che ministro degli esteri (o equivalenti) con gli USA.

I vertici di UE, NATO e di tutti i principali paesi europei sono in continuo pellegrinaggio a Mosca pronti a negoziare per salvare la stabilità del continente.

La percezione che l’osservatore anche distratto ne ricava è che USA e Russia trattino alla pari, come due super-potenze di uguale livello. Una situazione che di fatto non si avverava sin dai colloqui Reagan – Gorbaciov di fine anni ’80 del secolo scorso. Solo che allora erano gli USA a dettare agenda e condizioni. Oggi la situazione sembrerebbe diversa.

La NATO, alla ricerca di un ruolo dopo la debacle afghana, nel corso del Summit dei capi di Stato e di Governo dei paesi membri dello scorso giugno aveva partorito un comunicato finale che a molti è parso intriso di eccessiva durezza nei confronti della Russia. Inoltre tale comunicato conteneva promesse di accesso all’Alleanza di Ucraina, Georgia e Moldavia. Promesse che forse non erano state propriamente meditate e valutate nelle loro conseguenze e che inevitabilmente rappresentavano un autentico “pugno nell’occhio” di Mosca (d’altronde pensiamo a come reagirebbe la Casa Bianca nel caso di un accordo di reciproca assistenza militare tra la Russia e il Messico e se in quel caso Washington farebbe riferimento al diritto di qualsiasi paese di determinare la propria politica estera). Alla luce dei recenti sviluppi della situazione ucraina le dichiarazioni dello scorso giugno sembrano vuote.

I toni roboanti assunti dal segretario generale Stoltenberg potrebbero far pensare a un Capitan Fracassa della nostra Commedia dell’Arte. Infatti, la NATO alla fine si limita a minacciare “terribili ritorsioni economiche”. Si tratta però di sanzioni la cui applicazione risale ai singoli paesi. L’Alleanza in tale campo può fungere da foro di discussione ma, a differenza della UE, non ha né l’autorità né gli strumenti per imporre ai paesi membri di porre in atto tali sanzioni. Alcune nazioni NATO inviano armamenti all’Ucraina, altre no. Alcuni Alleati inviano nei paesi NATO dell’Est Europa delle forze (comunque di entità risibile se i russi dovessero lanciare un’operazione militare anche solo con i 140 mila uomini che si dice siano già schierati), altri partecipano ad esercitazioni navali nel Mar Nero. Peraltro (giustamente) no “boots on the ground” in Ucraina, in quanto da un lato si proclama arditamente “se l’Ucraina venisse attaccata risponderemo in maniera terribile” ma sottovoce si aggiunge “però non è un paese NATO e quindi non si può invocare l’articolo 5 del trattato di Washington” (ovvero “scampato pericolo”).

Il tutto appare un po’ disordinato e mi fa tornare alla mente una manovra che (a quanto viene tramandato) avrebbero attuato gli equipaggi della marina borbonica al grido di “facite ammuina”.

Soprattutto Mosca ha ottenuto il risultato di minare seriamente la coesione dell’Alleanza (già messa a dura prova dall'Afghanistan) e ha ottenuto che si manifestassero divergenze di vedute non irrilevanti tra i paesi membri dell’Alleanza. A fronte di una posizione intransigente di USA e UK, Germania, Francia e Italia sembrerebbero molto più attente a tentare di raffreddare gli animi, con un occhio anche alle inevitabili e non irrilevanti conseguenze economiche di una guerra commerciale con la Russia.

Lo stesso fronte dei paesi ex-Patto di Varsavia è fratturato, con l’Ungheria di Orban (peraltro confinante con l’Ucraina) che appare molto più cauta di quanto non siano le Repubbliche Baltiche, Polonia o Romania. Inoltre, la Turchia sta tentando di acquisire un ruolo terzo rispetto alla NATO nella speranza di porsi quale mediatore tra Russia e Ucraina

Dall’altre parte dell’Oceano, Biden e Blinken continuano a dichiarare minacciosamente che eventuali violazioni della sovranità ucraina comporterebbero conseguenze tremende per la Russia.

Mi lasciano perplesso queste minacce rese pubbliche: le grandi potenze hanno sempre fatto pervenire le proprie minacce attraverso canali riservati, senza necessariamente pubblicizzarle su tutti i media. Parrebbe che più che a Putin si intenda parlare al proprio elettorato e agli alleati. Non vorrei che, in fondo, questa vocalità nel minacciare non ben definite “severe” ritorsioni fosse solo l’ennesimo sintomo della debolezza dell’Occidente.

Comunque, gli USA sono coscienti che in caso di attacco convenzionale da parte di Russia e Bielorussia all’Ucraina con centinaia di migliaia di uomini (cui si aggiungerebbero le milizie filo russe già nel territorio) la loro risposta non potrebbe essere militare convenzionale. La NATO nella sua totalità non li seguirebbe. L’elettorato domestico statunitense non comprenderebbe i costi umani e finanziari di un dispiegamento di forze credibile a favore dell’Ucraina.

Agli USA resta in effetti solo l’arma delle sanzioni economiche. Sanzioni economiche che per avere una certa efficacia hanno bisogno del convinto supporto delle economie europee. Ma per quanto tempo gli europei sarebbero disposti a seguire lo Zio Sam su questa strada che penalizzerebbe le economie europee molto più di quella statunitense?

Kiev dopo le iniziali richieste di aiuto, sembra ora tentare di gettare acqua sul fuoco e flemmatizzare gli allarmi che vengono da Washington. Probabilmente di fronte ai carri armati russi gli ucraini si stanno rendendo conto che alle promesse informali ricevute negli ultimi vent’anni anni dall’Occidente (e soprattutto dagli USA ) non seguiranno altrettanti aiuti militari concreti. I Georgiani lo scoprirono a loro spese già quattordici anni fa.

In conclusione, mi pare che l’amministrazione Biden sia oggi debole e abbia problemi sia a livello domestico sia nella contrapposizione con la Cina. Le elezioni di mid-term si avvicinano. Fare la voce grossa nei confronti di Putin può ridare smalto al vecchio presidente. Però se poi la situazione dovesse degenerare, e alle parole dovessero seguire i fatti e relativi costi (anche solo economici) l’elettorato domestico potrebbe non lo perdonarlo al commander in chief.

Buona parte degli europei, che stanno tentando di rimettere in sesto le proprie disastrate economie dopo il Covid, non sembrerebbero avere alcuna intenzione di subire le conseguenze negative di una guerra commerciale con la Russia, che colpirebbe pesantemente sia il costo dei combustibili sia le nostre esportazioni verso Mosca.

Fino a questo punto, Putin è stato capace di far emergere debolezze ed incongruenze in ambito USA, NATO e UE. È forse oggi in una invidiabile posizione di forza per trattare e ottenere quanto in realtà vuole (che è sicuramente molto meno di quanto ha finora chiesto).

Putin non ha mai dichiarato di voler ricorrere all’opzione militare per invadere parte dell’Ucraina o per rovesciarne e sostituirne il governo con uno a lui più favorevole. Però è stato abile nel far sì che fossero sempre gli altri (intelligence USA e Britannica) a dirlo, consentendogli di limitarsi a negarlo. Di conseguenza, può fermarsi in qualsiasi momento in cui ritenga di aver conseguito obiettivi per lui soddisfacenti.

Il massiccio schieramento di forze potrebbe essere solo strumentale a far emergere le debolezze del fronte opposto, a far sentire soli e traditi gli Ucraini e a ottenere, senza combattere ciò a cui magari mirava sin dall’inizio (ad esempio un ritorno al Protocollo di Minsk con però una Ucraina molto più remissiva di quanto non si sia dimostrata in passato ed il riconoscimento internazionale di adeguate autonomie alle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e di Luhansk).

Forse, come dicevo, è una “Маскировка”. Infatti, inganno è certamente far pensare all’avversario che non si abbia la capacità di fare la guerra quando la si vuol fare, ma inganno è anche far credere di essere sul punto di scatenare la guerra, quando non si è in grado di scatenarla o non la si vuole scatenare.

Tornando a noi europei e guardando alle mosse sinora un poco confuse di USA, NATO e UE, la crisi ucraina dovrebbe farci ragionare seriamente in merito all’esigenza ormai indilazionabile di una reale e credibile autonomia strategica europea, almeno per quanto riguarda i problemi nel “Vecchio Continente e nel “Mediterraneo Allargato”.

Ovvero, nel caso specifico, sull’esigenza di un’Europa che sappia elaborare una propria linea politica per l’Ucraina, al di là dei veti incrociati di Mosca e Washington. Per ora all’orizzonte non la si vede.

Foto: Cremlino / NATO / The White House