Santino Soda
Ed. Youcanprint, Lecce 2023
pagg.104
L’autore, avvocato calabrese, appassionato di storia e filosofia, narra, in questo suo saggio, di Domenico Sola, calabrese anche lui, di Amendolara (CS), morto eroicamente nella Grande Guerra.
Nato il 19 gennaio 1891, grazie a una borsa di studio, si iscrisse alla facoltà di filosofia dell’università di Roma, nell’anno accademico 1911-1912. Abbracciò le idee del Futurismo e iniziò a collaborare alla rivista La Voce, “la più importante rivista culturale del secolo scorso, fondata da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini.”
Il contributo di Domenico Sola alla causa del movimento futurista, però, “non si limitò alla collaborazione a La Voce, egli infatti si distinse nelle radiose giornate di maggio, per i suoi accesi comizi a Roma e in molte piazze del Lazio e della Toscana, animati da sinceri sentimenti patriottici, durante i quali dimostrò la sua grande oratoria e favore dell’interventismo, molto esaltata dalla stampa”.
Il 1° giugno 1915, una settimana dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Impero austro-ungarico, Domenico venne chiamato alle armi, senza, quindi, poter discutere la tesi nel giorno fissato, quello del 20 giugno.
Nominato sottotenente della Milizia Territoriale dell’Arma, fu assegnato alla 4^ compagnia del 2° battaglione del 217° reggimento della brigata Volturno e, dopo essere arrivato, nel febbraio 1916, nella zona di guerra (l’area compresa fra Barazzetto, Mereto di Tomba, Nogaredo di Corno e Plasencis, tutte località in provincia di Udine), venne assegnato, con il resto della brigata, alla 10^ divisione della 1^ armata al comando, dal maggio 1916, del generale Guglielmo Pecori Giraldi.
“Nella seconda metà di aprile, a bordo di treni, conosciuti come tradotte, con il resto della brigata, parte alla volta di Bassano del Grappa”, per poi trasferirsi, il 17 maggio, a Primolano, in provincia di Vicenza e, successivamente, in Vallarsa. Durante il tragitto alcuni reparti della brigata, passata, nel frattempo, alle dipendenze della 44^ divisione, furono dirottati alla volta del Pasubio, “un nome che nell’immaginario collettivo ancora incute timore. In realtà il Pasubio è un massiccio montuoso, costituito da diversi altipiani e valli, a ridosso tra il Veneto e il Trentino, che durante la Grande Guerra rappresentava il confine tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico. Alla fine della guerra e per diversi anni fu un immenso cimitero a cielo aperto”. Qui il sottotenente Sola, si troverà “con il suo reggimento nel mezzo di una delle più grandi offensive austro-ungariche, nota come Strafexpedition”, ricevendo il battesimo del fuoco.
“La notte del 29 maggio arriva dagli alti comandi italiani l’ordine al Volturno di riconquistare le posizioni perdute dalla brigata Sele […] In un momento i soldati del 1° e 2° battaglione del 217° Volturno si trovano faccia a faccia con il nemico. […] Il sottotenente Domenico Sola, alla testa del suo plotone, con l’anima in preda alla disperazione per le sorti dell’Italia, senza esitare si lancia all’attacco delle postazioni austriache”. Dopo aver perso due dita, fattosi medicare alla meglio, tornò al comando dei suoi uomini nel Pianoro di Maso, fino a quando una granata nemica gli esplose vicino ferendolo mortalmente. “Si concludeva così la breve esistenza terrena del giovane filosofo – soldato. Con lui morivano un eroe e una speranza per la filosofia e la storiografia italiana”.
Gli venne concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Come scrive, nella prefazione, il prof. Panio, “Domenico Sola non è il meridionale che muore appena canta la mitragliatrice austriaca perché neppure comprende l’italiano dei propri comandanti in campo. Sola ha voluto essere lì, faccia a faccia con la morte.[…] Di fatto, egli è un interventista consapevole, crede con fermezza che solo l’eco del cannone possa forgiare una Italia – ancora allora Patria – e farne una Nazione europea”.
Gianlorenzo Capano